
by Aldo Maria Valli, 14 ott 2025
di Investigatore Biblico
È ormai consuetudine, non solo da oggi, che nella liturgia della Parola si operino tagli nei testi biblici proclamati. Si parla spesso di “lettura continua” dei libri della Scrittura, ma in realtà questa continuità è interrotta più volte da omissioni che, pur forse pensate per motivi pastorali, finiscono per impoverire il messaggio. È un fenomeno antico, ma che oggi assume un sapore particolare, quasi una prudenza eccessiva, un timore di turbare o di ferire la sensibilità del nostro tempo. Ma la Parola di Dio non è fatta per essere addolcita: è viva, tagliente, capace di giudicare i pensieri e le intenzioni del cuore. E se la si amputa, le si toglie proprio questa forza salvifica.
In questi giorni la Chiesa ci propone la Lettera ai romani, forse la più profonda e teologica tra le lettere di Paolo, quella in cui egli riflette con lucidità e passione sul mistero della giustizia di Dio e sulla salvezza offerta a ogni uomo. Oggi, 14 ottobre 2025, il passo liturgico è Romani 1,16-25, in cui l’Apostolo afferma con forza che il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, e spiega come l’umanità, pur conoscendo Dio, abbia scelto di adorare la creatura invece del Creatore.
E domani, 15 ottobre, si passerà direttamente al capitolo 2, saltando un brano decisivo. Si tratta di Romani 1,26-32: “Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa”.
Qui san Paolo non fa altro che trarre le conseguenze di ciò che ha appena detto. Parla di una umanità che, avendo rifiutato la verità di Dio, si trova smarrita e preda delle proprie passioni. Le parole sono forti: “Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami…”. Paolo descrive il disordine morale che nasce quando si sostituisce la verità con la menzogna, quando si scambia il bene con il male e il male con il bene. È un testo duro, ma vero. È il realismo della Scrittura, che non teme di mostrare la miseria dell’uomo per rivelare la misericordia di Dio.
di Investigatore Biblico
È ormai consuetudine, non solo da oggi, che nella liturgia della Parola si operino tagli nei testi biblici proclamati. Si parla spesso di “lettura continua” dei libri della Scrittura, ma in realtà questa continuità è interrotta più volte da omissioni che, pur forse pensate per motivi pastorali, finiscono per impoverire il messaggio. È un fenomeno antico, ma che oggi assume un sapore particolare, quasi una prudenza eccessiva, un timore di turbare o di ferire la sensibilità del nostro tempo. Ma la Parola di Dio non è fatta per essere addolcita: è viva, tagliente, capace di giudicare i pensieri e le intenzioni del cuore. E se la si amputa, le si toglie proprio questa forza salvifica.
In questi giorni la Chiesa ci propone la Lettera ai romani, forse la più profonda e teologica tra le lettere di Paolo, quella in cui egli riflette con lucidità e passione sul mistero della giustizia di Dio e sulla salvezza offerta a ogni uomo. Oggi, 14 ottobre 2025, il passo liturgico è Romani 1,16-25, in cui l’Apostolo afferma con forza che il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, e spiega come l’umanità, pur conoscendo Dio, abbia scelto di adorare la creatura invece del Creatore.
E domani, 15 ottobre, si passerà direttamente al capitolo 2, saltando un brano decisivo. Si tratta di Romani 1,26-32: “Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa”.
Qui san Paolo non fa altro che trarre le conseguenze di ciò che ha appena detto. Parla di una umanità che, avendo rifiutato la verità di Dio, si trova smarrita e preda delle proprie passioni. Le parole sono forti: “Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami…”. Paolo descrive il disordine morale che nasce quando si sostituisce la verità con la menzogna, quando si scambia il bene con il male e il male con il bene. È un testo duro, ma vero. È il realismo della Scrittura, che non teme di mostrare la miseria dell’uomo per rivelare la misericordia di Dio.
Eppure, proprio questo brano viene taciuto. Perché? Si potrebbe pensare a una scelta di discrezione, di rispetto verso chi potrebbe sentirsi toccato o giudicato. Ma la Parola di Dio non giudica per condannare, bensì per illuminare, per chiamare alla conversione. Se si tace ciò che è scomodo, se si cancella ciò che disturba, non si protegge l’uomo: lo si priva della possibilità di guardarsi allo specchio, di riconoscere la propria ferita e di invocare guarigione.
C’è una forma sottile di censura spirituale che, nel nome del “politicamente corretto”, rischia di rendere la Parola innocua, addomesticata. Ma la Parola non è solo un balsamo che consola, è anche fuoco che purifica, spada che separa, verità che mette in crisi. Chi proclama il Vangelo non deve temere di offendere, ma di non essere fedele.
San Paolo non scriveva per condannare l’uomo, ma per ricordargli che, lontano da Dio, tutto si corrompe; che la grazia non si comprende se prima non si riconosce il peccato. Togliere quei versetti significa togliere un pezzo di verità, e senza verità non c’è salvezza. Non si tratta di difendere un moralismo antico, ma di custodire la Parola intera, senza sconti e senza mutilazioni.
Forse dovremmo tornare a leggere tutto, anche ciò che non piace, anche ciò che ci mette a disagio. Solo così la Parola potrà tornare a ferire per guarire, a inquietare per convertire, a giudicare per salvare. I tagli non fanno bene all’anima: la Parola, per essere luce, deve essere intera.
Nessun commento:
Posta un commento