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by Aldo Maria Valli
di Marco Radaelli
Caro Valli,
la parola inclusione, affiancata dalle sue inseparabili ancelle discernimento, accompagnamento e accoglienza, è oggi il grimaldello buonista per permettere a chiunque qualsiasi cosa. Oggi si discerne su qualsiasi cosa, si accompagna tutti e ovunque, si accoglie tutto e il contrario di tutto. Si è arrivati così a discernere sull’aborto, ad accompagnare Rocco Siffredi nelle scuole per parlare di educazione sessuale, ad accogliere Michela Murgia nella comunità dei perfetti credenti. Tutto questo, si intende, in nome dell’inclusione. Il cristiano deve includere, ci viene continuamente ripetuto. Che di per sé sarebbe anche vero, se questa espressione non si traducesse in un maldestro invito, in sostanza, a farsi i fatti propri e a lasciare che ognuno faccia quel che vuole e si senta ciò che vuole. Trovo tutto questo insopportabile.
A me pare che accanto a tutte queste parole manchi l’unica che darebbe a ciascuna il suo vero senso: verità. Si fa discernimento per comprendere la verità, si accompagna verso la verità, si accoglie nella verità. Altrimenti sono tutte parole vuote: si discerne che cosa? Cosa vuol dire accompagnare se non c’è una meta? E si accoglie dove?
Vedo oggi una grande incapacità (e una grande paura) di dire la verità, e mi sembra proprio questo il segno più evidente di un cedimento pressoché completo di fronte ad uno dei compiti più alti che gli uomini possano assumersi nei confronti degli altri fratelli uomini, e cioè l’educazione. Io credo fermamente che quello riguardante la verità sia infatti, innanzitutto, un problema educativo. Alla verità si può e si deve essere educati fin da piccoli, affinché si possa acquisire familiarità con essa, imparando a riconoscerla e costruendo man mano uno sguardo critico e capace di comprendere dove essa si trovi e dove invece no. La famiglia e (poi) la scuola sono dunque, a mio parere, i due luoghi fondamentali, quando si parla di verità.
E invece la scuola, oggi, è diventato un luogo in cui la parola verità è divenuta rarissima. Si parla sempre di scuola dell’inclusione, ma non sento mai parlare di scuola della verità. Sembra che non possa esserci inclusione in presenza della verità, quasi che la verità escluda l’inclusione. Io invece credo esattamente il contrario, e sono convinto che non esista vera inclusione senza verità.
Oggi si intende come inclusiva la scuola che non lascia indietro nessuno. E con questo si portano avanti tutti, indipendentemente da ciò che fanno (o non fanno) e da ciò che sanno (o non sanno). Ma è davvero inclusivo fare questo? È inclusivo promuovere quando si dovrebbe bocciare, trascinando avanti chi dovrebbe essere fermato e dando voti che non corrispondono alla situazione reale? In altre parole: è inclusivo mentire ai ragazzi, facendo credere loro cose che non esistono, illudendoli di essere ciò che non sono e di avere predisposizioni o capacità che magari non hanno? Non credo proprio. Al contrario, io penso che sia veramente esclusivo fare questo, perché alla fine i ragazzi vengono esclusi dalla possibilità di conoscersi e quindi dalla possibilità di crescere. E così, in nome dell’inclusione si fa esattamente l’opposto, escludendo i ragazzi dalla consapevolezza di sé. Al massimo li ho inclusi nella comunità degli esseri non coscienti. Non proprio il migliore dei risultati.
Io penso che l’insegnante veramente buono e inclusivo non sia quello che, alla fine, garantisce a tutti di raggiungere il risultato, ma quello che, dicendo le cose come stanno davvero, è in grado di accompagnare gli alunni in quella grande avventura che è la scoperta di sé.
O la scuola conduce ogni alunno alla scoperta di questo, o ha fallito nel suo compito. Inclusiva è la scuola che ferma chi va fermato e premia chi va premiato, che dice «no» quando è «no» e «sì» quando è «sì», «quattro» quando è «quattro» e «otto» quando è «otto», non quella che dice «sì» a tutti i costi, che porta avanti tutti indipendentemente, facendo credere che è possibile fare tutto nonostante tutto. Che inclusione è quella che include tutti nell’incoscienza? L’inclusione, quella vera, è possibile soltanto in presenza della verità e nella verità. È troppo importante che la scuola torni a dire la verità: di mezzo ci sono la coscienza, la crescita e la realizzazione dei ragazzi che ci vengono affidati, e quindi del mondo che essi andranno a costruire. O l’inclusione è orientata a questo, oppure non so davvero a cosa serva.
È una democrazia della verità quella di cui c’è bisogno, all’interno della scuola come ovunque. Questa sì che sarebbe una vera rivoluzione in grado di cambiare le cose. Sono convinto che tanto di quello che vediamo in giro dipenda da un sistema educativo che si è negli anni appiattito sul sentire comune della società e del mondo, puntando su un significato di inclusività davvero povero e distorto. Sono però persuaso che il cambiamento possa ancora accadere e che debba essere affidato da insegnanti rinnovati, cioè consapevoli della grandezza e dell’importanza del proprio compito. Lavorando nella scuola, mi conforta vedere quotidianamente che, nonostante tutto, insegnanti così esistono ancora. Basterebbe lasciarli lavorare in pace, e seguirli anziché ostacolarli.
by Aldo Maria Valli
di Marco Radaelli
Caro Valli,
la parola inclusione, affiancata dalle sue inseparabili ancelle discernimento, accompagnamento e accoglienza, è oggi il grimaldello buonista per permettere a chiunque qualsiasi cosa. Oggi si discerne su qualsiasi cosa, si accompagna tutti e ovunque, si accoglie tutto e il contrario di tutto. Si è arrivati così a discernere sull’aborto, ad accompagnare Rocco Siffredi nelle scuole per parlare di educazione sessuale, ad accogliere Michela Murgia nella comunità dei perfetti credenti. Tutto questo, si intende, in nome dell’inclusione. Il cristiano deve includere, ci viene continuamente ripetuto. Che di per sé sarebbe anche vero, se questa espressione non si traducesse in un maldestro invito, in sostanza, a farsi i fatti propri e a lasciare che ognuno faccia quel che vuole e si senta ciò che vuole. Trovo tutto questo insopportabile.
A me pare che accanto a tutte queste parole manchi l’unica che darebbe a ciascuna il suo vero senso: verità. Si fa discernimento per comprendere la verità, si accompagna verso la verità, si accoglie nella verità. Altrimenti sono tutte parole vuote: si discerne che cosa? Cosa vuol dire accompagnare se non c’è una meta? E si accoglie dove?
Vedo oggi una grande incapacità (e una grande paura) di dire la verità, e mi sembra proprio questo il segno più evidente di un cedimento pressoché completo di fronte ad uno dei compiti più alti che gli uomini possano assumersi nei confronti degli altri fratelli uomini, e cioè l’educazione. Io credo fermamente che quello riguardante la verità sia infatti, innanzitutto, un problema educativo. Alla verità si può e si deve essere educati fin da piccoli, affinché si possa acquisire familiarità con essa, imparando a riconoscerla e costruendo man mano uno sguardo critico e capace di comprendere dove essa si trovi e dove invece no. La famiglia e (poi) la scuola sono dunque, a mio parere, i due luoghi fondamentali, quando si parla di verità.
E invece la scuola, oggi, è diventato un luogo in cui la parola verità è divenuta rarissima. Si parla sempre di scuola dell’inclusione, ma non sento mai parlare di scuola della verità. Sembra che non possa esserci inclusione in presenza della verità, quasi che la verità escluda l’inclusione. Io invece credo esattamente il contrario, e sono convinto che non esista vera inclusione senza verità.
Oggi si intende come inclusiva la scuola che non lascia indietro nessuno. E con questo si portano avanti tutti, indipendentemente da ciò che fanno (o non fanno) e da ciò che sanno (o non sanno). Ma è davvero inclusivo fare questo? È inclusivo promuovere quando si dovrebbe bocciare, trascinando avanti chi dovrebbe essere fermato e dando voti che non corrispondono alla situazione reale? In altre parole: è inclusivo mentire ai ragazzi, facendo credere loro cose che non esistono, illudendoli di essere ciò che non sono e di avere predisposizioni o capacità che magari non hanno? Non credo proprio. Al contrario, io penso che sia veramente esclusivo fare questo, perché alla fine i ragazzi vengono esclusi dalla possibilità di conoscersi e quindi dalla possibilità di crescere. E così, in nome dell’inclusione si fa esattamente l’opposto, escludendo i ragazzi dalla consapevolezza di sé. Al massimo li ho inclusi nella comunità degli esseri non coscienti. Non proprio il migliore dei risultati.
Io penso che l’insegnante veramente buono e inclusivo non sia quello che, alla fine, garantisce a tutti di raggiungere il risultato, ma quello che, dicendo le cose come stanno davvero, è in grado di accompagnare gli alunni in quella grande avventura che è la scoperta di sé.
O la scuola conduce ogni alunno alla scoperta di questo, o ha fallito nel suo compito. Inclusiva è la scuola che ferma chi va fermato e premia chi va premiato, che dice «no» quando è «no» e «sì» quando è «sì», «quattro» quando è «quattro» e «otto» quando è «otto», non quella che dice «sì» a tutti i costi, che porta avanti tutti indipendentemente, facendo credere che è possibile fare tutto nonostante tutto. Che inclusione è quella che include tutti nell’incoscienza? L’inclusione, quella vera, è possibile soltanto in presenza della verità e nella verità. È troppo importante che la scuola torni a dire la verità: di mezzo ci sono la coscienza, la crescita e la realizzazione dei ragazzi che ci vengono affidati, e quindi del mondo che essi andranno a costruire. O l’inclusione è orientata a questo, oppure non so davvero a cosa serva.
È una democrazia della verità quella di cui c’è bisogno, all’interno della scuola come ovunque. Questa sì che sarebbe una vera rivoluzione in grado di cambiare le cose. Sono convinto che tanto di quello che vediamo in giro dipenda da un sistema educativo che si è negli anni appiattito sul sentire comune della società e del mondo, puntando su un significato di inclusività davvero povero e distorto. Sono però persuaso che il cambiamento possa ancora accadere e che debba essere affidato da insegnanti rinnovati, cioè consapevoli della grandezza e dell’importanza del proprio compito. Lavorando nella scuola, mi conforta vedere quotidianamente che, nonostante tutto, insegnanti così esistono ancora. Basterebbe lasciarli lavorare in pace, e seguirli anziché ostacolarli.
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