Editoriale di Fideliter n°273
Pubblicato il 18 gennaio 2024
Abate Benoît de Jorna
È innegabile che i tempi siano a dir poco difficili. Il disordine è nelle strade così come nella mente delle persone. Siamo civilmente invitati a vivere in conformità con una precisa idea di uomo e di storia sulla quale dobbiamo ora costruire la società di oggi così come quella di domani. I criteri di bellezza non sono più quelli che potevamo ammirare nelle costruzioni del passato. La verità non deve più pretendere di trascendere le opinioni di tutti e affidarsi a regole di buon senso. E il bene non è più una morale di cui i dieci comandamenti riassumevano la quintessenza. Questi tre criteri non valgono più nella vita sociale e scompaiono dalla vita privata; non devono più guidare i cittadini nella ricerca di un cammino conforme alla natura di cui Dio è autore e tanto meno disporre alla ricerca della vita soprannaturale di cui Gesù Cristo è modello e fonte.
Davanti ai nostri occhi la vita delle società lotta contro Dio
La vita sociale è organizzata in modo tale che non esistono più né il bello, né il vero, né il bene. Wokismo, comunitarismo, femminismo, antispecismo contribuiscono ampiamente a questo con grande pubblicità. Il passato viene raso al suolo e la storia riscritta. La nostra società vive, deliberatamente, in cambiamenti radicali e molto rapidi. Non ci sono più eroi a cui ispirarsi, né modelli a cui fare riferimento. Volontariamente, la nostra vita civica è stata ridotta a una grande impresa economica che avvantaggia i ricchi e impoverisce i poveri; non ha più una reale dimensione politica, orientata al desiderio del bene comune virtuoso; non si basa più sulla permanenza di principi perenni. Consiste in un movimento. Gli uomini si susseguono, senza attaccamento, attori di una vasta fabbrica di prodotti virtuali.
Davanti ai nostri occhi, e nostro malgrado, la vita civile lotta contro Dio, fonte e fine dell'essere. Sottomettere la religione al regime economico che la governa significa semplicemente promuovere un secolarismo combattivo e totalitario.
Purtroppo il Concilio Vaticano II si è dato come precetto l'esame dei segni dei tempi e la Chiesa conciliare si precipita a capofitto verso le stesse follie. Romano Amerio, nella sua famosa opera Iota Unum, castigò giustamente questo nuovo cristianesimo: “La Chiesa sembra temere di essere respinta, come positivamente avviene da una larga parte del genere umano. Cerca quindi di scolorire le proprie peculiarità meritorie e di colorare d'altra parte i tratti che ha in comune con il mondo: tutte le cause giuridiche da essa sostenute hanno l'appoggio della Chiesa. Offre i suoi servizi al mondo e cerca di assumere un ruolo guida nel progresso umano. Ho dato a questa tendenza il nome di cristianesimo secondario. »
Di fronte a questo pericolo, la fermezza cattolica è sempre stata salvezza e per noi è particolarmente importante che rimanga tale. È ancora necessario che abbiamo nel cuore un ardore invincibile, che la fede nella Santa Chiesa ci rinvigorisca sempre e che siamo animati dalla bella virtù teologale della speranza.
L’attuale turpitudine è una prova purificatrice
Per ora dobbiamo sopportare molte prove e difficoltà; attraverso questo mondo corrotto: «Nostro Signore Gesù Cristo ha dato se stesso per i nostri peccati per salvarci da questo mondo perverso nel quale ci troviamo» (Lettera ai Galati 1, 4). Perché il secolo fa di tutto per farci venir meno: ci offre tutte le turpitudine propizie alla caduta. Questo mondo decadente ci sconvolge e allo stesso tempo attrae fortemente la nostra lussuria. È quindi necessario attraversarlo perché, cristiani, aspettiamo con fermezza la risurrezione e la vita eterna. Che grazia incredibile, oggi, cogliere già questa felicità futura al termine di una vita fugace!
Dobbiamo aspettare, ma soprattutto sperare perché «è nella speranza che siamo salvati. Ma vedere ciò che speriamo non è più sperare” (Lettera ai Romani 8, 24). In tutte le sue Epistole San Paolo ci incoraggia a sperare nella gloria futura. Ci invita ad attendere pazientemente nello scorrere del tempo la redenzione completa e definitiva. «Le tribolazioni, l'angoscia, le persecuzioni, la fame, la nudità, i pericoli e la spada» (ibid., 35) non possono fermare il cristiano. E la forza data dalla speranza teologale consiste proprio nel non considerare la turpitudine attuale come un ostacolo, ma piuttosto come una prova purificatrice che attesta la nostra fermezza nel cammino verso la felicità eterna. Per questo san Paolo arriva a dire: «Ci gloriamo anche nella tribolazione, perché sappiamo che la tribolazione produce la perseveranza, la perseveranza produce la virtù solida e la virtù confermata la speranza» (Lettera ai Romani 5, 3-4).
«Tutto ciò che nel mondo è debole, questo è ciò che Dio ha scelto per confondere la sua forza» (1 Lettera ai Corinzi 1, 27). Sappiamo infatti che la nostra forza è in Gesù Cristo e la nostra lotta una partecipazione alla sua. In questo mondo malvagio, la speranza è una consolazione, ma anche una gioia perché attesta che tessiamo per noi stessi una corona di gloria.
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