domenica 5 ottobre 2025

Francesco d'Assisi, tra essere e tradizione: oltre l'ideologia moderna



L'immagine riportata è tratta da un affresco di quando Francesco era ancora in vita


Pio XII, il 18 Giugno 1939, proclamò San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena Patroni d’Italia. Nel suo memorabile discorso, egli definì san Francesco «il più italiano dei Santi, il più santo degli Italiani».


Daniele Trabucco

Ogni epoca produce le proprie narrazioni e le proietta retroattivamente sulle figure del passato, trasformandole in simboli funzionali a ideologie contingenti. La modernità e la postmodernità, incapaci di concepire la verità come ordine oggettivo dell’essere, hanno inevitabilmente ridotto Francesco d’Assisi (1186-1226) a icona di un pacifismo sentimentalista, di un ecologismo panteistico, di un ribellismo anarchico contro l’istituzione.

Tanto la sinistra, quanto una certa destra, hanno condiviso questa deformazione, perché entrambe immerse nella stessa orizzontalità politica che confonde la radice metafisica con l’apparenza fenomenica.
Ora, il Francesco reale, il santo della Chiesa, non è interpretabile con le categorie della modernità: egli è comprensibile solo se colto entro la dimensione dell’essere, secondo l’ordine della Tradizione. Non un rivoluzionario che frantuma, bensì un uomo che riconosce l’originaria armonia tra natura e grazia, tra creazione e Redenzione, tra Cristo e la Chiesa. Non un ingenuo "amico della natura”, ma un contemplatore della struttura metafisica del creato, capace di vedere nelle creature non il "divino diffuso", ma l’"analogia entis" che rimanda al Principio.

Il gesto di spogliarsi davanti al Vescovo di Assisi non fu un atto di "liberazione" individualistica, ma la restaurazione simbolica della dipendenza radicale dell’uomo da Dio attraverso la mediazione sacramentale della Chiesa.

L’obbedienza di Francesco al Romano Pontefice, prima Innocenzo III e poi Onorio III, che la retorica moderna descrive come debolezza istituzionale, è invece l’espressione più pura del suo realismo metafisico: egli sapeva che la grazia non opera nel vuoto, ma nell’ordine visibile voluto da Cristo.
In questo senso, il suo atto non è ribellione ma fedeltà: fedeltà alla struttura oggettiva dell’essere e del Vangelo, che non tollera l’arbitrio soggettivo né l’orgoglio prometeico.

Lo stesso amore per il creato, spesso travisato in chiave ecologista, non è riducibile a culto naturalistico o a panenteismo. Nel "Cantico delle creature" non si celebra la natura come assoluto, ma si riconosce l’essere partecipato: il sole, la luna, l’acqua e la terra sono creature, cioè enti contingenti che traggono la loro bontà dall’Essere primo. Francesco canta la gerarchia ontologica, non l’autonomia della materia; egli riconosce il limite e, nel limite, la trasparenza dell’Infinito. Qui si colloca la radicale fedeltà alla Tradizione: il creato non è adorato, ma è ordinato al Creatore.

La sua povertà, poi, non ha nulla della lotta di classe o dell’egualitarismo livellante che certa retorica contemporanea gli attribuisce. Non si tratta di rivendicazione politica, ma di purificazione ontologica: liberarsi del superfluo per aderire all’Essere stesso, che è Dio. La povertà francescana non è "miseria sociale", bensí segno sacramentale ed escatologico che rimanda al destino ultimo dell’uomo, chiamato a possedere non le cose ma Dio stesso.

In questo senso, Francesco non "protesta" contro l’ordine costituito, ma lo ricolloca nella sua verità: i beni temporali hanno senso solo se orientati al Bene sommo. Il fraintendimento moderno di Francesco, dunque, è un caso esemplare della dissoluzione della verità nell’ideologia.

La cultura secolarizzata, non sapendo più leggere il linguaggio dell’essere e della Tradizione, ha ridotto il santo a figura utile per giustificare le proprie agende politiche e culturali.

Eppure Francesco, nella sua autenticità, resta radicalmente altro: è testimone della trascendenza in un mondo che vuole restare immanente, è cantore dell’ordine ontologico in un’epoca che celebra il disordine, è uomo di obbedienza in un tempo che idolatra l’autonomia.

Restituire Francesco alla sua verità non è solo operazione storica, ma compito teoretico: significa rifiutare le riduzioni ideologiche e accogliere la sua vita come testimonianza della struttura metafisica dell’essere. Significa comprendere che la Tradizione non è peso del passato, ma radice dell’eterno, e che solo restando fedeli a questa radice si può essere realmente liberi.

Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, non è il profeta di un mondo nuovo fabbricato dall’uomo, ma il segno di un ordine già dato, eterno, che l’uomo può solo riconoscere e venerare.






Nessun commento:

Posta un commento