CHIESA CATTOLICA | CR 1813
20 Settembre 2023
di Roberto de Mattei
Non sappiamo se i dieci anni che intercorrono tra l’inizio del 2013 e la fine del 2023 saranno ricordati tra i più intensi del XXI secolo, ma certo sono stati i più imprevedibili della nostra vita.
Il decennio si apre infatti con una “bomba”, le dimissioni di Benedetto XVI, l’11 febbraio 2013, e si avvia alla conclusione con un’altra “bomba”, o meglio un “Vaso di Pandora”, come è stato efficacemente definito in un recente libro di Julio Loredo e José Antonio Ureta (Associazione Tradizione Famiglia Proprietà, Roma 2023): il Sinodo sulla Sinodalità del prossimo ottobre. Ma, a ben vedere, il primo “vaso di Pandora” fu la rinuncia al pontificato di Benedetto XVI, «un fulmine a ciel sereno», come affermò il cardinale Angelo Sodano, da cui tutto è cominciato.
La possibilità della rinuncia al pontificato è prevista dal diritto canonico (can. 332, § 2) ma era stata messa in atto rarissime volte. Inoltre le ragioni e le modalità dell’abdicazione apparvero singolari. Fino all’ultimo giorno della sua vita, Benedetto XVI ha ripetuto che la sua scelta non aveva altro motivo che le sue fragili condizioni psico-fisiche, una «stanchezza, fisica e mentale», come ha spiegato mons. George Gänswein nelle pagine del suo volume dedicate alla «storica rinuncia» (Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI, Piemme, Casale Monferrato 2023, pp. 191-230). In una lettera inviata il 28 ottobre 2022, poche settimane prima della morte, al suo biografo Peter Seewald, Benedetto ha spiegato che il “motivo centrale” della sua rinuncia fu «l’insonnia che mi ha accompagnato ininterrottamente dalle giornate mondiali della gioventù a Colonia» fin dall’agosto 2005. Ma le sue inequivoche dichiarazioni non sono riuscite a porre fine alle più stravaganti speculazioni, fino a teorizzare che in realtà queste dimissioni non erano mai avvenute e che Benedetto XVI continuava a regnare contro l’“usurpatore” Francesco.
Certamente papa Ratzinger non immaginava di dover assistere, nel suo decennale post-pontificato, allo sfacelo provocato dall’elezione di Francesco, anche perché era certo che il suo successore sarebbe stato il cardinale Angelo Scola. Quando uscì la prima fumata bianca dal comignolo di San Pietro, un comunicato della Conferenza episcopale italiana, alle 20.24 del 13 marzo 2013, esprimeva «i sentimenti dell’intera nazione italiana nell’accogliere la notizia del Card. Angelo Scola a successore di Pietro». Nel conclave del 2013, Scola stando ad attendibili ricostruzioni, fu alla testa nel primo scrutinio, prima di essere scavalcato da Bergoglio, che fu eletto al quinto (Gerard O’Connel, The election of Pope Francis. An Inside Account of the Conclave that Changed History, Ed. Orbis Books, 2021).
I pronostici furono sovvertiti dal voto dei cardinali americani, convinti che fosse necessaria un’opera di profonda pulizia interna della Chiesa e che nessun cardinale italiano ne sarebbe stato capace. Fu grazie al loro voto determinante che venne eletto Jorge Mario Bergoglio. Chi avrebbe mai detto che proprio nell’episcopato americano, dieci anni dopo, si sarebbe manifestata la più decisa opposizione a papa Francesco?
Le riforme interne alla Chiesa erano volute sia dai conservatori che dai progressisti e Bergoglio si presentava come un candidato “spirituale”, capace di implementare questa riforma. Chi avrebbe immaginato che papa Francesco, sarebbe stato il più “politico” dei Papi dell’ultimo secolo, (si veda Jean-Pierre Moreau La conquête du pouvoir, Contretemps, Paris 2023) e che le sue riforme sarebbero clamorosamente fallite?
La nomina del cardinale George Pell come primo prefetto della Segreteria per l’Economia, il 24 febbraio 2014, sembrò una garanzia ai conservatori, che però si resero conto che le riforme tardavano e gli equivoci dottrinali e pastorali si moltiplicavano, soprattutto dopo l’esortazione apostolica Amoris laetitia del 19 marzo 2016. Quattro eminenti cardinali (Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra, Joachim Meisner) presentarono il 16 settembre 2016, cinque Dubia alla Congregazione per la Dottrina della Fede: forse era prevedibile che la risposta non sarebbe mai venuta, ma ciò che giunse inattesa fu la scomparsa di due dei quattro porporati: Joachim Meisner il 5 luglio 2017 e Carlo Caffarra il 6 settembre dello stesso anno, rendendo impervia l’azione pubblica degli altri due cardinali.
Il 29 giugno 2017 la polizia australiana aveva intanto confermato lo stato d’accusa contro il cardinale Pell per “gravi reati sessuali” su minori. Pell venne giudicato colpevole dalla giuria dello Stato di Victoria in Australia e il 13 marzo 2019 fu condannato a una pena detentiva di 6 anni. Bisognò attendere il 7 aprile 2020 perché fosse prosciolto all’unanimità dalla stessa Corte e rilasciato dopo più di un anno d’incarcerazione. Il cardinale australiano, il più attivo e dotato di senso pratico dei cardinali di Curia, tornò a Roma e iniziò a organizzare le fila anti-bergogliane per il prossimo conclave, ma inopinatamente venne a mancare il 10 gennaio 2023. Mentre venivano celebrati i suoi funerali si svolgeva a pochi passi, in Vaticano, un’infuocata udienza del processo al cardinale Angelo Becciu, una vicenda giudiziaria ancora aperta e gravida di incognite, in cui papa Francesco è coinvolto.
Chi avrebbe potuto immaginare, inoltre, la delusione verso papa Francesco di quegli stessi progressisti che avevano accolto con entusiasmo la sua elezione? Lo storico Alberto Melloni, nell’aprile del 2013, definì l’annuncio della riforma della curia di papa Francesco come «il passo più importante nella storia della Chiesa degli ultimi dieci secoli e nella cinquantennale vicenda della ricezione del Vaticano II» (Corriere della Sera, 14 aprile 2013). Dieci anni dopo, lo stesso Melloni, ha definito il principio su cui si fonda la Costituzione apostolica del 19 marzo 2022, Praedicate evangelium, sulla riorganizzazione della Curia romana, «una tesi che colpisce al cuore il Concilio Vaticano II, e che costituisce un punto dirimente per il futuro della Chiesa» (la Repubblica, 24 agosto 2022). L’accusa è quella di aver rinnegato il primato dell’ordine sacramentale su quello giuridico che aveva costituito uno dei capisaldi della nuova dottrina conciliare.
«L’irruzione di François ha prodotto uno shock. Uno scontro di culture. È stato vissuto, a seconda della sensibilità, come un incubo, uno shock terrestre o un’autentica liberazione», ha scritto Jean-Marie Guénois, nel suo ultimo libro (Pape François. La Révolution, Gallimard, Paris 2023) in cui cerca disciogliere quello che un altro vaticanista, Massimo Franco, ha chiamato L’enigma Bergoglio (Edizioni Solferino, Milano 2020). Tra i pochi punti chiari c’è una radicale continuità, sul piano della prassi, con il Concilio Vaticano II. In questo senso ha ragione l’abbé Claude Barthe quando definisce l’attuale pontificato come «un’apocalisse in senso letterale, vale a dire una rivelazione, nello specifico una rivelazione della grande svolta che avevano operato volens nolens i Padri del Vaticano II. Papa Francesco sta portando al massimo grado questo evento assolutamente unico o, in tutti i casi, ne sta rendendo la natura molto più tangibile» (ResNovae, 1° settembre 2023). Ma il “vaso di Pandora” delle dimissioni di Benedetto XVI, con la conseguente elezione di Francesco, ha forse prodotto le sue più imprevedibili conseguenze nel campo dei cattolici fedeli alla Tradizione. La Correctio filialis dell’11 agosto 2017, firmata da oltre 200 teologi e studiosi di varie discipline, sembrava aver trovato unità dottrinale e di intenti in quel mondo. La pandemia di Coronavirus, la guerra russo-ucraina, e l’atteggiamento ondivago di Francesco hanno però contribuito a destabilizzarlo. Il mondo tradizionale non è più un’“Acies ordinata”, come poteva apparire fino al gennaio 2020, ma uno schieramento confuso e litigioso, che oggi si trova di fonte ad un evento definito dal cardinale Pell come «un incubo tossico»: il Sinodo di ottobre, un nuovo “vaso di Pandora” da cui tutto ci si può aspettare, anche per quanto riguarda le reazioni che inevitabilmente provocherà.
Non sappiamo se i dieci anni che intercorrono tra l’inizio del 2013 e la fine del 2023 saranno ricordati tra i più intensi del XXI secolo, ma certo sono stati i più imprevedibili della nostra vita.
Il decennio si apre infatti con una “bomba”, le dimissioni di Benedetto XVI, l’11 febbraio 2013, e si avvia alla conclusione con un’altra “bomba”, o meglio un “Vaso di Pandora”, come è stato efficacemente definito in un recente libro di Julio Loredo e José Antonio Ureta (Associazione Tradizione Famiglia Proprietà, Roma 2023): il Sinodo sulla Sinodalità del prossimo ottobre. Ma, a ben vedere, il primo “vaso di Pandora” fu la rinuncia al pontificato di Benedetto XVI, «un fulmine a ciel sereno», come affermò il cardinale Angelo Sodano, da cui tutto è cominciato.
La possibilità della rinuncia al pontificato è prevista dal diritto canonico (can. 332, § 2) ma era stata messa in atto rarissime volte. Inoltre le ragioni e le modalità dell’abdicazione apparvero singolari. Fino all’ultimo giorno della sua vita, Benedetto XVI ha ripetuto che la sua scelta non aveva altro motivo che le sue fragili condizioni psico-fisiche, una «stanchezza, fisica e mentale», come ha spiegato mons. George Gänswein nelle pagine del suo volume dedicate alla «storica rinuncia» (Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI, Piemme, Casale Monferrato 2023, pp. 191-230). In una lettera inviata il 28 ottobre 2022, poche settimane prima della morte, al suo biografo Peter Seewald, Benedetto ha spiegato che il “motivo centrale” della sua rinuncia fu «l’insonnia che mi ha accompagnato ininterrottamente dalle giornate mondiali della gioventù a Colonia» fin dall’agosto 2005. Ma le sue inequivoche dichiarazioni non sono riuscite a porre fine alle più stravaganti speculazioni, fino a teorizzare che in realtà queste dimissioni non erano mai avvenute e che Benedetto XVI continuava a regnare contro l’“usurpatore” Francesco.
Certamente papa Ratzinger non immaginava di dover assistere, nel suo decennale post-pontificato, allo sfacelo provocato dall’elezione di Francesco, anche perché era certo che il suo successore sarebbe stato il cardinale Angelo Scola. Quando uscì la prima fumata bianca dal comignolo di San Pietro, un comunicato della Conferenza episcopale italiana, alle 20.24 del 13 marzo 2013, esprimeva «i sentimenti dell’intera nazione italiana nell’accogliere la notizia del Card. Angelo Scola a successore di Pietro». Nel conclave del 2013, Scola stando ad attendibili ricostruzioni, fu alla testa nel primo scrutinio, prima di essere scavalcato da Bergoglio, che fu eletto al quinto (Gerard O’Connel, The election of Pope Francis. An Inside Account of the Conclave that Changed History, Ed. Orbis Books, 2021).
I pronostici furono sovvertiti dal voto dei cardinali americani, convinti che fosse necessaria un’opera di profonda pulizia interna della Chiesa e che nessun cardinale italiano ne sarebbe stato capace. Fu grazie al loro voto determinante che venne eletto Jorge Mario Bergoglio. Chi avrebbe mai detto che proprio nell’episcopato americano, dieci anni dopo, si sarebbe manifestata la più decisa opposizione a papa Francesco?
Le riforme interne alla Chiesa erano volute sia dai conservatori che dai progressisti e Bergoglio si presentava come un candidato “spirituale”, capace di implementare questa riforma. Chi avrebbe immaginato che papa Francesco, sarebbe stato il più “politico” dei Papi dell’ultimo secolo, (si veda Jean-Pierre Moreau La conquête du pouvoir, Contretemps, Paris 2023) e che le sue riforme sarebbero clamorosamente fallite?
La nomina del cardinale George Pell come primo prefetto della Segreteria per l’Economia, il 24 febbraio 2014, sembrò una garanzia ai conservatori, che però si resero conto che le riforme tardavano e gli equivoci dottrinali e pastorali si moltiplicavano, soprattutto dopo l’esortazione apostolica Amoris laetitia del 19 marzo 2016. Quattro eminenti cardinali (Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra, Joachim Meisner) presentarono il 16 settembre 2016, cinque Dubia alla Congregazione per la Dottrina della Fede: forse era prevedibile che la risposta non sarebbe mai venuta, ma ciò che giunse inattesa fu la scomparsa di due dei quattro porporati: Joachim Meisner il 5 luglio 2017 e Carlo Caffarra il 6 settembre dello stesso anno, rendendo impervia l’azione pubblica degli altri due cardinali.
Il 29 giugno 2017 la polizia australiana aveva intanto confermato lo stato d’accusa contro il cardinale Pell per “gravi reati sessuali” su minori. Pell venne giudicato colpevole dalla giuria dello Stato di Victoria in Australia e il 13 marzo 2019 fu condannato a una pena detentiva di 6 anni. Bisognò attendere il 7 aprile 2020 perché fosse prosciolto all’unanimità dalla stessa Corte e rilasciato dopo più di un anno d’incarcerazione. Il cardinale australiano, il più attivo e dotato di senso pratico dei cardinali di Curia, tornò a Roma e iniziò a organizzare le fila anti-bergogliane per il prossimo conclave, ma inopinatamente venne a mancare il 10 gennaio 2023. Mentre venivano celebrati i suoi funerali si svolgeva a pochi passi, in Vaticano, un’infuocata udienza del processo al cardinale Angelo Becciu, una vicenda giudiziaria ancora aperta e gravida di incognite, in cui papa Francesco è coinvolto.
Chi avrebbe potuto immaginare, inoltre, la delusione verso papa Francesco di quegli stessi progressisti che avevano accolto con entusiasmo la sua elezione? Lo storico Alberto Melloni, nell’aprile del 2013, definì l’annuncio della riforma della curia di papa Francesco come «il passo più importante nella storia della Chiesa degli ultimi dieci secoli e nella cinquantennale vicenda della ricezione del Vaticano II» (Corriere della Sera, 14 aprile 2013). Dieci anni dopo, lo stesso Melloni, ha definito il principio su cui si fonda la Costituzione apostolica del 19 marzo 2022, Praedicate evangelium, sulla riorganizzazione della Curia romana, «una tesi che colpisce al cuore il Concilio Vaticano II, e che costituisce un punto dirimente per il futuro della Chiesa» (la Repubblica, 24 agosto 2022). L’accusa è quella di aver rinnegato il primato dell’ordine sacramentale su quello giuridico che aveva costituito uno dei capisaldi della nuova dottrina conciliare.
«L’irruzione di François ha prodotto uno shock. Uno scontro di culture. È stato vissuto, a seconda della sensibilità, come un incubo, uno shock terrestre o un’autentica liberazione», ha scritto Jean-Marie Guénois, nel suo ultimo libro (Pape François. La Révolution, Gallimard, Paris 2023) in cui cerca disciogliere quello che un altro vaticanista, Massimo Franco, ha chiamato L’enigma Bergoglio (Edizioni Solferino, Milano 2020). Tra i pochi punti chiari c’è una radicale continuità, sul piano della prassi, con il Concilio Vaticano II. In questo senso ha ragione l’abbé Claude Barthe quando definisce l’attuale pontificato come «un’apocalisse in senso letterale, vale a dire una rivelazione, nello specifico una rivelazione della grande svolta che avevano operato volens nolens i Padri del Vaticano II. Papa Francesco sta portando al massimo grado questo evento assolutamente unico o, in tutti i casi, ne sta rendendo la natura molto più tangibile» (ResNovae, 1° settembre 2023). Ma il “vaso di Pandora” delle dimissioni di Benedetto XVI, con la conseguente elezione di Francesco, ha forse prodotto le sue più imprevedibili conseguenze nel campo dei cattolici fedeli alla Tradizione. La Correctio filialis dell’11 agosto 2017, firmata da oltre 200 teologi e studiosi di varie discipline, sembrava aver trovato unità dottrinale e di intenti in quel mondo. La pandemia di Coronavirus, la guerra russo-ucraina, e l’atteggiamento ondivago di Francesco hanno però contribuito a destabilizzarlo. Il mondo tradizionale non è più un’“Acies ordinata”, come poteva apparire fino al gennaio 2020, ma uno schieramento confuso e litigioso, che oggi si trova di fonte ad un evento definito dal cardinale Pell come «un incubo tossico»: il Sinodo di ottobre, un nuovo “vaso di Pandora” da cui tutto ci si può aspettare, anche per quanto riguarda le reazioni che inevitabilmente provocherà.
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