Sarebbe molto utile protestare, rispettosamente, presso S. Ecc. Rev. Mons. Roberto Farinella: segreteriavescovo@diocesi.biella.it oppure a S. Ecc. Rev. Mons. Vittorio Viola, che è di quelle parti, Segretario del Dicastero del Culto Divino (QUI per scrivere).
Sotto la foto scamiciata del parroco don Mario Foglia Parrucin: giustamente...al posto della croce ha una penna al collo.
Luigi C.
Un gruppo di fedeli confusi, 3-6-24, Lo Spiffero
Un caso anomalo di soggettiva interpretazione della liturgia della Chiesa si verifica a Vallemosso, nella diocesi di Biella. Il parroco, don Mario Foglia Parrucin, un tipo piuttosto estroso, per adoperare un eufemismo, uno che preferisce, ogni settimana, essere presente alla preghiera del venerdì nella moschea del territorio piuttosto che celebrare la S. Messa feriale per i fedeli delle sue tre parrocchie, ha innescato un singolare esperimento, pare, con il silenzioso benestare sotto la formula “ad experimentum” del vescovo diocesano, mons. Roberto Farinella.
Il parroco in questione, dunque, una domenica al mese (almeno per adesso), affida la completa gestione di uno strambo culto festivo ad un gruppo di fedeli laici. Fanno tutto loro, servizio completo: chi inizia la preghiera, presiedendola; chi fa l’omelia (e ci si chiede con quale preparazione e competenza), nonostante le indicazioni del Magistero proibiscano l’omelia fatta dai laici, almeno per ora, chi distribuisce la S. Comunione. Il prete non è assente per altri impegni di ministero, per celebrare magari la S. Messa in un’altra delle sue tre parrocchie. Anzi, se ne sta buono, quatto quatto, tra i fedeli, vestito in borghese per non distinguersi da loro, risponde alle formule, canta con tutti e, intanto, controlla se l’esperimento riesce bene. Forse gongola per essere un prete all’avanguardia, antesignano di una realtà, a suo dire, alla quale tra poco ci si dovrà abituare.
Certamente e troppo a modo suo è tempestivo, guarda lontano. Si noti che è l’unica Messa, ma che diciamo mai, non-Messa, ma l’unica liturgia della Parola di Dio che si celebra in quel giorno sul fronte delle tre comunità a lui affidate. Se ne deduce che quel giorno il prete NON celebra e i suoi parrocchiani NON partecipano alla Messa, NON assolvono al precetto festivo, ancora in auge nella Chiesa. Quando andranno a confessarsi (se vanno), sono autorizzati a dire: “Non siamo andati a Messa perché il nostro prete non ha voluto celebrarcela!!!”.
A chi obietta queste stranezze pastorali, il progressista parroco contrattacca: così si è deciso nel Consiglio Pastorale parrocchiale, da lui manovrato e convinto che il futuro delle parrocchie sia quello così progettato. Un Consiglio assoluto, decisionista e non soltanto consultivo com’è nella sua natura ecclesiale. Siamo di fronte a un prete o impreparato o portato ad esagerazioni, a un sognatore o a un disobbediente non curante della Chiesa e dei suoi Pastori. Uno che ignora (ma potrebbe sempre informarsi) che la Conferenza Episcopale piemontese ha editato nel 2014 (dieci anni fa) il rituale: “Liturgia festiva della Parola di Dio in assenza del presbitero”!!! Ma nel nostro caso il presbitero c’è, eccome! Lo si vede, lo si sente, ma non nel suo ruolo di presidente della celebrazione eucaristica, di cui i fedeli hanno tutto il diritto, ma in quella di assistente/controllore di un altro rito. E ancora un paradosso eclatante: la parrocchia di Vallemosso è la comunità cristiana in cui è cresciuto e si è formato l’Arcivescovo mons. Vittorio Viola, Segretario del Dicastero del culto divino e della disciplina dei Sacramenti! Chissà cosa ne pensa l’Eccellenza a Roma di questa scriteriata novità che avviene nel suo paese di origine!
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Risponde Eusebio Episcopo
La vostra lettera è, sotto tutti gli aspetti, esemplare e significativa. Essa dice molte cose. Innanzitutto manifesta quello che Benedetto XVI ebbe ad affermare in più occasioni e cioè che la crisi della Chiesa è la crisi della liturgia e viceversa; che si possono tranquillamente violare tutte le norme canoniche –infischiandosene dei diritti dei fedeli, ma soprattutto dei diritti sacrosanti di Dio – addirittura con il consenso del vescovo; che è in atto nella Chiesa una deriva assembleare di tipo autoritario senza pari dove il Consiglio pastorale assume la veste della congregazione degli anziani della Ginevra di Calvino. Rivolgervi al vostro vescovo, il buono e pio – quanto imbelle, monsignor Roberto Farinella – è perfettamente inutile. Ostaggio della corte progressista che lo circonda, andrebbe in tensione e vi implorerebbe di avere compassione di lui. E poi l’abuso che sta perpetrando il vostro parroco è stato da lui autorizzato ad experimentum ed il particolare è interessante. Lo stato miserando in cui versa la liturgia cattolica si deve infatti proprio, fra le altre cose, alle sperimentazioni che monsignor Annibale Bugnini, segretario del Consilium, impose a Paolo VI per far passare la riforma liturgica. Forse voi che scrivete siete giovani ma noi, pur ancora ragazzi, ricordiamo benissimo i fascicoli che arrivavano nelle parrocchie con il famigerato titolo “Ad experimentum” in cui appunto si autorizzava a sperimentare di tutto con l’obiettivo di ingenerare la peggiore delle idee e cioè che la liturgia fosse qualcosa che si poteva tranquillamente manipolare, che era cosa nostra e si dovesse adattare ai gusti dell’assemblea.
Fareste bene ad inviare la vostra lettera anche all’illustre figlio di Vallemosso, l’arcivescovo monsignor Vittorio Viola che porta al dito l’anello di Annibale Bugnini, il più esperto di tutti in liturgia, inflessibile e duro verso chi chiede di poter celebrare con l’Antico Rito, ma indulgente verso i devastatori, non si ricorda infatti una sua nota ai vescovi di riprovazione degli abusi. Forse perché in fondo è d’accordo con loro. Vi anticipo la risposta che sarà garbata e cortese. Vi dirà di rivolgervi al vescovo (sic!), vi dirà di essere obbedienti al parroco e concluderà con ampie citazioni di “Sacrosantum Concilium” – omettendone però alcune – e di quel capolavoro di vuotaggine che è la lettera Desiderio Desideravi (firmata dal papa ma scritta da lui) esortandovi alla pazienza e alla «conversione pastorale», non senza farvi in ultimo sapere che, leggendola, si è commosso e ha pianto.
Tutto però non rimarrà come prima. Perché se pur non otterrete quanto richiesto dal vostro diritto di fedeli ad avere una liturgia cattolica degna, i progressisti perderanno. Lo dice il successo strepitoso che di anno in anno – quest’anno erano 18.000 – vede accorrere giovani da tutta Europa al pellegrinaggio di Pentecoste da Parigi a Chartres, ma lo dice in fondo anche il contenuto argomentato della vostra ineccepibile lettera dove si prende coscienza di una situazione ormai insostenibile e non solo a Vallemosso. Già aver preso coscienza – dalla parte della ragione e del buon senso – è una vittoria. Lo sa bene un vescovo emerito della vostra diocesi, accanito liturgista progressista e grande amico di Andrea Grillo, perché se a più di cinquant’anni dalla riforma liturgica siamo a questo punto, vuol dire che qualcosa è andato storto. Chissà cosa avrebbe detto di questa situazione l’ultimo grande vescovo di Biella, monsignor Carlo Rossi, liturgista, componente della commissione conciliare sulla liturgia, del quale si ricorda – oltre alla mancata approvazione della Bose di Enzo Bianchi – che quando faceva il suo ingresso nella sacrestia del duomo per il pontificale, cessava ogni brusio, mentre oggi sembra di essere al mercato.
Il vostro parroco, tuttavia, come ben da voi espresso, vede lontano e non soltanto nello sperimentare un nuovo culto per una nuova Chiesa. Per questo il venerdì accorre alla preghiera nella moschea – cosa che non potrebbe mai avvenire a contrariis e cioè che l’imam partecipi alla Santa Messa – perché sa bene – e se non lo sa c’è da dubitare della sua intelligenza – che in un tempo non troppo lontano si finirà tutti lì. Non si tratta più di dialogo interreligioso ma di resa all’ideologia della cancel culture che rende chiaro, per continuare a citare Benedetto XVI, come l’Occidente odia sé stesso e si stia suicidando: «l’Occidente tenta in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia vede soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di capire ciò che è grande e puro. La multiculturalità non può sussistere senza rispetto di ciò che è sacro ma proprio di fronte agli altri e per gli altri è nostro dovere nutrire in noi stessi il rispetto davanti a ciò che è sacro e mostrare il volto di Dio che ci è apparso – del Dio che ha compassione dei poveri e dei deboli, delle vedove e degli orfani, dello straniero; del Dio che è talmente umano che egli stesso è diventato un uomo, un uomo sofferente, che soffrendo insieme a noi dà al dolore dignità e speranza. Se non facciamo questo, non solo rinneghiamo l’identità dell’Europa, bensì veniamo meno anche ad un servizio agli altri». Sono parole di verità e di coraggio che oggi la Chiesa non è più in grado di dire e che hanno come conseguenza la sua insignificanza, la liturgia ridotta a party non ne è che l’epifania.
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