lunedì 10 giugno 2024

La riforma liturgica e la trasformazione degli edifici di culto




10 giugno 2024

Ringraziamo Res Novae – Perspectives romaines per la segnalazione. Elementi non nuovi; ma repetita iuvant soprattutto per chi dovesse leggerci solo ora. Colgo l'occasione per ricordare il mio libro di cui uscirà presto la terza edizione: «La questione liturgica. Il rito Romano usus antiquior e il Novus Ordo Missae dal Vaticano II all'epoca dei ‘due papi’» qui.





Con la sua gentile autorizzazione, pubblichiamo qui le linee essenziali di uno studio di don Grégoire Célier apparso nella Lettre à nos frères prêtres. Lettre trimestrielle de liaison de la Fraternité Saint-Pie X avec le clergé de France [Lettera ai nostri fratelli preti. Lettera trimestrale di collegamento della Fraternità San Pio X con il clero di Francia – NdT] (n. 101, marzo 2024), riguardante un aspetto molto poco studiato della riforma liturgica: il suo impatto sulla trasformazione degli edifici di culto. Questo stravolgimento dello spazio sacro esprime e sottolinea la teologia che lo sottende. Lo studio ha il vantaggio di fornire un’antologia di testi pubblicati da specialisti riconosciuti tra il 1965 e il 1985, nei due decenni in cui la riforma era «fresca e gioiosa», costituendo una preziosa testimonianza storica del suo contesto e delle sue intenzioni.
Gli autori che abbiamo consultato sottolineano innanzitutto che una chiesa, come qualsiasi altro edificio, riflette nella sua architettura le idee di chi l’ha costruita. Costruita per una certa liturgia, un certo cerimoniale, una certa teologia, essa ne esprime necessariamente i valori. Attraverso la sua disposizione, crea un clima particolare, favorevole al dispiegamento della forma di espressione religiosa che ha presieduto alla sua progettazione. Di conseguenza, «interessarsi alla liturgia senza preoccuparsi della sistemazione dei luoghi in cui si svolge sarebbe insensato. Esiste infatti una profonda affinità tra lo spazio disposto secondo l’arte e la liturgia che vi si svolge[1]».

Ora, un edificio è, per sua natura, un oggetto stabile che resiste alla prova del tempo. «Un edificio non cambia come un rito[2]». Porta quindi con sé l’involucro che un periodo della vita della Chiesa aveva messo in atto per muoversi a suo agio, in un’epoca in cui magari la vita della Chiesa è profondamente cambiata, il che può causare una distorsione tra il contenitore e il contenuto. Dopo il Concilio Vaticano II, nello specifico, in ragione di una rapida e radicale evoluzione rituale (e teologica), una liturgia abbastanza nuova ha dovuto essere dispiegata in spazi architettonici costruiti secondo altri canoni e per altri usi. Infatti «la maggior parte dei nostri luoghi di culto è stata progettata e costruita diversi secoli fa per esigenze diverse dalle nostre[3]». I vecchi edifici si sono quindi rivelati più o meno inadatti alla messa in atto delle nuove norme della celebrazione cristiana.

In quest’ottica, «si pone una duplice questione: come utilizzare i luoghi di culto così come ci sono stati lasciati e come concepirne di nuovi che siano più adatti al nostro stile di vita urbano e alla situazione della Chiesa di oggi[4]».


«Due amori hanno costruito due città …» (sant’Agostino, La Città di Dio, XIV, 28)


La domanda, fin dall’inizio, è la seguente: «Come fare in modo che la liturgia di oggi si svolga nel miglior modo possibile in un ambiente concepito per la liturgia di altri tempi?[5]». Perché, come ha osservato padre Congar a proposito di San Pietro a Roma (ma la sua osservazione si applica parimenti per altre chiese), «un’intera ecclesiologia è già inscritta nella disposizione dei luoghi[6]».

Padre Quellec spiega molto chiaramente cosa vi sia in gioco: «La configurazione esterna di un edificio, la distribuzione e l’organizzazione dei suoi spazi interni, lo stile degli oggetti che vi sono ripartiti formano già un’immagine più o meno chiara del Dio che incontriamo lì. […] Il nostro modo di occupare lo spazio delle nostre chiese, di disporre il mobilio, di allestire il santuario, come anche la scelta di una croce, un’icona o un altare, implica che ci riferiamo, che lo vogliamo coscientemente o no, a diverse immagini di Dio. È stato spesso sottolineato che l’immagine di Cristo nell’Eucaristia è molto diversa a seconda che l’altare assomigli a un semplice tavolo o a una tomba monumentale. […] Va notato che, nella maggior parte dei casi, non c’era la possibilità di fare scelte che rivelassero una spiritualità: la chiesa veniva ricevuta, quasi così com’era, da coloro che l’avevano progettata e organizzata. Va anche detto che, altrettanto frequentemente, c’è una sorta di iato tra la sensibilità e le idee religiose dei contemporanei e quelle che regolavano la costruzione di un edificio[7]».

Ad esempio, «le pale d’altare del XVII secolo, concepite, come richiesto dal concilio di Trento, per l’adorazione, rappresentano una certa visione della fede. Ora abbiamo un’idea diversa della presenza reale[8]». «Dall’epoca della Controriforma, il Santissimo Sacramento è stato spesso associato all’altare maggiore, con il quale era visto come il centro vitale dell’edificio. Ma l’attuale rinnovamento della celebrazione liturgica, restituendo il valore proprio di ogni momento della celebrazione, ha dato nuovo valore agli altri modi in cui il Signore è presente[9]».

«Alla prima concezione della Chiesa, quella precedente al Vaticano II, corrisponde, a titolo di esempio, un’architettura ecclesiastica in cui il santuario è sproporzionatamente enorme, ben separato dal popolo, dominante sull’assemblea dei fedeli, un corpo insignificante (nel vero senso della parola) con la testa idrocefala. Alla teologia del Vaticano II, invece, corrisponde un’architettura in cui il santuario e la navata sono integrati senza soluzione di continuità in un insieme armonioso[10]».

Ora, l’architettura sacra «deve presentare un’immagine della Chiesa che sia pienamente coerente con quella che la liturgia, da parte sua, si sforza di trasmettere[11]». Questo perché «nemmeno la progettazione dei luoghi di culto è stata risparmiata dagli effetti del rinnovamento[12]».
Una modificazione teologica degli edifici di culto

L’unica soluzione possibile consiste in una riorganizzazione dello spazio architettonico ridefinendo la disposizione dei volumi e degli oggetti. Questa riconversione però è difficile, a causa della caratteristica inerzia dell’edificio. «Celebrare in un edificio antico pone problemi tecnici, di protezione e legati all’evoluzione della liturgia: dopo il Concilio Vaticano II, la predicazione, le celebrazioni eucaristiche ad esempio, non richiedono più esattamente gli stessi movimenti di prima[13]».

«Poiché la riforma liturgica ha portato a cambiamenti nella disposizione degli spazi, dobbiamo renderci conto che questi cambiamenti non sono privi di problemi, soprattutto quando avvengono in edifici progettati secondo una logica diversa. Per esempio, oggi occupiamo punti di questo spazio in cui non era previsto che si parlasse. Così facciamo violenza al luogo. L’architettura violata non entra più in risonanza con l’assemblea. Non può farlo – non può rispondere – che rimanendo ognuno al posto giusto[14]».


«Il problema della riconversione delle chiese tradizionali, ce ne siamo sufficientemente resi conto, non è né semplice né di facile risoluzione. La forma delle nostre vecchie chiese non si presta immediatamente agli adattamenti auspicati dal concilio[15]». Ad esempio, «una volta installato l’altare definitivo [rivolto verso il popolo], sarà necessario considerare la rimozione, la ricollocazione o qualsiasi altra soluzione per il vecchio altare. Tale operazione non può essere effettuata senza la consulenza di un architetto competente. L’architettura di una chiesa è stata spesso progettata in funzione dell’altare in fondo al coro. Il cambio dell’altare non modifica solo il mobilio, ma trasforma le linee architettoniche[16]».

«Le chiese si prestano difficilmente a usi diversi da quelli per cui sono state progettate: nella maggior parte di esse, l’intera struttura è pensata per assemblee “in lungo”. Da qualche tempo la pianta delle chiese sta cambiando: sono progettate per assemblee “in largo”, dove le persone possono vedersi, ascoltarsi e comunicare. A volte riusciamo a sistemare una vecchia chiesa in quest’ottica: è sempre difficile[17]». «È chiaro che le nostre belle chiese lunghe e riempite da una foresta di pilastri favoriscono la preghiera solitaria più che la riunione di un popolo; le nuove chiese, al contrario, ci impediscono di isolarci[18]».

Poiché la qualità della celebrazione secondo le nuove norme liturgiche dipende da un ambiente architettonico adeguato, non è possibile lasciare le cose come stanno. Padre Gélineau nota in effetti «la difficoltà fin troppo evidente che si incontra cercando di inserire la liturgia post-Vaticano II in spazi e volumi pensati per un tipo di liturgia molto diverso[19]».


I liturgisti non si sono arresi: «Sottolineiamo ancora che i sacerdoti sono invitati a continuare a perseguire l’adattamento delle chiese in funzione delle esigenze della liturgia. In particolare, si consiglia loro di collocare il Santissimo Sacramento in una cappella separata dalla navata principale della chiesa e di trovare uno spazio nuovo per i tesori dell’arte sacra, se devono essere rimossi dalla loro attuale collocazione[20]».

È quindi necessario considerare la modifica della disposizione delle chiese, laddove necessario e possibile, per adattarle alla nuova liturgia. Va notato che, fin dall’inizio, alcune disposizioni sono più favorevoli di altre. «Una chiesa semicircolare, dove tutti possono vedersi e sentirsi in relazione, consente certamente una migliore attuazione della riforma post-conciliare rispetto a una navata allungata costruita secondo altri canoni estetici e religiosi[21]».


Ma poiché spesso non è così, bisogna pensare a «trasformare la sistemazione interna delle chiese di tutto il mondo, in vista di un rinnovamento della celebrazione dell’eucaristia[22]». L’altare deve quindi essere posto rivolto al popolo[23], l’ambone deve essere predisposto, la riserva eucaristica deve essere ricollocata e i posti a sedere devono essere ridistribuiti. « Questo spirito ci porta anche oltre: la scelta di banchi piuttosto che di sedie (per evitare di girarsi e il rumore che ne deriva), l’eliminazione degli inginocchiatoi (i fedeli rimangono in piedi o seduti durante l’azione liturgica)[24]».


In breve, occorre riconsiderare la disposizione generale della domus ecclesiae. «Questa severa prescrizione sugli altari minori [cioè la loro rimozione] vale a maggior ragione per i tanti oggetti di devozione che ancora oggi costellano così spesso le pareti e le colonne delle nostre chiese: stazioni della Via Crucis, statue, confessionali indiscreti, ecc. Se hanno il loro posto in cappelle separate dallo spazio principale della chiesa, disperdono l’assemblea quando, nell’eucaristia, è chiamata a dare un segno di unità[25]».

«Le chiese in effetti non sono musei che in forma accessoria, comprese quelle classificate. Esse svolgono innanzitutto una precisa funzione cultuale. È quindi naturale che la loro disposizione, il loro arredamento, rispondano alle esigenze della liturgia, in particolare della liturgia del momento. Ora, quest’ultima implica nuovi modi di riunirsi; richiede un mobilio effettivamente mobile; porta all’abbandono dell’uso di alcuni oggetti liturgici; raggruppando le parrocchie, lascia le chiese inutilizzate. Tutto ciò ha importanti conseguenze pratiche e si dovrà ben riconoscere che le vecchie chiese non sempre si prestano agli interventi desiderati[26]». «La riforma richiede nuove creazioni: la disposizione delle chiese, con l’altare rivolto verso i fedeli, il luogo dove si celebra la Parola di Dio, la sede del celebrante, la cappella del Santissimo Sacramento e un nuovo concetto di confessionale[27]».


Chiese per un’autocelebrazione dell’assemblea


«Cambiando il rito, la riforma comporterà anche una nuova concezione della struttura delle nostre chiese? Sì, e sotto diversi aspetti. Innanzitutto, insistendo sul senso comunitario della Messa come assemblea del popolo di Dio, la riforma impone che tutti siano nelle condizioni di seguire il rito che si svolge sull’altare. Da un lato, quindi, mira a eliminare tutti gli schermi (colonne, pilastri, ecc.) che impediscono una chiara visione dell’altare, il che è oggi reso possibile dall’evoluzione delle tecniche architettoniche. Dall’altro, rimette l’altare al centro, non geometricamente ma idealmente, e lo preferisce decisamente e giustamente rivolto verso il popolo. Inoltre, dando valore al servizio dell’assemblea, la riforma rende necessario trovare luoghi adatti per il celebrante, i suoi ministri, i lettori, l’ambone e così via. Per le stesse ragioni, riduce il numero di altari minori, che sono dannosi per l’unità dell’assemblea, e semplifica parimenti gli ornamenti che finiscono per sovrastare l’altare[28]».

Questa necessità di riqualificazione architettonica non deve sorprendere, perché, se il contenitore influenza il contenuto, il contenuto deve a sua volta reagire al contenitore. «La Chiesa post-conciliare sta vivendo un profondo cambiamento ed è naturale che la chiesa-edificio ne subisca gli effetti[29]». Effettivamente, «la riforma liturgica impone a molti un nuovo assetto dei luoghi di culto[30]».


«Il fatto che [il rinnovamento della liturgia] abbia un impatto sui luoghi di culto e che questi si trovino in parte inadeguati ai cambiamenti subiti dalla liturgia non deve in alcun modo sorprendere. Nella misura in cui le azioni sacre sono cambiate, nella misura in cui l’accento è stato posto su una partecipazione più totale del popolo dei fedeli, anche gli edifici costruiti in altri tempi e con una prospettiva diversa dovranno essere allestiti perché rispondano alla loro nuova destinazione[31]».

È l’intera nuova visione ecclesiologica che si esprime naturalmente in questa diversa strutturazione dello spazio sacro. «È evidente che la riforma liturgica non può limitarsi a qualche cambiamento nel tenore dei testi letti dai ministri o nei gesti dei celebranti. (…) Essa trasforma il rapporto tra il celebrante e i fedeli. Distribuisce in un modo per noi nuovo, anche se profondamente tradizionale, le rispettive funzioni del celebrante, dei ministri, della schola e del popolo. Ne consegue che richiede una disposizione dei luoghi della celebrazione del tutto diversa da quella che si è avuta finora[32]».

Questo perché «la costruzione e l’allestimento delle chiese possono ora avvenire alla luce di una concezione molto più completa ed elaborata dello spazio liturgico[33]».

Padre Roguet, buon giudice, aveva intuito molto presto l’inevitabile avvento di questa sensibile incarnazione del rinnovamento. «Alcune riforme, che sembravano non riguardare che delle rifiniture dei testi e dei riti, modificheranno insensibilmente alcuni accessori delle nostre chiese e persino alcune delle loro strutture architettoniche[34]». Questo è ciò che tutti hanno potuto capire un po’ più tardi. «La riforma liturgica mira con tutte le sue forze alla partecipazione piena e attiva di tutto il popolo. Perché ciò sia possibile, è necessaria un’architettura adeguata. […] Il rinnovamento liturgico e il modo in cui la Chiesa si colloca nel mondo richiedono un nuovo tipo di architettura[35]».


* * *

Concluderemo citando questo messaggio del cardinal Lercaro, allora presidente del Consiglio per la riforma della liturgia, al simposio degli artisti tenutosi a Colonia il 28 febbraio 1968.


«Senza dubbio», ha detto, «una cosa è ben chiara: le strutture architettoniche delle chiese devono cambiare con la stessa rapidità con cui oggi cambiano le condizioni di vita e le case degli uomini. Anche quando costruiamo un luogo di culto, dobbiamo tenere ben presente la natura estremamente transitoria di queste strutture materiali, la cui funzione è quella di servire la vita delle persone. In questo modo, eviteremo che le generazioni future siano condizionate da chiese che oggi consideriamo all’avanguardia, ma che rischiano di essere per loro solo edifici obsoleti. Da parte nostra, stiamo oggi vivendo tale condizionamento: percepiamo quanto sia difficile per le meravigliose chiese del passato adattarsi alla nostra sensibilità religiosa, con quale forza d’inerzia si oppongano alle necessarie riforme dell’azione liturgica. […] Non abbiamo quindi la presunzione di costruire chiese per i secoli a venire, ma accontentiamoci di fare chiese modeste, funzionali, adatte alle nostre esigenze e davanti alle quali i nostri figli si sentano liberi di ripensarne di nuove, di abbandonarle o di modificarle come il loro tempo e la loro sensibilità religiosa suggeriscono loro[36]».

Don Grégoire Célier

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[1] E. Vauthier, « L’aménagement des églises », Esprit et Vie – L’Ami du clergé [«L’allestimento delle chiese», Spirito e Vita – L’Amico del clero – NdT] 27, 5 luglio 1984, p.393.
[2] Guy Oury, « L’aménagement des églises. Un aspect du renouveau liturgique », L’Ami du clergé [«L’allestimento delle chiese. Un aspetto del rinnovamento liturgico», L’Amico del clero – NdT] 6, 10 febbraio 1966, p. 89.
[3] « Simple dialogue à propos de l’espace liturgique », Communautés et Liturgies [«Semplice dialogo a proposito dello spazio liturgico», Comunità e Liturgia – NdT] 6, novembre-dicembre 1978, p. 545.
[4] « Simple dialogue à propos de l’espace liturgique » [«Semplice dialogo a proposito dello spazio liturgico» – NdT], loc. cit.,, p. 546.
[5] « Le congrès d’art sacré d’Avignon », Notes de pastorale liturgique [«Il congresso d’arte sacra di Avignone», Note di pastorale liturgica – NdT]137, dicembre 1978, p. 63.
[6] Yves Congar, Vatican II. Le concile au jour le jour, première session [Vaticano II. Il concilio giorno per giorno, prima sessione – NdT], Cerf-Plon, 1963, p. 23.
[7] Jean-Yves Quellec, « Le Dieu de nos églises », Communautés et Liturgies [«Il Dio delle nostre chiese», Comunità e Liturgia – NdT] 4, settembre 1981, p. 275 e 278.
[8] Philippe Boitel, « Une église peut-elle être un musée ? », Informations catholiques internationales [«Una chiesa può essere un museo ?», Informazione cattolica internazionale – NdT] 402, 15 febbraio 1972, p. 5.
[9] « Vêtements, objets, espaces liturgiques », Notes de pastorale liturgique [«Vesti, oggetti, spazi liturgici», Note di pastorale liturgica – NdT] 105, agosto 1973, p. 26.
[10] Lucien Deiss, Les ministères et les services dans la célébration liturgique [I ministeri e i servizi nella celebrazione liturgica – NdT], éditions du Levain, 1981, p. 8.
[11] Roger Béraudy, « Introduction » in Espace sacré et architecture moderne [Spazio sacro e architettura moderna – NdT], Cerf, 1971, p. 7.
[12] Charles Wackeinheim, Entre la routine et la magie, la messe [Fra routine e magia, la messa – NdT], Centurion, 1982, p. 23.
[13] « Le congrès d’art sacré d’Avignon », Notes de pastorale liturgique [«Il congresso d’arte sacra di Avignone», Note di pastorale liturgica]137, dicembre 1978, p. 64.
[14] Paul Roland, « Libre propos sur l’espace liturgique », Communautés et Liturgies [«Discorso libero in tema di spazio liturgico», Comunità e Liturgia – NdT] 4, settembre 1981, p. 296.
[15] Jean Huvelle, « Réforme liturgique et aménagement des églises », Revue diocésaine de Tournai [«Riforma liturgica e allestimento delle chiese», Rivista diocesana di Tournai – NdT], 1965, p. 236.
[16] Thierry Maertens e Robert Gantoy, La nouvelle célébration liturgique et ses implications [La nuova celebrazione liturgica e le sue implicazioni – NdT], Publications de Saint-André-Biblica, 1965, p. 57.
[17] « Bâtir une célébration », Célébrer [«Disporre una celebrazione», Celebrare – NdT] 151, aprile 1981, p. 14.
[18] Henri Denis, L’esprit de la réforme liturgique [Lo spirito della riforma liturgica – NdT], Société nouvelle des imprimeries de la Loire Républicaine, 1965, p. 27.
[19] Joseph Gélineau, Demain la liturgie [La liturgia domani – NdT], Cerf, 1976, p. 29.
[20] « L’instruction sur le culte eucharistique montre que la mise en œuvre de la réforme est fermement poursuivie », Informations catholiques internationales [«L’istruzione sul culto eucaristico mostra che l’attuazione della riforma viene perseguita con fermezza», Informazione cattolica internazionale – NdT] 290, 15 giugno 1967, p. 8.
[21] Jean-Claude Crivelli, Des assemblées qui célèbrent : une pratique des signes du salut [Assemblee che celebrano: una pratica dei segni della salvezza – NdT], Commission suisse de liturgie, 1980, p. 11.
[22] Pierre Jounel, « Le missel de Paul VI », La Maison Dieu [«Il messale di Paolo VI», Casa Dio – NdT] 103, 3° trim. 1970, p. 32.
[23] «Non si adotteranno l’altare definitivo rivolto al popolo e le conseguenze che esso comporta che dopo una catechesi che si potrebbe concentrare sul senso dell’assemblea o quello della presenza di Dio nella comunità. Si potrebbe spiegare ai fedeli che l’assemblea cristiana non è solo un’assemblea di uomini rivolti verso il loro Dio, perché Dio si è incarnato in essa ed è al suo interno che deve scoprirlo» [La traduzione è nostra – NdT] (Thierry Maertens e Robert Gantoy, La nouvelle célébration liturgique et ses implications [La nuova celebrazione liturgica e le sue implicazioni – NdT], op. cit., p. 16).
[24] Thierry Maertens e Robert Gantoy, La nouvelle célébration liturgique et ses implications [La nuova celebrazione liturgica e le sue implicazioni – NdT], op. cit., p. 21.
[25] Thierry Maertens e Robert Gantoy, La nouvelle célébration liturgique et ses implications [La nuova celebrazione liturgica e le sue implicazioni – NdT], op. cit., p. 21.
[26] Philippe Boitel, « Une église peut-elle être un musée ? », Informations catholiques internationales [«Una chiesa può essere un museo ?», Informazione cattolica internazionale – NdT] 402, 15 febbraio 1972, p. 4.
[27] « Interview du cardinal Knox », Préfet de la Congrégation pour le Culte divin, La Documentation catholique [«Intervista del cardinale Knox», Prefetto della Congregazione per il Culto divino, La Documentazione cattolica – NdT] 1674, 20 aprile 1975, p. 368.
[28] Cardinal Giacomo Lercaro, presidente del Consiglio per la riforma della liturgia, « Nouvelle étape de la réforme liturgique : le pourquoi du comment », Informations catholiques internationales [«Nuova tappa della riforma liturgica : il perché del come», Informazione cattolica internazionale – NdT] 235, 1° marzo 1965, p. 26.
[29] Philippe Boitel, « Quelles églises pour demain ? », Informations catholiques internationales [«Quali chiese per domani?», Informazione cattolica internazionale – NdT] 388, 15 luglio 1971, p. 22.
[30] « Dimanche et mission pastorale dans un monde paganisé », Notes de pastorale liturgique [«Domenica e missione pastorale in un mondo paganizzato», Note di pastorale liturgica – NdT] 57, agosto 1965, p. 10.
[31] Guy Oury, « L’aménagement des églises – Un aspect du renouveau liturgique » [«L’allestimento delle chiese – Un aspetto del rinnovamento liturgico» – NdT], loc. cit., , p. 89.
[32] Commission épiscopale de liturgie, « Le renouveau liturgique et la disposition des églises », Notes de pastorale liturgique [«Il rinnovamento liturgico e la disposizione delle chiese», Note di pastorale liturgica – NdT] 58, ottobre 1965, p. 41, o La liturgie, Documents conciliaires V [La liturgia, Documenti conciliari V – NdT], Centurion, 1966, p. 201.
[33] Frédéric Debuyst, « Quelques réflexions au sujet de la construction d’espaces liturgiques », Communautés et Liturgies [«Qualche riflessione sul tema della costruzione degli spazi liturgici», Comunità e Liturgia – NdT] 4, settembre 1981, p. 285.
[34] A.M. Roguet, « Le signe du vin », Notes de pastorale liturgique [«Il segno del vino», Note di pastorale liturgica – NdT] 66, febbraio 1967, p. 43.
[35] F. Agnus, « Architecture et renouveau liturgique », Notes de pastorale liturgique [«Architettura e rinnovamento liturgico», Note di pastorale liturgica – NdT] 76, ottobre 1968, p. 46.
[36] Giacomo Lercaro, « Message au symposium des artistes tenu à Cologne le 28 février 1968 », La Maison Dieu [«Messaggio al simposio degli artisti tenuto a Colonia il 28 febbraio 1968», Casa Dio – NdT] 97, 1° trim. 1969, p. 16-17, o Espace sacré et architecture moderne [Spazio sacro e architettura moderna – NdT], Cerf, 1971, p. 25-26.



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