di monsignor Marcel Lefebvre
Miei cari amici,
penso che voi, usciti dai seminari e oggi nel ministero, voi che avete voluto conservare la Tradizione, abbiate la volontà di essere sacerdoti come sempre, come lo sono stati i santi sacerdoti di una volta, tutti i santi curati e i santi sacerdoti che noi abbiamo potuto conoscere nelle parrocchie. Voi continuate e rappresentate veramente la Chiesa, la Chiesa cattolica. Io credo che dobbiate convincervi di questo: voi rappresentate veramente la Chiesa cattolica.
Non che non ci sia la Chiesa al di fuori di noi; non è di questo che si tratta. Ma in questi ultimi tempi ci è stato detto che era necessario che la Tradizione entrasse nella Chiesa visibile, e io penso che così si commetta un errore molto, molto grave.
Dov’è la Chiesa visibile? La Chiesa visibile la si riconosce dai segni che essa ha sempre offerto della sua visibilità: è una, santa, cattolica e apostolica.
Io vi chiedo: dove sono i veri segni distintivi della Chiesa? Sono principalmente nella Chiesa ufficiale – non si tratta infatti della Chiesa visibile, ma della Chiesa ufficiale – o sono in noi, in noi che conserviamo quell’unità della fede che nella Chiesa ufficiale è scomparsa? Un vescovo crede in una cosa, un altro non ci crede, la fede è diversa, i loro catechismi abominevoli contengono eresie. Dov’è l’unità della fede a Roma?
Dov’è l’unità della fede nel mondo? Siamo noi che l’abbiano conservata. L’unità della fede realizzata nel mondo intero è la cattolicità. Ora, questa unità della fede nel mondo intero non esiste più, quindi praticamente non vi è più cattolicità. Vi sono tante Chiese cattoliche quanti vescovi e diocesi. Ciascuno ha il suo modo di vedere, di pensare, di predicare, di fare catechismo. Non vi è più cattolicità.
L’apostolicità? Essi hanno rotto con il passato. Se c’è qualcosa che hanno fatto è proprio questo. Essi non vogliono più niente di quanto c’è stato prima del Vaticano II. Guardate il motu proprio col quale il Papa ci condanna: vi è scritto che “la Tradizione vivente è il Vaticano II”. Non bisogna rifarsi a prima del Vaticano II, quello non significa niente. La Chiesa porta con sé la Tradizione di secolo in secolo. Quello che è passato è passato, sparito. Tutta la Tradizione si trova nella Chiesa di oggi.
Qual è questa Tradizione? A che cosa si ricollega? Come si ricollega al passato?
È questo che permette loro di dire il contrario di ciò che è stato detto una volta, continuando a pretendere di essere i soli a conservare la Tradizione.
È questo che ci chiede il Papa: sottometterci alla Tradizione “vivente”. Noi avremmo una cattiva concezione della Tradizione, perché essa è “vivente” e quindi evolutiva. Ma questo è l’errore modernista: il santo Papa Pio X, nell’enciclica Pascendi, condanna queste espressioni di “Tradizione vivente, Chiesa vivente, fede vivente” eccetera, nel senso in cui le intendono i modernisti e cioè nel senso dell’evoluzione che dipende dalle circostanze storiche.
La verità della Rivelazione, la spiegazione della Rivelazione, dipenderebbero dalle circostanze storiche.
L’apostolicità: noi siamo collegati agli Apostoli tramite l’autorità. Il mio sacerdozio viene dagli Apostoli, il vostro sacerdozio viene dagli Apostoli. Noi siamo i figli di quelli che ci hanno conferito l’episcopato. Il nostro episcopato discende dal santo Papa Pio V e tramite lui noi risaliamo agli Apostoli. Quanto all’apostolicità della fede, noi crediamo la stessa cosa che credevano gli Apostoli. Non abbiamo cambiato nulla e non vogliamo cambiare nulla.
E poi, la santità. Non bisogna farsi dei complimenti o delle lodi. Se non vogliamo considerare noi stessi, consideriamo gli altri e consideriamo i frutti del nostro apostolato, i frutti delle vocazioni, dei nostri religiosi e delle nostre religiose e anche i frutti nelle famiglie cristiane. Grazie al vostro apostolato, nascono buone e sante famiglie cristiane. Questo è un fatto, nessuno lo nega. Perfino i nostri visitatori progressisti di Roma hanno constatato la buona qualità del nostro lavoro. Quando monsignor Perl diceva alle suore di Saint-Pré e alle suore di Fanjeaux che è su basi come le loro che bisognerebbe ricostruire la Chiesa, non siamo di fronte a un piccolo complimento.
Tutto questo dimostra che siamo noi che abbiamo il segno della Chiesa visibile. Se oggi vi è ancora una visibilità della Chiesa, è grazie a voi. Questi segni non si trovano più negli altri. Da loro non c’è più l’unità della fede, e la fede è la base di ogni visibilità della Chiesa.
La cattolicità è la fede unica nello spazio. L’apostolicità è la fede unica nel tempo, e la santità è il frutto della fede, che si concretizza nelle anime con la grazia del buon Dio, con la grazia dei sacramenti. È del tutto falso considerarci come se non facessimo parte della Chiesa visibile. È inverosimile. È la Chiesa ufficiale che ci rigetta, non noi che rigettiamo la Chiesa. Noi siamo sempre uniti alla Chiesa romana e anche al Papa, sicuro, al successore di Pietro. Io penso che sia necessario che noi si abbia questa convinzione, per non cadere negli errori che si stanno diffondendo adesso.
Uscire dalla Chiesa?
Certo, ci si potrebbe obiettare: “Bisogna obbligatoriamente uscire dalla Chiesa visibile per non perdere la propria anima, uscire dalla società dei fedeli uniti al Papa”.
Non siamo noi a uscire dalla Chiesa, ma i modernisti. Quanto a dire “uscire dalla Chiesa visibile”, non bisogna sbagliare assimilando la Chiesa ufficiale alla Chiesa visibile.
Noi apparteniamo alla Chiesa visibile, alla società dei fedeli sotto l’autorità del Papa, poiché noi non ricusiamo l’autorità del Papa, ma ciò che egli fa. Noi riconosciamo al Papa la sua autorità, ma quando egli se ne serve per fare il contrario di ciò per cui gli è stata data tale autorità, è evidente che non lo si può seguire.
Uscire, dunque, dalla Chiesa ufficiale?
In una certa misura sì, evidentemente. Tutto il libro di Jean Madiran, L’Hérésie du XX siécle, è la storia dell’eresia dei vescovi. Bisogna dunque uscire da questo ambiente dei vescovi, se non si vuol perdere la propria anima.
Ma questo non basta, poiché l’eresia si è installata a Roma. Se i vescovi sono eretici – anche senza prendere questo termine nel senso canonico con le relative conseguenze – questo non avviene senza l’influenza di Roma.
Se noi ci allontaniamo da questa gente, è esattamente come facciamo con le persone che hanno l’Aids. Non vogliamo essere contagiati. Ora, essi hanno l’Aids spirituale, hanno malattie contagiose. Se si vuole conservare la salute, non bisogna frequentarli.
Sì, il liberalismo e il modernismo si sono introdotti nel Concilio e all’interno della Chiesa. Si tratta delle idee rivoluzionarie, le idee della Rivoluzione, che erano nella società civile e sono passate nella Chiesa. Peraltro, il cardinale Ratzinger non lo nasconde: sono idee non della Chiesa, ma del mondo, eppure essi ritengono di doverle far entrare nella Chiesa.
Ora, le autorità non hanno cambiato di uno iota le loro idee sul Concilio, il liberalismo e il modernismo. Idee che sono anti-Tradizione, contro la Tradizione come l’intendiamo noi e come l’intende la Chiesa. Questo non fa parte della loro concezione.
Trattandosi di una concezione evolutiva, essi sono contro questa Tradizione fissa alla quale noi ci atteniamo. Noi riteniamo che tutto quello che ci insegna il catechismo ci venga da Nostro Signore e dagli Apostoli e che non vi sia niente da cambiare. È chiaro. I tre quarti del catechismo ci vengono da Nostro Signore: perché cambiarlo? Noi non possiamo farlo evolvere. Il Credo, i Comandamenti di Dio, i mezzi per salvarci, i sacramenti, il Santo Sacrificio della Messa e la preghiera, tutto questo ci viene direttamente da Nostro Signore. Tutto questo è il nostro catechismo, che in generale ci viene dato col nostro battesimo, che ci viene consegnato. È il nostro statuto dal momento che Nostro Signore ha voluto che tutti fossero battezzati, che tutti adottassero il Credo, il Decalogo, i sacramenti che Lui ha istituito, al pari del Santo Sacrificio della Messa e delle preghiere. Per costoro, invece, tutto evolve, ed è evoluto col Vaticano II. Lo stadio attuale dell’evoluzione è il Vaticano II. Ecco perché non possiamo legarci a Roma. Avremmo potuto, se fossimo arrivati a proteggerci completamente come avevamo richiesto. Ma essi non hanno voluto. Essi ci hanno rifiutato i membri da noi richiesti nella Commissione, ci hanno rifiutato il numero dei vescovi che chiedevamo, ci hanno rifiutato il numero di vescovi che avevo presentato. È chiaro: non vogliono che noi si sia protetti. Essi vogliono che noi si sia direttamente sotto di loro, per poterci imporre ufficialmente questa politica anti-Tradizione di cui sono imbevuti.
Un esempio ci dimostra che nello spirito dei romani non è cambiato alcunché: il 1° maggio, a Venezia, si è tenuto un congresso molto importante sulla libertà religiosa nell’attuale situazione politica. Era diretto dal rettore dell’Università del Laterano, monsignor Pietro Rossano, noto per le sue idee molto liberali, e da monsignor Pavan, che praticamente è l’autore di tutti i documenti sociologici pubblicati a partire da Papa Giovanni XXIII, tutti i documenti che riguardano la società. Le encicliche dei papi Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II sono state praticamente redatte da lui. È questo il grand’uomo secondo il Vaticano.
Sono stati questi due prelati che hanno preparato e diretto la riunione di Venezia sulla libertà religiosa nella situazione politica. Ed è molto interessante notare che, a proposito della libertà religiosa, essi dicono: “Cambiamento di concezione della libertà religiosa”. Essi non si nascondono. Parlano delle influenze della seconda guerra mondiale. Cercano motivazioni lontane: già sotto Pio XII si realizza una presa di coscienza della libertà religiosa, nella tragedia della seconda guerra mondiale. Questo ha permesso, per usare una frase stereotipata, il passaggio dal diritto della verità al diritto della persona.
Esaminiamo meglio la cosa. Il diritto della verità ci insegna che vi è la libertà della vera religione, ma che l’uomo non ha la libertà di scegliere la sua religione, di scegliere la verità. Noi siamo indubbiamente fatti e creati con una intelligenza e una volontà libere, ma questa libertà deve servire solo per aderire alla verità e non per altro. Poiché un legame fondamentale, essenziale, unisce la libertà alla verità. Rompere questo legame per dire “a partire da oggi abbiamo capito che non si tratta più di legare la libertà alla verità, ma la libertà alla natura umana” è un errore fondamentale. La nostra stessa natura, con l’intelligenza e la volontà, è fatta per aderire alla verità. Mentre invece oggi, e gli autori del congresso di Venezia lo scrivono nella loro relazione, si sopprime il diritto della verità, questo legame che per natura unisce il soggetto alla verità, per rimpiazzarlo con un diritto della persona, un diritto completamente indipendente. Questo diritto sarebbe fondato sulla natura, ma considerata nella sua dignità di soggetto libero, cioè autonomo e senza legami. E gli autori precisano che questo dev’essere particolarmente vero in materia religiosa, che attiene all’orientamento della vita. È stupefacente. Come se si potessero cambiare i contenuti più profondi della natura. Dio ci ha creati così per la verità, non ci ha dato la libertà per conseguire l’errore. Non è possibile. Noi non abbiamo diritto all’errore. Ora, in pratica, è in questo che consiste il diritto alla libertà religiosa: permettere alla natura di scegliere liberamente la sua verità, significa darle un diritto all’errore.
E tutti gli Stati dovrebbero accettarlo, senza opporvisi nei limiti dell’ordine pubblico. Ma l’ordine pubblico è molto ampio! Queste società dovrebbero accettare l’ecumenismo, la laicizzazione degli Stati, la libertà dei culti. Dovrebbero riconoscere come linee direttive tutto ciò che l’uomo può far sorgere dalla profondità di sé, le idee che può avere, i concetti religiosi che si forgia da se stesso.
E una volta affermata la libertà religiosa, essi riaffermano il principio assolutamente rivoluzionario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Un principio veramente satanico: “Non serviam”, “non voglio servire”, non voglio essere sottomesso alla verità. Ma il buon Dio ci impone una verità, è così. “Colui che non crederà sarà condannato”. Il principio della libertà non esiste e non può esistere.
Tenevo a dirvi tutto questo, perché si vede che Roma non è cambiata per niente. Non è un’accusa campata in aria, ma scaturisce dalla relazione ufficiale della riunione di Venezia, poco tempo fa, il 1° maggio scorso. Il rettore dell’Università del Laterano è il capo di tutta la formazione universitaria della Chiesa di Roma. Si tratta dei rappresentanti ufficiali di Roma. Ed ecco ciò che affermano. Non è cambiato niente. Noi non possiamo seguire gente come questa. Qui si tratta di errori gravi, profondi.
Qualunque cosa accada, noi dobbiamo continuare così, e il buon Dio ci mostra che seguendo questa strada noi facciano il nostro dovere. Noi non neghiamo la Chiesa romana. Noi non neghiamo la sua esistenza, ma non possiamo seguirne le direttive. Non possiamo seguirne i principii a partire dal Concilio. Non possiamo legarci.
Mi sono accorto di questa volontà di Roma di volerci imporre le loro idee e il loro modo di vedere. Il cardinale Ratzinger mi diceva sempre: “Ma monsignore, vi è una Chiesa sola, non bisogna fare una Chiesa parallela”.
Qual è questa Chiesa, per lui? La Chiesa conciliare, è chiaro.
Quando ci dice in modo esplicito: “Chiaramente, se vi si accorda questo protocollo, alcuni privilegi, voi dovrete accettare anche quello che noi facciamo, e di conseguenza, nella chiesa di Saint- Nicolas-du-Chardonnet bisognerà dire anche una Messa nuova tutte le domeniche”, voi capite bene che egli vuole ricondurci alla Chiesa conciliare.
Questo non è possibile, perché è chiaro che essi vogliono imporci queste novità per farla finita con la Tradizione. Essi non accordano qualcosa per stima della liturgia tradizionale, ma semplicemente per ingannare coloro a cui l’accordano e diminuire la nostra resistenza, infilare un cuneo nel blocco tradizionale, per distruggerlo.
È la loro politica, la loro tattica cosciente. Essi non si sbagliano, e voi conoscete le pressioni che esercitano. Tra di voi, alcuni sono stati avvicinati dal vescovo o da questo o da quello, per lasciare la Tradizione. Essi fanno sforzi considerevoli dappertutto.
Le suore di Saint-Pré sono state visitate dal padre Philippe, che ha cercato di indottrinarle. Ma è stato accolto a dovere, ve l’assicuro! Il vescovo di Carcassonne ha fatto offerte d’amicizia e di comprensione alle suore di Fanjeaux tramite il nostro padre Pozzera. E così facendo si è fatto mettere a posto. Ma essi continuano. Ritorneranno. Il padre Innocent-Marie mi ha telefonato recentemente per dirmi che era stato oggetto di pressioni da parte del vescovo di Angers. Non cesseranno di provare ad averci. È veramente incredibile questa guerra alla Tradizione.
Ma il buon Dio non permetterà che noi si sparisca. Dopo le consacrazioni, io mi aspettavo quanto meno una certa diminuzione di presenze nelle nostre parrocchie, forse il 25%, e che poi la diminuzione sarebbe rientrata dolcemente. Sotto lo choc, con i titoli a caratteri cubitali (“Scomunica, scisma, rottura eccetera) i giornali ne approfittano, e lo fanno per vendere. Mi dicevo: certi avranno paura e non ci seguiranno. Ma, vedete, il buon Dio mostra che le persone hanno del buon senso ed ecco che non s’è mai vista tanta gente nelle nostre parrocchie e nei nostri centri. Vi è un afflusso considerevole dappertutto. E questo è quanto meno consolante.
Le nostre vocazioni avrebbero potuto diminuire, e invece sono aumentate. Per esempio, le nostre suore di Saint-Michel-en-Brenne, che da un po’ di anni erano preoccupate per le poche vocazioni, quest’anno ne hanno dieci, cosa che non hanno mai avuto. Queste sono prove della benedizione del buon Dio, benedizione che viene certo dalle consacrazioni. Madre Marie-Jude mi scrive: “Questo è il risultato delle consacrazioni, monsignore!”
Io credo, e voi lo sapete meglio di me, poiché siete più a contatto di me con il popolo fedele, che è stata donata una grazia particolare, un nuovo fervore, un nuovo desiderio di darsi alla Tradizione, grazia consolante e certamente incoraggiante. Ringraziamo il buon Dio che ci benedice e andiamo avanti, molto semplicemente.
Penso che bisogna preoccuparsi di evitare tutto ciò che potrebbe manifestare, con espressioni un po’ troppo dure, la nostra disapprovazione per coloro che ci lasciano. Non rivolgiamo loro epiteti che potrebbero essere presi come ingiuriosi. Questo non ci serve a niente, anzi. Personalmente ho avuto sempre questo atteggiamento verso tutti quelli che ci hanno lasciato, e Dio sa ce ne sono stati nel corso della storia della Fraternità. La storia della Fraternità è quasi una storia di separazioni. Ed io ho sempre tenuto questo come principio: niente più relazioni, è finita. Essi ci lasciano, vanno verso altri pastori? Niente più relazioni. Sia quelli che sono andati via come “sedevacantisti”, sia quelli che sono andati via perché noi non saremmo abbastanza papisti, tutti hanno provato a trascinarci in una polemica, ma io non ho mai risposto una parola. Io prego per loro, e basta.
Così, nessuno di loro può tirar fuori una lettera dal cassetto e dire: “Ecco come mi ha trattato il monsignore, ecco ciò che mi detto”. Perché il solo fatto di scrivere li porta a pretendere: “Vedete, io sono d’accordo con monsignor Lefebvre, egli mi ha ancora scritto otto giorni fa”. E allora bisognerebbe subito denunciare: “Io ho scritto, ma non ho detto che ero d’accordo”. E poi ancora una lettera e quindi la polemica. Non ci si può infilare in questo ingranaggio. Bisogna lasciar perdere. Io credo che non ci sia niente che possa farli riflettere ed eventualmente farli ritornare a noi. Non sono molti quelli che sono rientrati. In ogni caso, non possono dire che noi siamo stati sgradevoli con loro o che gli sia stato fatto un torto. Io penso che sia il migliore dei modi, salvo che non vi siano delle affermazioni assolutamente menzognere. Allora si renda noto un comunicato per rettificare, come ha fatto il superiore generale per la dichiarazione di dom Gérard. Questo è normale. Ma posso dire che se si instaura una corrispondenza, si può continuare indefinitamente e allora sfortunatamente si arriva facilmente a dire delle cose di cui poi ci si pente, e che non sono caritatevoli.
Ecône, 9 settembre 1988
Fideliter, n. 66, novembre – dicembre 1988
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