Un breve estratto dell’articolo di Stefano Fontana “L’egualitarismo ideologico della modernità: uno sguardo d’insieme” traendolo dall’ultimo numero del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” dedicato a “Egualitarismo, palla al piede della modernità politica”.
Di Stefano Fontana, 18 GEN 2024
L’egualitarismo della ragione illuminista
La modernità trova un momento di sintesi particolarmente intensa nell’Illuminismo, a motivo della concezione che questa corrente di pensiero aveva della ragione umana. Il massimo filosofo illuminista, Immanuel Kant, non riteneva possibile conoscere tramite la ragione un ordine della realtà. Egli affidava alla ragione solo la possibilità di conoscere i fenomeni tramite le scienze. L’Illuminismo con il termine ragione intende la ragione scientifica e strumentale e quando applica tale ragione alla vita sociale e politica non riesce a fondare quest’ultima su un ordine indisponibile a carattere naturale. L’etica sociale e politica, quindi, non può più derivare da un ordine finalistico della società che stabilirebbe anche delle gerarchie sociali. La ragione illuministica è appiattente, tutti gli uomini ne sono dotati e quindi sono tutti uguali. Davanti alla ragione uguale in tutti, le altre differenze tra le persone spariscono e si pensa ad un’unica comunità politica universale – oggi si direbbe globale – composta da individui dotati della stessa universale ragione. Ogni differenza di stato è considerata una ingiustizia e una sopraffazione. Nell’Illuminismo è presente quindi una vena totalitaria[1], tramite la ragione scientifica il potere impone a tutti gli uomini la stessa regola e li unifica in un tutto omogeneo ed egualitario. Da qui il cosmopolitismo e l’universalismo imposto anche con le armate rivoluzionarie e napoleoniche. Le insurrezioni antinapoleoniche erano anche un rifiuto di questo appiattimento, nel quale le identità dei popoli e soprattutto quella di religione venivano sacrificate. L’egualitarismo si spinge così a imporre una unica religione mondiale di tipo sincretistico e coincidente con alcune buone pratiche stabilire dal potere. Su questo punto l’ideale illuminista coincide con quello massonico. Dall’illuminismo nascono due forme apparentemente opposte di egualitarismo: quello democratico e quello totalitario. Il primo pensa ai cittadini come delle unità numeriche che decidono a maggioranza secondo il principio del voto per testa: le decisioni vengono prese tramite un meccanismo quantitativo, ossia il conteggio dei voti. Il secondo impone un egualitarismo totalizzante sottoponendo tutti i cittadini ad un medesimo potere che esige non solo l’uniformità dei comportamenti esterni ma quella delle convinzioni interiori. Tutti devono credere nelle stesse verità imposte, tutti devono provare gli stessi sentimenti, tutti devono credere agli stessi valori e principi.
L’egualitarismo socialista e comunista
Il socialismo, nelle sue varie espressioni, da quella utopistica a quella massimalista a quella riformista fino alla socialdemocrazia[2], è un movimento di pensiero e di azione egualitarista. Nei Falansteri di Fourier tutto era in comune, comprese le donne. La proprietà e la famiglia erano abolite. I beni venivano ammassati in grandi magazzini e ognuno andava a prendere ciò che aveva bisogno. La proprietà privata era considerata un furto da Proudhon. Nel comunismo tutti i beni dovevano essere concentrati nello Stato, unico proprietario, e la fase dei soviet, ossia dei consigli operai che avrebbero dovuto avere tutto il potere, fu presto superata nello Stato-partito. Il punto centrale, tuttavia, è un altro. La fase della dittatura del proletariato, della concentrazione della proprietà e del potere nello Stato sovietico, della sospensione delle libertà “borghesi” e della lotta alla famiglia e alla religione, sarebbe confluita nella società finale anarchica, senza classi e senza Stato, ove l’uomo avrebbe ritrovato la sua vera essenza di “essere generico” (Gattungswesen). È qui che trova compimento l’egualitarismo comunista, che considera l’uomo come un essere che appartiene ad un genere ove è inserito privo di una sua personalità e dignità e da cui riceve le norme di vita. In quella fase la famiglia, le leggi e lo Stato cesserebbero e l’uomo vivrebbe allo stato di natura. Il comunismo non ricerca né l’uguaglianza né la giustizia, concetti che comportano un ordine morale, ma l’egualitarismo: l’uomo è essenzialmente un essere che lavora insieme agli altri e che, trasformando la natura produce se stesso non come individuo ma come genere. La proprietà ha rotto questo incanto, che la società comunista ripristinerà. L’egualitarismo comunista è quindi storicistico e materialistico. Si nota qui la derivazione illuminista della visione negativa della proprietà privata, data la nota posizione di Rousseau sulla stessa: “L’uomo è nato libero ed ora è ovunque in catene”.[3] Il motivo è da lui indicato nell’invenzione della proprietà privata: “Il primo che, avendo cintato un terreno pensò mdi dire ‘questo è mio’ e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli, fu il vero fondatore della società civile”.[4]
L’egualitarismo anarchico
Il comunismo, nella prospettiva finale della società senza classi e senza Stato, propone una sorta di egualitarismo anarchico che annulla ogni differenza di valore o di merito dentro la realtà unificata dell’essere generico. Anche il comunismo è anarchico. L’anarchismo, tuttavia, non si identifica col comunismo. Quest’ultimo pensava ad organizzare i proletari tramite un partito, una disciplina, una linea di condotta[5], e voleva conquistare il potere dello Stato con la rivoluzione, gli anarchici, invece, consideravano queste soluzioni inadeguate perché conservavano il potere dell’uomo sull’uomo, che l’anarchia rifiutava alla radice. Con l’anarchismo, quindi, si ha un egualitarismo assolutamente radicale che considera qualsiasi differenza come una ingiustizia, un sopruso e una forma di potere, che è sempre ingiustificato. Nel romanzo “I demoni”, Dostoevskij descrive il mondo degli anarchici nichilisti. Queste sono le parole riguardanti l’egualitarismo contenute nel quaderno che contiene il progetto politico di Sigalëv, uno di loro: “Là ogni membro della società sorveglia l’altro ed è obbligato alla delazione. Ciascuno appartiene a tutti, e tutti appartengono a ciascuno. Tutti sono schiavi, e nella schiavitù sono uguali. Nei casi estremi, c’è la calunnia e l’omicidio, ma l’essenziale è l’eguaglianza. Come prima cosa si abbassa il livello d’istruzione, delle scienze e degli ingegni. Un alto livello delle scienze e degli ingegni è accessibile solo alle capacità superiori, ma non occorrono capacità superiori! Gli uomini di capacità superiore si sono sempre impadroniti del potere e sono stati dei despoti. Gli uomini di capacità superiore non possono non esser despoti e hanno sempre pervertito più che non abbiano giovato; essi vengono cacciati o giustiziati. A Cicerone si toglie la lingua, a copernico si bucano gli occhi, Shakespeare viene lapidato, ecco il sigalëvismo”.[6]
[1] J. L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, (1952), Il Mulino, Bologna 1967.
[2] D. Castellano, Introduzione alla filosofia della politica – Breve manuale, cap. XI: “La socialdemocrazia”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2020, pp. 169-180.
[3] J-J. Rousseau, Il contratto sociale, I, Einaudi, Torilno 1994, p. 9.
[4] Id., Origine della disuguaglianza, Feltrinelli, Milano 1993, p. 72.
[5] Cfr. B. Brecht, La linea di condotta, (1930), Einaudi, Torino 1965, pp. 755-792.
[6] F. Dostoevskij, I demoni, Einaudi, Torino 1994, p. 389.
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