domenica 5 dicembre 2021

C’è un vaccino anche per il virus che contagia la Chiesa. Con una replica






di Sandro Magister
30 nov 2021

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Il testo che segue è l’intervento integrale di Sandro Magister al convegno di studio tenuto sabato 27 e domenica 28 novembre 2021 ad Anagni, nella Sala della Ragione, per iniziativa della Fondazione Magna Carta, sul tema: “Chiesa e secolo dopo la pandemia”.


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LA CHIESA NEL MONDO O NELL’EREMO




di Sandro Magister
Anagni, 27 novembre 2021

Tra la Chiesa e il secolo, dopo la pandemia, è il secondo a vincere, come dice la parola stessa di “secolarizzazione”, che avanza inesorabile, con le chiese sempre più vuote. Ma l’ondata viene da lontano, almeno dagli anni del Concilio Vaticano II, di pari passo con l’eclissi in tutto l’Occidente del paradigma conservatore.

La cultura conservatrice sostiene il primato dei doveri piuttosto che dei diritti, il prevalere di logiche sovra-individuali: la nazione, la famiglia, la tradizione, la religione, alle quali l’individuo deve adeguarsi e magari sacrificarsi. Era inevitabile che l’eclissi di tale cultura travolgesse anche la Chiesa, in quanto struttura gerarchica, fatta di precetti e di riti identitari, forgiata come compatto “cattolicesimo romano” dai concili di Trento e del Vaticano I. Già nel 1840 Alexis de Tocqueville vedeva nel crescere della democrazia in America un impatto sulle religioni precettistiche e rituali, indotte a ridursi a “a una schiera di ferventi zelatori in mezzo a una moltitudine di increduli”.

Sembra di veder balenare in questa profezia di Tocqueville quella “Benedict Option” che di recente è stata proposta ai cristiani per contrastare lo spirito del tempo, richiamando in vita in forme nuove e alternative il paradigma conservatore. Ma la pandemia ha sgretolato anche la compattezza di questo cattolicesimo resistente e militante, dove tra no-vax e pro-vax è guerra senza quartiere, e la divisione non è su un farmaco ma tocca questioni capitali.

Per meglio capire ciò che oggi accade ripartiamo però dagli anni del Vaticano II, nel solco della rilettura che ne ha fatta lo storico Roberto Pertici.

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Quel Concilio si celebrò proprio mentre il nuovo individualismo, specie delle donne e dei giovani, investiva le Chiese e le disarticolava anche al loro interno. Paolo VI non volle più scrivere alcuna enciclica dopo che la “Humanae vitae” gli fu contestata come retrograda da interi episcopati. Non è un caso che l’agenda della Chiesa abbia avuto da lì in avanti come temi obbligati quelli man mano imposti dalla nuova cultura e dalla nuova antropologia: la contraccezione, il divorzio, l’aborto, l’eutanasia, la condizione omosessuale, la donna e la questione femminista, la natura del sacerdozio e il celibato ecclesiastico.

I pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI si prefissero di salvare i frutti migliori non solo del Vaticano II, ma anche dell’illuminismo, contro la deriva sempre più individualista, relativista e in definitiva nichilista della nuova cultura. C’era un che di “kantiano”, oltre che di cristianamente genuino, nell’assolutezza dei principi morali e nella centralità della ragione predicate da Joseph Ratzinger.

Basti citare qualche riga di questo suo discorso pronunciato il 1 aprile del 2005 a Subiaco, nel monastero di san Benedetto, pochi giorni prima d’essere eletto papa:

“Il cristianesimo […] ha sempre definito gli uomini, tutti gli uomini senza distinzione, creature di Dio e immagine di Dio, proclamandone in termine di principio, seppure nei limiti imprescindibili degli ordinamenti sociali, la stessa dignità. […] In questo senso l’illuminismo è di origine cristiana ed è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana, laddove il cristianesimo, contro la sua natura, era purtroppo diventato tradizione e religione di Stato. […] È stato merito dell’illuminismo aver riproposto questi valori originali del cristianesimo e aver ridato alla ragione la sua propria voce. Il Concilio Vaticano II, nella costituzione della Chiesa nel mondo contemporaneo, ha nuovamente evidenziato la corrispondenza tra cristianesimo e illuminismo, cercando di arrivare a una vera riconciliazione tra Chiesa e modernità”.

Come pure va citato il paragrafo finale del suo memorabile discorso del 12 settembre 2008 al Collège des Bernardins di Parigi:

“La nostra situazione di oggi, sotto molti aspetti, è diversa da quella che Paolo incontrò ad Atene, ma, pur nella differenza, tuttavia, in molte cose anche assai analoga. Le nostre città non sono più piene di are ed immagini di molteplici divinità. Per molti, Dio è diventato veramente il grande Sconosciuto. Ma come allora dietro le numerose immagini degli dèi era nascosta e presente la domanda circa il Dio ignoto, così anche l’attuale assenza di Dio è tacitamente assillata dalla domanda che riguarda Lui. ‘Quaerere Deum’, cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”.

Con papa Francesco, invece, tutto questo è stato accantonato. Lo smantellamento del “cattolicesimo romano” – effettivamente percepito come un corpo estraneo dalla cultura dominante – è da lui assecondato in nome di una nuova forma di Chiesa vagamente “sinodale”. “Fratelli tutti” è l’insegna di questo pontificato, la sua priorità, ma senza più Dio, come ha commentato, all’uscita dell’enciclica che porta questo nome, un filosofo di valore come Salvatore Natoli, non credente ma molto attento al fenomeno religioso. Una fratellanza nella quale l’uomo Gesù semplicemente “ha mostrato agli uomini che solo nel loro reciproco donarsi hanno la possibilità di divenire ‘dèi’, al modo di Spinoza: ‘homo homini deus’”. Non sorprende che nel solenne appello firmato lo scorso 4 ottobre da papa Francesco assieme al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, al patriarca di Mosca Kirill, al grande imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb e ad altri capi religiosi alla vigilia della conferenza di Glasgow sul cambiamento climatico, nelle sue cinque pagine e 2350 parole non compaia nemmeno una volta la parola “Dio”. E neppure le parole “creatore”, “creato”, “creatura”. La natura vi è definita come “una forza vitale”.

Con papa Francesco, la Chiesa ha ripreso ad assecondare il “dérapage” della post-modernità, insistendo su temi politici come l’ecologia, le migrazioni, le nuova povertà, che la post-modernità delega volentieri alla Chiesa, da essa avvertita come un’agenzia etica fra le tante.

Ma una deriva sorprendente è anche quella che caratterizza oggi alcuni settori del cattolicesimo intransigente. Che contestano in nome della libertà gli obblighi vaccinali imposti, a loro dire, da una planetaria dittatura biotecnocratica. Ma non vedono che in realtà si consegnano anima e corpo – come denunciato con acutezza dal professor Pietro De Marco – a “un amabile dittatore libertario” che “concede, anzi legittima, tutte le libertà private” e con ciò dissolve non solo la concezione cristiana della politica e dello Stato, ma l’idea del nascere, del generare, del morire, del libero arbitrio, in una parola l’idea stessa dell’uomo, molto lontana da quella della Bibbia, magistralmente messa in luce da quello che è forse il più bel documento prodotto dalla Santa Sede in questi ultimi anni, firmato dalla pontificia commissione biblica e dal titolo “Che cosa è l’uomo?” .

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Da tutto questo si intuisce che è una sfida non episodica ma epocale quella che oggi i cristiani sono chiamati ad affrontare. Una sfida analoga a quella dei cristiani dei primi secoli, anche allora una piccola minoranza in un contesto culturalmente e socialmente estraneo, se non ostile.

Le tentazioni erano anche allora simili a quelle di oggi. La prima era di assimilarsi ai modelli culturali dominanti. La seconda era di chiudersi al mondo esterno, in una sorta di arroccamento. La terza era di fuoruscire, o collettivamente verso una nuova patria, una “terra promessa”, o individualmente con una “fuga nel deserto”.

Ma i cristiani dei primi secoli non hanno ceduto a nessuna di queste tre tentazioni, salvo cedimenti o arroccamenti di volta in volta contestati e sconfitti dentro la stessa Chiesa. C’era infatti una quarta modalità di rapporto che un gruppo minoritario poteva intrattenere con il mondo che lo circondava e lo assediava, ed era quella di entrare con esso in una relazione fortemente critica e di esercitare un’influenza culturale sulla società, che alla lunga poteva arrivare a metterne in crisi l’assetto generale.

Ed è proprio questo che il cristianesimo è stato effettivamente capace di realizzare, nell’arco di alcuni secoli, come messo in luce da uno studioso della patristica quale Leonardo Lugaresi. Quei cristiani hanno dato vita a un vero cambiamento di paradigmi culturali – visione del mondo, modelli di comportamento, forme espressive –, acquisendo una posizione via via sempre meno marginale nello spazio pubblico e incidendo in esso in misura crescente.

Il cristianesimo nel mondo antico è così passato dallo stigma di "exitiabilis superstitio", di mortifera superstizione invisa a tutti, al riconoscimento della sua piena plausibilità come fondamento religioso e culturale dell’impero rifondato da Costantino, senza bisogno che i cristiani fossero diventati nel frattempo la maggioranza e neppure una cospicua minoranza della popolazione. Si stima che all’epoca di Costantino i cristiani fossero non più del 15 per cento dei cittadini dell’impero.

E oggi? Nel suo romanzo del 1998 “Les particules élémentaires” Michel Houellebecq individua nella storia dell’umanità quelle che chiama le “mutazioni metafisiche”, ossia le trasformazioni radicali delle visioni collettive del mondo. Una prima la vede proprio nell’imporsi del cristianesimo in un impero romano che pure era al culmine della sua potenza. Una seconda nel dissolversi del regime medievale di cristianità giunto al suo apogeo, con il progressivo crescere, fino ai giorni nostri, della cultura materialista con la sua rivoluzione sessuale.

I fautori dell’ipermodernità sono convinti di avere il mondo nelle loro mani. Chissà, invece, che siano come i pagani del tardo impero o i filosofi scolastici della prima età moderna, incapaci di vedere che può arrivare anche oggi, come allora, un cambio di paradigma, una nuova "mutazione metafisica”, un vaccino risolutivo.

Non è infatti scontato – ha scritto Pertici nel commentare Houellebecq – che il procedere unidirezionale della storia sia inesorabile, come pensano i progressisti anche cattolici, né che l’età iniziatasi con la "mutazione metafisica" che ha portato all’attuale scristianizzazione sia per sempre. Il dispiegamento completo dell’odierna cultura dominante può portare davvero a una nuova rottura, in un futuro forse non lontano.

Da qui l’importanza di serbare intatta l’eredità cristiana, per poterla riproporre criticamente nel moderno impero, e rigenerarlo. Alla scuola dei primi cristiani e dei Padri della Chiesa.





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