Il Papa ha incontrato i rappresentanti del Gruppo Dialop, composto da cristiani, socialisti e marxisti. Ma nel suo discorso ha mancato di segnalare la diversità di visione che esiste tra dottrina politica cattolica e marxismo-socialismo.
Stefano Fontana, 12-01-2024
Mercoledì 10 gennaio, Francesco ha tenuto un discorso di saluto al Gruppo Dialop (Transversal Dialogue Project) composto da cristiani, socialisti e marxisti: «Do il benvenuto a voi, rappresentanti di Dialop, da molti anni impegnati per la promozione del bene comune attraverso il dialogo tra socialisti/marxisti e cristiani. Un bel programma!». Il Papa ha invitato a «sognare», ad «avventurarsi» e a «rischiare». Ha parlato in particolare di «rompere gli schemi», «fare attenzione ai deboli», «promuovere la legalità».
I primi tre inviti – sognare, avventurarsi e rischiare – non sono categorie teologiche né, tantomeno, dottrinali, e nemmeno pastorali. Sono concetti sentimentali, esperienziali e sociologici, per di più dallo scarso significato contenutistico: sognare cosa? Avventurarsi dove? Rischiare fino a che punto e perché? Si tratta di inviti a fare un percorso, a iniziare un processo … ma senza criteri per stabilire quando questo percorso sia positivo o meno, cristiano o meno. Si potrebbe dire che inviti così formulati possano essere detti “storicistici”, nel senso che il loro senso emergerà dalla storia, dentro lo stesso processo, anziché esserci in precedenza come luce che illumina il processo stesso. Anche l’idea di un fine è assente nell’invito a sognare, ad avventurarsi e a rischiare. Ne consegue che la prassi viene qui prima della dottrina.
Lo stesso si può dire per i titoli dei tre ambiti affrontati nel discorso del Papa. Cosa vuol dire “rompere gli schemi”? Se gli schemi da rompere sono sbagliati allora è cosa buona romperli, ma se sono giusti non lo è più. Cosa significa porre attenzione ai deboli se non si definisce chi sono i deboli e con quali strumenti esprimere questa attenzione nei loro confronti? La concezione di “debole” non è assoluta e univoca, né lo sono gli strumenti per aiutare i deboli, i quali, se male utilizzati, possono ulteriormente indebolirli anziché emanciparli. Anche la “legalità” ha bisogno di essere convenientemente intesa.
Il marxismo e il socialismo hanno una visione di questi punti diversa e spesso radicalmente opposta a quella della dottrina politica cattolica. Ma nel discorso di Francesco nulla emerge circa questa diversità. Il dialogo deve sempre partire dalle diverse identità e deve essere una disputa sulla verità delle rispettive posizioni, altrimenti si riduce a chiacchiera. Né si può pensare che una convergenza possa emergere solo nel processo del dialogo perché, se non parte dalla diversità delle identità, la convergenza si riduce a concordismo artificiale.
A proposito del dialogo tra cristianesimo e marxismo si arriva così ad una nuova fase. Negli anni Settanta del secolo scorso, ai tempi di Giulio Girardi per capirsi, il cristianesimo veniva piegato a sinistra per accordarsi col marxismo. Più di recente si è notata una inversione di tendenza: vedi le aperture cattoliche ai Diego Fusaro; si pensa che debba essere il marxismo a piegarsi a destra per accordarsi con un cristianesimo tradizionalista. Con Francesco il dialogo è privo di presupposti, di criteri e di fini: è affidato a sé stesso, è un processo, un percorso aperto… che non si sa dove potrà approdare. Ma allora, perché intraprenderlo?
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