Due bestemmie in Comandante ed Enea, entrambi alla mostra del Cinema di Venezia. La commissione della Cei se ne accorge, ma senza pretendere una riparazione si limita a non condividere, ma li consiglia. Il modo migliore per sdoganare le offese a Dio al cinema.
Andrea Zambrano, 27-10-2023
Una bestemmia è una bestemmia, non è oggetto di opinioni. Eppure, stando alla Commissione nazionale di valutazione film della Cei, su di essa si può tranquillamente sorvolare.
Due film in uscita nelle sale ci introducono ad un cambiamento epocale nel linguaggio cinematografico: lo sdoganamento della bestemmia in formato technicolor. Parliamo di Comandante, di Edoardo De Angelis, che racconta la storia dell’eroe Todaro con Pierfrancesco Favino e di Enea, film di Pietro Castellitto. Entrambi presentati all’80esima mostra del cinema di Venezia, si tratta di due pellicole che hanno già ricevuto ottimi riscontri da parte della critica.
Salvo una dimenticanza, che o è sfuggita a molti oppure è ormai digerita da tutti: la presenza di diverse bestemmie all’interno dei film. Per quanto riguarda Comandante – che tra l’altro è prodotto da 01 Distribution, di emanazione Rai Cinema, quindi pubblico - di una sola imprecazione, per il film Enea invece ce ne sono diverse, almeno stando alla critica che ne fa il sito saledellacomunità.it.
Comandante è in uscita in questi giorni, mentre il film di Castellitto è previsto per gennaio. Ma la Commissione Nazionale di Valutazione Film della Cei – almeno per Comandante - è riuscita ad intercettarla, probabilmente perché qualche suo delegato ha partecipato alla mostra del cinema e ne ha preparato la scheda valutativa.
Ecco la valutazione che esce a nome dei vescovi italiani: Complesso, Consigliabile, Problematico, Adatto per dibattiti. Si tratta di attributi abbastanza consueti per la filmografia che la Cnvf analizza. Ma verso la fine si dice che “al di là di qualche passaggio narrativo poco convincente, del rischio di scivolate retorico-didascaliche, come pure di alcuni raccordi di dialogo o espressioni problematiche, non sempre condivisibili (come la presenza di una bestemmia), il film “Comandante” risulta valido per stile di racconto e temi in campo. Consigliabile-complesso, problematico e adatto per dibattiti”.
Quindi, secondo i filmografi dei vescovi la presenza di una bestemmia in un film è un’espressione problematica non condivisibile? Per giunta da mettere tra parentesi? E comunque nulla che possa scalfire il suggerimento di consigliarlo comunque alla visione? Tutto qua? Come se la bestemmia fosse legata al contesto e alle varie circostanze che potrebbero renderla condivisibile o meno? Come fosse un accidente di passaggio? Il giudizio che sembra uscirne è solo quello dell’avvertenza degli utenti e della presa di distanza. Della serie: a noi non piace, ma tant’è.
Ma è davvero tutto qui o non siamo forse di fronte a un passaggio epocale nel linguaggio cinematografico che dovrebbe costringere i vescovi ad un’analisi più attenta e ad una denuncia ben diversa?
Facciamo un passo indietro per capire che cos’è la bestemmia, così come la definisce la Chiesa cattolica: anzitutto è il peccato più grave del Secondo comandamento. Essa consiste nel pronunciare parole offensive contro Dio, associando il nome di Dio ad una aggettivazione che non è consona a Dio, o utilizzare il nome di Dio per compiere il male. In secondo luogo, il Catechismo della Chiesa cattolica, al numero 2148, insegna che "la bestemmia consiste nel proferire contro Dio – interiormente o esteriormente – parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di lui nei propositi, nell'abusare del nome di Dio".
Dunque, in una sua cornice normativa e di verità di fede, la bestemmia è un’offesa a Dio. Un atto oggettivo, perciò, come uno schiaffo, non interpretabile a seconda delle circostanze o dei bisogni. È quello che esprime. Ne consegue che, in quanto fatto oggettivo, non può entrare dentro una finzione scenica o filmica, perché nessuna bestemmia si dice per finta.
Piccola postilla per i puristi cinefili, attaccati al verismo e al realismo di fronte al quale si può spesso chiudere un occhio: il verismo di un film è la sua capacità di servirsi della finzione scenica per ricreare un elemento della realtà. Ecco perché la valutazione, ad esempio, di una scena di violenza (uno schiaffo, un pugno) o di sesso, attiene più al campo morale, cioè a ciò che vuole esprimere, con presenza o meno di violazioni al pudore e dunque rimarcabili per un fattore soggettivo, ma nasce comunque all’interno di una finzione. Gli attori fingono l’atto sessuale, non lo compiono veramente, salvo piccanti retroscena di certi interpreti. Il giudizio che viene espresso, dunque è legato all’offesa al pudore o alla morale.
Anche nel campo della violenza è lo stesso: gli schiaffi di Bud Spencer e Terence Hill sono diversi dalle violenze di certi film, ma tutti rientrano dentro il campo della finzione. Non sono schiaffi veri, ma finti, sennò sarebbero violenza.
Ma una bestemmia non può essere pronunciata per finta, per esigenza scenica. Si auto-esprime e per tanto non ricade sotto l’interpretazione dell’offesa al pudore, ma dentro un fatto oggettivo, l’offesa a Dio. Che è commessa anche se l’intenzione dell’attore o del regista vuole semplicemente creare per finta un linguaggio particolarmente crudo.
Torniamo alla valutazione della Commissione film. La sostanziale assoluzione dell'organismo Cei deriva dal fatto che faccia ricadere le bestemmie dentro una critica di tipo opportunistico, sulla condivisibilità o meno, come appunto si trattasse di una scena di sesso spinto o di un bacio appassionato o di una fucilazione davanti al plotone d’esecuzione, su cui ci sono gradi di interpretazione variabili. E ancora, il fatto che faccia ricadere la bestemmia dentro una categoria di finzione è indice di una certa difficoltà dei cinefili vescovili a leggere i segni dei tempi. Che oggi vedono la bestemmia come sdoganata quasi totalmente.
Una bestemmia va denunciata come tale, se necessario anche protestando con la produzione, fino a chiedere un ri-doppiaggio nel nome della libertas Ecclesiae di far valere diritti che le sono propri anche in campi e ambiti non di propria pertinenza. Perché si tratta in questo caso di diritti di Dio. E anche ripararla con le preghiere che la Chiesa comanda, che si devono ancora dire di fronte a chi pronuncia invano il nome di Dio, indipendentemente dalle sue intenzioni sceniche o inconsapevoli. Non è che se questo avviene in un film, allora il fatto non sia avvenuto o sia meno grave.
Ripetiamo: nella bestemmia, non c’è finzione scenica, perché non è possibile averla. È, come direbbe il Feltri di Crozza, fattuale. Non capirlo o fare finta di non capirlo è il segno che il Rubicone della pietas è stato valicato. Con superficialità e pressapochismo di un nulla osta vescovile a cui poi cinema, cinefili e appassionati di ambito parrocchiale si adegueranno senza problemi.
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