SOSTA FILOSOFICA
Tre sono le difficoltà nell’ammettere l’esistenza di Dio. Come risolverle?
1 GENNAIO 2024
Rubrica a cura di Corrado Gnerre
Ci sono almeno tre difficoltà nell’ammettere l’esistenza di Dio e quindi nel concludere quanto evidente sia la sua presenza. La ragione fa chiaramente capire che Dio esiste, perché una “causa prima” deve pur esserci per una realtà che non si configura come “causa di se stessa”: la materia, infatti, non si fa da sé, né tantomeno l’ordine può scaturire dal caso.
Ma –come dicevamo- ci sono delle difficoltà che ostacolano il cammino dell’uomo al riconoscimento dell’esistenza di Dio. Queste difficoltà sono almeno tre:
L’impossibilità di comprendere Dio.
La difficoltà di coniugare l’esistenza di Dio con l’esistenza del male.
La tendenza a complicare l’attività intellettiva e quindi di cadere verso una deriva di tipo intellettualista.
Approfondiamo.
L’impossibilità di comprendere Dio
Molti si chiedono: “Se Dio esiste, chi l’ha creato?”
La risposta è semplice: Dio si può conoscere, ma non si può comprendere. Conoscere Dio vuol dire cogliere la sua presenza, capire che è “causa prima”, cogliere alcuni suoi fondamentali attributi. Comprendere, invece, vuol dire avere la capacità di esaurirne il mistero, di sapere non solo che esiste Dio, ma anche come fa ad esistere. E questo è impossibile, perché l’infinito di Dio non può essere “trasferito” nella mente umana che è finita. Questa (la mente umana) non è “capace” di contenere Dio che è l’Incommensurabile.
E qui si origina un problema non indifferente che in un certo qual modo inibisce la conoscenza umana. Molti pensano che non si possa sapere che Dio esiste solo perché non se ne possa conoscere il mistero. Ma ciò è sbagliato. Un conto è sapere che Dio esiste, altro è sapere come fa Dio ad esistere. Sapere che Dio esiste è possibile, mentre sapere come fa Dio ad esistere è impossibile.
Faccio un esempio per meglio intenderci. So che Mario Rossi ieri è stato a Torino. L’ho visto, dunque lo so. Ma, conoscendo questo, devo pure sapere perché c’è stato? Evidentemente no. Mettiamo che non possa mai sapere il perché Mario Rossi sia stato Torino, ciò però non mi impedisce di sapere che c’è stato. Si tratta di due cose diverse. E così è anche per Dio: sapere che esiste Dio non vuol dire necessariamente sapere come fa Dio ad esistere. Sono due cose diverse.
La difficoltà di coniugare esistenza di Dio con l’esistenza del male
C’è un’altra difficoltà. Quella di coniugare l’esistenza di Dio con l’esistenza del male. Quante volte si sentono interrogativi di questo tipo: se Dio esiste, perché c’è la morte, il dolore, la sofferenza degli innocenti? Dalla difficoltà di rispondere adeguatamente a questi interrogativi vien fuori il cosiddetto ateismo postulatorio, che si chiama così anche perché “postula” un interrogativo: perché Dio e perché il male?
Si tratta –diciamocelo francamente- di un ateismo più “serio”, che nulla ha che vedere con l’ateismo classico che pretenderebbe dimostrare con la ragione l’inesistenza di Dio. Ateismo quest’ultimo che fa ridere, perché il ragionamento conduce all’esistenza di Dio come individuazione di una “causa prima” per ciò che non è causa di se stesso. Ma anche per l’ateismo postulatorio c’è ovviamente una risposta; una risposta che ha bisogno oltre che dalla ragione anche della fede. Infatti, valutando le varie “rivelazioni”, si nota che solo quella cristiana riesce veramente e persuasivamente a risolvere la questione e a far capire come sia coniugabile l’esistenza di un Dio-Amore con l’esistenza del male. La risposta è nella Croce di Cristo.
La tendenza a complicare l’attività intellettiva
E veniamo adesso alla terza difficoltà. Un conto è ragionare, altro è farsi prendere dalla complicatezza del ragionamento. Un conto è esercitare l’uso dell’intelligenza, altro è cadere in una deriva intellettualista. Spesso andiamo a cercare le soluzioni più difficili, quando la soluzione più facile è dinanzi a noi, ma, per presunzione, finiamo col non saperla cogliere, perché ci manca la sapienza e perché ci manca l’umiltà.
C’è un episodio interessante narrato dallo stesso protagonista. Siamo negli anni ’30 del secolo scorso, quindi in un tempo in cui non c’era televisione né i giornali erano diffusi come adesso. Il noto fisico Enrico Fermi si trovava nella campagna umbra. Era una serata afosissima e lo scienziato era sdraiato su un prato per prendere un po’ di frescura. Il cielo era stellato. Ad un tratto sopraggiunsero due contadini che avevano finito da poco di arare. Erano sudatissimi e stanchi. Uno dei due si sdraiò a terra a fianco dello scienziato non sapendo chi fosse. Appena sdraiato, il contadino, vedendo il cielo pieno di bellissime stelle, esclamò: “E poi dicono che Dio non esiste!” A queste parole, Fermi tra sé pensò: “Se costui sapesse la lezione che sta dando e a chi la stando, non crederebbe alle sue orecchie.”
Enrico Fermi era sdraiato chissà da quanto tempo. Vedeva il cielo stellato, ma era preso da chissà quali pensieri: i movimenti gravitazionali, i movimenti stellari… Il povero contadino, con ogni probabilità analfabeta, era invece andato subito al cuore della questione: “E poi dicono che Dio non esiste!”
Ecco: per cogliere Dio, che è l’essere massimamente semplice, occorre essere semplici. Non è la ragione ad allontanare da Lui, ma la complicatezza razionale… che è un’altra cosa.
Dio è Verità, Bontà e Bellezza
Il Cammino dei Tre Sentieri
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