Il cattolico non si inginocchia alla dea Gaia, idolo neopagano che svela l'ideologia climatista. Occorre contrastare la falsa soluzione della governance globale che mira a un socialismo verde. L'ecologia ha senso solo se è centrata sul rispetto della natura dell’uomo, della famiglia e della vita.
Maurizio Milano, 11-09-2023
Il mondo sta finendo. «È terminata l’èra del riscaldamento globale, è iniziata l’èra dell’ebollizione globale: il cambiamento climatico è qui. È terrificante. Ed è solo l’inizio». Così si è espresso, a commento delle temperature del mese di luglio, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres. Con enfasi melodrammatica.
UNA PSEUDO-RELIGIONE
Non si dovrebbe confondere il meteo del mese, per sua natura variabile e capriccioso, col clima, le cui tendenze si misurano su scale temporali pluridecennali e secolari; per di più, con un atteggiamento millenarista e catastrofista, e quindi anti-scientifico, che mal si addice al mondo istituzionale. Oramai, però, ci siamo abituati: dall’Agenda ONU 2030 al Great Reset di Davos, dal Green Deal della Commissione Europea alle politiche dell’Amministrazione Biden, da Bill Gates giù per li rami fino ai movimenti ecologisti come Fridays For Future ed Extinction Rebellion – col ruolo di cinghia di trasmissione –, si fa a gara a chi la spara più grossa.
Noncuranti del fatto che le previsioni dell’ultimo mezzo secolo si sono rivelate totalmente erronee, tutte quante: negli anni ’70, ad esempio, era di moda paventare l’approssimarsi di un’èra glaciale, l’esaurimento dei combustibili fossili e la diffusione di spaventose carestie a causa della sovrappopolazione. Un’alternanza di previsioni schizofreniche ma sempre apocalittiche, con cui la narrazione dominante mantiene uno stato di emergenza permanente: tra i frutti di questo continuo “procurato allarme” si annovera anche la diffusione, a partire degli Stati Uniti, di una nuova patologia: l’eco-ansia, alimentata dalle istituzioni e propagandata una voce dai media globali, che affligge particolarmente i giovani, più vulnerabili nei confronti di un’ideologia che assume sempre più le caratteristiche di una pseudo-religione, globale e globalista.
SILENZIARE IL DISSENSO…
La teoria del «riscaldamento globale» di supposta origine antropica (l’acronimo inglese è “AGW”: Anthropogenic Global Warming) e del più ampio concetto di «cambiamento climatico» che ne deriverebbe – al centro dell’attività dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), un’agenzia dell’Onu dedicata allo studio dell’impatto umano sul cambiamento climatico – è solamente una “ipotesi”: non dimostrata e non dimostrabile.
Sono moltissimi, infatti, gli scienziati autorevoli che criticano apertamente gli scenari IPCC: in Italia, ad esempio, studiosi di fama mondiale come Antonino Zichichi, Carlo Rubbia e il climatologo Franco Prodi che definisce l’AGW una «suggestione», per di più non esente da conflitti di interesse, qualificando la climatologia come una «disciplina acerba». Recentemente il Fondo Monetario Internazionale ha addirittura cancellato una conferenza già programmata del celebre fisico statunitense e premio Nobel, John Francis Clauser (1942-), dopo che aveva dichiarato: «Posso dire con fiducia che non c’è reale crisi climatica, e che il cambiamento climatico non causi condizioni metereologiche o eventi estremi». Ed ecco spiegato il tanto millantato consenso preponderante del mondo scientifico: certamente, perché chi non si adegua sparisce dai media mainstream.
Non potendo screditare scienziati di tale livello rubricandoli a terrapiattisti, la soluzione è quella di rimuoverli semplicemente dal pubblico dibattito, come venne fatto durante la crisi sanitaria col biologo e virologo francese, il premio Nobel Luc Montagnier (1932-2022). Dalla pandemia sanitaria alla pandemia climatica – come la chiama Bill Gates, a conferma di una continuità ideale nella narrazione – si parla sempre alle emozioni e ai sentimenti: per fare presa sulle folle bisogna «esagerare, affermare, ripetere, e mai tentare di dimostrare con un ragionamento» (Cfr. Gustave Le Bon, Psychologie des foules, ed. Felix Alcan, Parigi 1895, Cap.2 §3). «Scegliendo le giuste parole si possono fare accettare alle folle le cose più odiose» (Ibidem, Livre II, Cap. 2 § 1).
Sono moltissimi, infatti, gli scienziati autorevoli che criticano apertamente gli scenari IPCC: in Italia, ad esempio, studiosi di fama mondiale come Antonino Zichichi, Carlo Rubbia e il climatologo Franco Prodi che definisce l’AGW una «suggestione», per di più non esente da conflitti di interesse, qualificando la climatologia come una «disciplina acerba». Recentemente il Fondo Monetario Internazionale ha addirittura cancellato una conferenza già programmata del celebre fisico statunitense e premio Nobel, John Francis Clauser (1942-), dopo che aveva dichiarato: «Posso dire con fiducia che non c’è reale crisi climatica, e che il cambiamento climatico non causi condizioni metereologiche o eventi estremi». Ed ecco spiegato il tanto millantato consenso preponderante del mondo scientifico: certamente, perché chi non si adegua sparisce dai media mainstream.
Non potendo screditare scienziati di tale livello rubricandoli a terrapiattisti, la soluzione è quella di rimuoverli semplicemente dal pubblico dibattito, come venne fatto durante la crisi sanitaria col biologo e virologo francese, il premio Nobel Luc Montagnier (1932-2022). Dalla pandemia sanitaria alla pandemia climatica – come la chiama Bill Gates, a conferma di una continuità ideale nella narrazione – si parla sempre alle emozioni e ai sentimenti: per fare presa sulle folle bisogna «esagerare, affermare, ripetere, e mai tentare di dimostrare con un ragionamento» (Cfr. Gustave Le Bon, Psychologie des foules, ed. Felix Alcan, Parigi 1895, Cap.2 §3). «Scegliendo le giuste parole si possono fare accettare alle folle le cose più odiose» (Ibidem, Livre II, Cap. 2 § 1).
…E PUNIRE I NEGAZIONISTI
Nel caso della lotta contro il cambiamento climatico di supposta origine antropica, l’allarmismo è funzionale a far accettare gli enormi sacrifici che sono e saranno richiesti per ridurre le emissioni di anidride carbonica e di metano e cambiare radicalmente il sistema produttivo, distributivo e di consumo: dalle case alle auto, dal cibo al controllo sociale, in continuità con le arbitrarie e draconiane restrizioni sperimentate durante i lockdown. I più zelanti propendono di risolvere definitivamente il tema del dissenso con la forza pubblica, istituendo il reato di “negazionismo climatico”: a tal proposito, il prof. Klaus Schwab, fondatore e leader del World Economic Forum di Davos, scrive che «particolare attenzione dovrà essere prestata a quelli che non riconoscono o semplicemente negano la scienza (sic) del cambiamento climatico» (Cfr. Klaus Schwab, Thierry Malleret, The Great Narrative, For a Better Future, ed. Forum Publishing, 2021, § 2.3.3). Quando poi, malauguratamente”, la temperatura ridiscende, portandosi al di sotto delle medie stagionali, nessun problema: il riscaldamento c’è ma non si sente. Dal malato asintomatico si passa al riscaldamento globale asintomatico: ci troviamo, con ogni evidenza, di fronte a un nuovo paradigma scientifico.
UN CLIMA… DI ODIO
UN CLIMA… DI ODIO
Le giovani generazioni, più facilmente suggestionabili, sono considerate come gli agenti ideali per promuovere un cambiamento radicale, a fronte di: «ineguaglianze di reddito, cambiamento climatico, riforme economiche, eguaglianza di genere e diritti LGBTQ, tutte parti di un più generale problema di ineguaglianza. La giovane generazione è fermamente all’avanguardia del cambiamento sociale. Non ci sono dubbi che sarà il catalizzatore del cambiamento» (Cfr. K. Schwab, T. Malleret, op. cit., § 2.5). Il clima, come si vede, è il grimaldello verde per portare avanti un’agenda molto più ampia. Proprio su questo aspetto si può evidenziare una contraddizione insanabile: non è strano che i paladini pro-pianeta, col loro romanticismo bucolico, si distinguano poi sempre per le proprie posizioni aggressive, al limite dell’odio, nei confronti dell’uomo, visto come un elemento di disturbo all’interno di un quadro altrimenti idilliaco?
RISPETTARE L’ECOLOGIA DELL’UOMO…
Cosa buona e giusta amare la natura, certamente, ma esiste anche una natura dell’uomo, come ricordato magistralmente da S.S. Benedetto XVI in un celebre discorso al Reichstag di Berlino il 22 settembre 2011: «L’importanza dell’ecologia è ormai indiscussa. Dobbiamo ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi coerentemente. Vorrei però affrontare con forza un punto che – mi pare – venga trascurato oggi come ieri: esiste anche un’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea sé stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, la ascolta e quando accetta sé stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana».
…E NON INGINOCCHIARSI ALLA DEA GAIA
Come si può, infatti, pretendere di amare davvero la “natura” – dai minerali ai funghi, dalle piante agli animali – e poi, contemporaneamente, operare per la manipolazione della “natura dell’uomo”, come accade con la dissoluzione gnostica dell’identità sessuale promossa dall’ideologia LGBTQIA+, con l’imposizione dei famigerati diritti sessuali e riproduttivi dell’ONU (contraccezione, sterilizzazione e aborto), con la diffusione di programmi per promuovere (e imporre) l’eutanasia e con le derive transumane che si stagliano all’orizzonte?
Come si può pretendere di amare i poveri e affermare che la giustizia sociale e la giustizia ambientale sono due facce della stessa medaglia – come argomenta in un suo libro il segretario del Partito Democratico, Elly Schlein –, quando l’attuazione delle politiche green si sta ritorcendo contro la classe media e le fasce più deboli della popolazione, aumentando allo stesso tempo la concentrazione della ricchezza? Il diritto naturale è ovunque sovrascritto dal diritto positivo degli Stati, la metafisica superata, la ragione naturale abbandonata…e noi dovremmo inginocchiarci con riverenza di fronte alla dea Gaia, una pseudo-natura che assume sempre più le fattezze di un beffardo idolo neopagano? E non sto esagerando: riporto un paio di esempi:
«Tutto il pianeta è sovrappopolato […] ed è evidente che c’è un problema di sostenibilità di un ecosistema che è quello del pianeta, progettato per 3 miliardi di persone, e dell’essere umano che biologicamente è un parassita perché consuma energia senza produrre nulla»: così afferma, in una conferenza del 2014, Roberto Cingolani (1961), poi ministro della transizione ecologica nel governo Draghi nel periodo 2021-2022. Cingolani purtroppo non ci svela, ça va sans dire, le fonti di tali ragionamenti e di tali stime, e neppure offre soluzioni “finali” per i cinque miliardi di parassiti – pardon, di persone – “in eccesso” sul pianeta. E non è l’unico ad esprimere tale odio anti-umano:
«Il dono d’amore più grande che puoi fare al tuo primo figlio è non averne un altro», giacché «per salvare il solo pianeta che hai devi fare un solo figlio» (Cfr. Bridget McGovern Llewellyn, One Child One Planet, ed. Emerald Shamrock Press, Phoenix 2009): un sofisma di tutto rispetto. Occorre superare il «prenatalismo», cioè «la pressione sociale ad avere figli»: e dove sarebbe, di grazia? Occorre passare dall’«antropocentrismo» all’«eco-centrismo», riducendo di conseguenza la dimensione delle famiglie e i consumi per combattere le «ingiustizie sociali verso la giustizia sociale».
Per contrastare il cambiamento climatico e salvare il mondo dall’imminente catastrofe ecologica, è quindi necessario – in una sorta di eresia catara di ritorno – «rifiutarsi di procreare», come propugnato dal The Birthstrike Movement. Parafrasando l’Amleto di Shakespeare: c’è della follia – e molta! – in questo metodo. Non a caso, la natalità ha iniziato a scendere marcatamente anche negli Stati Uniti, in equilibrio demografico fino al 2007.
ANTI-CLIMATISMO: IL RUOLO DEI CATTOLICI
Le dichiarazioni oggettivamente deliranti di cui sopra hanno il grande merito di svelare, con brutale franchezza, il retro-pensiero sottostante all’ideologia climatista. Un monito al mondo cattolico che rischia di lasciarsi sempre più sedurre dalle sirene di questo falso ecologismo: amare la natura è un dovere, poiché il creato è «cosa buona», dono di Dio all’uomo, che è «cosa molto buona», come ci insegna il libro della Genesi. La prospettiva bio-centrica vorrebbe però annullare ogni differenza di ordine, grado e finalità: l’uomo, invece, è il vertice di una creazione gerarchica e finalistica, non un animale tra tanti come propone la teoria transumana dell’anti-specismo. Nella prospettiva giudaico-cristiana l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, è il custode e il giardiniere dell’Eden, che deve fare crescere in modo armonico «col sudore della fronte», partecipando come sub-creatore al piano di Dio creatore, come insegna il celebre scrittore inglese John R.R.Tolkien (1891-1973) e come la civiltà cristiana ha ampiamente dimostrato in due millenni di storia: basti citare, ad esempio, l’opera dei monaci benedettini.
A fronte delle follie ambientaliste verrebbe la tentazione di lasciare l’ecologia agli ecologisti, ma sarebbe un grave errore; invece diciamo sì all’ecologia, a condizione che sia autentica e integrale, centrata sul rispetto della natura dell’uomo, della famiglia, della vita, della proprietà privata, della libertà di iniziativa e della sussidiarietà. Occorre contrastare la falsa soluzione prospettata della pianificazione statalistica e della governance globale che mira a realizzare una sorta di socialismo verde: danneggiando la crescita economica si impoverirebbe la comunità umana, finendo coll’arrecare un danno a quello stesso ambiente che a parole si vorrebbe “salvare dall’uomo”. Esiste, infatti, una correlazione tra sotto-sviluppo e cattiva gestione dell’ambiente: ad esempio, durante il comunismo era assai più inquinata la Germania dell’Est, povera e arretrata, rispetto alla Germania dell’Ovest, ricca e sviluppata. Una decrescita sarebbe quindi assai infelice, anche per l’ambiente.
Nel settembre 2020, sulla nota piazza Union Square a New York, comparve un enorme orologio digitale, il Climate Clock, col conteggio del tempo che ci rimane – espresso in anni, giorni, ore, minuti (e secondi! così aumenta l’effetto ansiogeno…) – per impedire un incremento della temperatura globale di 1,5°C rispetto al periodo preindustriale, che ci porterebbe al di là di un supposto «punto di non-ritorno». Ad oggi, l’orologio ci concede ancora un po’ meno di sei anni per evitare la fine del mondo. Gli allarmisti climatici dicono che è urgente fare qualcosa: concordo, ad esempio, finirla al più presto con tali eco-follie. Iniziando, magari, con lo spegnere quell’assurdo orologio.
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