Di Silvio Brachetta, 18 SET 2023
L’arcivescovo Víctor Manuel Fernández, prossimo prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, ha rilasciato intervista al gesuita Antonio Spadaro, in cui – tra vari temi – ha riproposto il «primato della carità» in teologia e il «rinnovamento della morale». Argomenti tutto sommato deboli, già trattati dall’Osservatorio, che sono un po’ l’approdo del progressismo teologico novecentesco.
Quanto al primato della carità, Fernández cerca la dimostrazione direttamente nell’«inno alla carità» di san Paolo (1Cor 13, 1-13). L’arcivescovo fa bene a valutare il primato della carità rispetto alla scienza umana, alla conoscenza e persino rispetto ai doni di grazia di Dio. Non solo ma, seppure Fernández non ne parli nell’intervista, la carità ha il primato anche rispetto alla fede e alla speranza, secondo san Paolo, che chiude l’inno con queste parole: «Queste, dunque, le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!».
Tutto questo, però, non significa che la carità abbia un primato assoluto, perché l’arcivescovo dimentica di considerare la verità, pur presente nell’inno di san Paolo. La carità ha il primato sulle virtù cardinali, intellettuali e sulle due altre teologali (fede e speranza), ma non sulla verità, nei confronti della quale sembra avere, nell’inno paolino, un rapporto di parità. La carità infatti – scrive san Paolo – «si compiace della verità» («congaudet autem veritati»). Congaude, ovvero «gioisce insieme».
La parità tra carità e verità la si comprende meglio se riferita al mistero della Ss. Trinità, dove il Figlio è la verità (per appropriazione) e lo Spirito Santo è la carità (sempre per appropriazione). Pur essendo, tuttavia, della medesima sostanza (Dio), lo Spirito Santo procede dal Figlio (oltre a procedere dal Padre) e non viceversa: questo non può non avere rilevanza in merito al rapporto tra verità e carità.
La prima carità, secondo il beato Giacomo Alberione, è nei confronti della verità: «Fate a tutti la carità della verità», diceva. È ancora san Paolo che esorta a vivere nella «veritas in caritate», «secondo la verità nella carità» (Ef 4, 15). Vivere nella carità, certamente, ma secondo verità, che in quest’altra lettera paolina sembra avere il primato.
Antonio Spadaro pone poi una domanda strana: «Insomma, una morale ridotta al compimento dei comandamenti non risponderebbe a questa dinamica [della carità, ndr]?». E Fernández risponde sibillino: «Assolutamente no».
La stranezza è data dal fatto che la morale cristiana non è mai stata una «morale ridotta al compimento dei comandamenti». Si è sempre tenuto conto – nella teologia e nel magistero – del Decalogo, del bene e del male, del premio, della punizione, delle virtù, del giudizio, del merito, del demerito, del perdono e della misericordia. In cosa mai dovrebbe consistere esattamente questo rinnovamento della morale, richiesto – ultimo in ordine temporale – da Fernández?
Consiste forse non già nel proporre un primato della carità, ma una mortificazione dei comandamenti? Fernández difatti, nell’intervista, difende in modo chiarissimo il capitolo VIII di Amoris laetitia (esortazione apostolica di Papa Francesco) nell’interpretazione che ne danno i vescovi argentini: è lecito, a certe condizioni, dare i sacramenti ai divorziati risposati. E afferma, assieme al Papa, che «non ci sono altre interpretazioni».
L’impianto concettuale dell’arcivescovo non sta in piedi, specialmente nel descrivere la natura della misericordia. Fernández cita in modo opportuno san Tommaso d’Aquino, che sostiene la peculiarità della misericordia come «vertice delle virtù» (S.Th. II-II, q. 30, a. 4). E, in effetti, la misericordia è la virtù più grande in Dio (fermo restando che Dio non ha virtù, ma è la virtù), secondo l’Aquinate. Nell’uomo può essere la più grande, se riferita all’inferiore, ma può anche non esserlo se riferita al superiore: se è il riferimento dell’uomo è Dio, è la carità ad essere maggiore della misericordia.
A parte questo, però, Fernández ha ragione: scrive san Tommaso che, «tra tutte le virtù che riguardano il prossimo, la prima è la misericordia, e il suo atto è quello più eccellente» (ibid.). Ma la questione è un’altra: la verità non è una virtù; non può essere comparata alla misericordia come lo sono le virtù. La sincerità può essere una virtù, ma non la verità in quanto tale. La verità, in sé e per sé, è il discrimine di tutto e, dunque, anche delle virtù.
In altre parole, è conforme al vero sostenere la superiorità della misericordia rispetto alle altre virtù (giustizia compresa), ma nei confronti della verità non può esserci comparazione. È infatti la verità a descrivere cosa sia o non sia virtù. La verità è fontale rispetto alle virtù. Questo aspetto è del tutto ignorato da Fernández e dai teologi a lui affini.
Da qua l’equivoco della teologia moderna e contemporanea: si confonde la giustizia con la verità che è nella giustizia e si pone la misericordia a capo di tutto, verità compresa. Questo modo di procedere, anche con ottime intenzioni, porta a credere che la misericordia sovrasti e cancelli la giustizia, come in effetti avviene nel caso dei divorziati risposati. Benché forse in modo involontario, si assume il depotenziamento della Legge e dei comandamenti, pur riconoscendone la validità a parole.
Se la verità non fosse primaria, si mortificherebbe il diritto della giustizia, sovrastata dalla misericordia. Ed è sì sovrastata, ma in quanto virtù, non di fronte alla verità. San Bonaventura da Bagnoregio, che pure Fernández pone tra i suoi autori preferiti, pone Gesù Cristo – il Logos – come medium tra il Padre e lo Spirito Santo, cioè come discrimine. È poi vero che i concetti di verità, carità, via, vita o potenza sono applicabili ad ognuna delle tre Persone divine ma, in quanto appropriazione, la verità è propria solo del Figlio, che sta al centro (medium).
La teologia progressista, inoltre, non considera che, pur essendo le tre Persone uguali nella divinità, la seconda (il Figlio) precede la terza (lo Spirito Santo) quanto alla processione per spirazione (non in senso temporale), così come la prima (il Padre) è fontale quanto alla generazione e alla spirazione. Queste verità non possono essere confutate perché sono dogma della Chiesa.
Ma anche solo trattando della misericordia, c’è un ulteriore elemento di equivoco. Tra le opere della misericordia spirituale, ve ne sono tre attinenti alla verità, che vengono citate per prime: «consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori». Poi ci sono tutte le altre opere: perdonare, sopportare, pregare, nutrire, dissetare, vestire, alloggiare, visitare e seppellire. Ma le prime tre – è bene ripeterlo – attengono alla verità.
Silvio Brachetta
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