di Mauro Faverzani, 1 Dicembre 2021
Niente da fare, l’ideologia gender è ormai eretta a sistema mondiale e da ogni fessura entra nelle nostre case, con la pretesa d’imporsi ovunque. Non v’è bocciatura politica che tenga: ddl Zan o meno, par rientrare dalla finestra quanto uscito dalla porta. A volte complice proprio la politica, com’è accaduto in Nuova Zelanda, dove, dopo il via libera giunto dalla Commissione parlamentare speciale sulla governance e sull’amministrazione, è giunto ad approvazione un disegno di legge, per rendere “neutra” o, per meglio dire, per cancellare di fatto l’indicazione del sesso dai certificati di nascita oppure per consentire di cambiarla anche ripetutamente, una volta raggiunta la maggiore età. Tutto questo, come dichiara la Commissione speciale, per far capire come «il genere possa essere fluido». L’importante, quando si cambi sesso, è non pretendere poi di tornare indietro, poiché tale scelta potrebbe sembrare cisgender, propria cioè di coloro per i quali identità e sesso biologico coincidano, il che rappresenterebbe un dietrofront assolutamente intollerabile, politicamente scorrettissimo, quindi controproducente per la galassia Lgbt. Il provvedimento del governo neozelandese coltiva l’ambiziosa illusione, invece, di cancellare la realtà, senza speranze, in concreto, di riuscirvi.
Sulla stessa falsariga anche le nuove linee-guida assunte dal Comitato Olimpico Internazionale, per consentire la partecipazione senza vincoli degli atleti transgender alle competizioni femminili. Abolite tutte le regole sui livelli ormonali, perché giudicate «medicalmente inutili», la decisione prevede dunque zero restrizioni, imponendo un’evidente discriminazione nei confronti delle donne, che difficilmente potranno raggiungere le stesse prestazioni sportive dei loro colleghi uomini, trans o meno che siano. Ma l’entusiasmo sopra le righe, con cui media e sigle Lgbt hanno accolto il provvedimento, toglie ogni dubbio circa la matrice ideologica dell’intera faccenda.
A proposito di media¸ è giunta in questi giorni in tutte le case norvegesi l’improponibile, vergognosa pubblicità di Posten, il servizio postale nazionale, che non ha trovato di meglio, per promuovere i propri servizi, d’inventarsi uno spot con un Babbo Natale Lgbt, propostosi quale dono al suo partner, aitante cinquantenne di nome Harry. Il video si conclude con un appassionato bacio tra i due, dinanzi all’albero addobbato. Immediate le proteste su web e social per l’icona natalizia ideologizzata tanto maldestramente, da lasciare tutti senza parole, bimbi compresi. Ma in questo messaggio v’è di più e v’è di peggio: nell’immaginario collettivo di ogni angolo del pianeta, qualsiasi versione del tradizionale “Babbo Natale” fa riferimento, in realtà, ad un personaggio storico, san Nicola, ch’era vescovo, vescovo di Myra per la precisione, oggi Demre, in Turchia. Fu considerato protettore dei bambini, in quanto, secondo la tradizione, ritrovò e riportò in vita tre fanciulli, ch’erano stati rapiti e uccisi da un oste. Lo stesso nome Santa Claus deriva da Sinterklaas, versione olandese di san Nicola. Imporre il marchio Lgbt, quindi, su di una figura così, ben sapendo come la pratica omosessuale sia assolutamente vietata dalla Dottrina della Chiesa, significa voler attaccare direttamente la fede cattolica e ferire la sensibilità di milioni di fedeli. Peccato che nessuno, questo, lo abbia fatto notare.
In questo arcipelago di pessime notizie, l’unica buona giunge, una volta tanto, dalla Francia: il tribunale di Parigi ha assolto Jean-Pierre Maugendre, caporedattore di Renaissance catholique, dall’accusa di incitamento alla discriminazione, formulata dall’associazione «Stop all’omofobia», per aver pubblicato nel giugno 2019 un articolo contrario alle unioni Lgbt, articolo firmato dai cardinali Raymond Leo Burke e Janis Pujats, nonché dagli arcivescovi Tomash Peta, Jan Pawel e dal vescovo Athanasius Schneider. Il passo incriminato altro non era che un commento al pronunciamento della Congregazione per la Dottrina della Fede, risalente al 3 giugno 2003 sull’insegnamento della Chiesa cattolica a proposito del riconoscimento civile delle coppie omosessuali. In particolare, nel mirino degli attivisti Lgbt, era finito il seguente passaggio: «Le autorità non devono legalizzare tra persone dello stesso sesso le unioni civili, che imitino apertamente il patto nuziale, poiché, quand’anche non si chiamino matrimonio, fomentano in loro il peccato grave e provocano tra gli altri grave scandalo».
Secondo quanto riportato dalla rivista cattolica Famille chrétienne, il tribunale parigino ha chiarito come l’insegnamento della Chiesa non sia illegale – contrariamente a quanto ritenuto dai querelanti, che speravano proprio per questo in una condanna, che facesse scuola – ed ha anzi precisato come sia compito precipuo di vescovi e cardinali ribadire la Dottrina tradizionale: ciò non rappresenta un’incitazione a chicchessia, rientra anzi nella tutela della libertà di parola e d’espressione. Checché ne pensino i querelanti. Da qui, l’assoluzione di Maugendre.
L’ideologia gender, insomma, imperversa con ogni mezzo ed in ogni modo, indipendentemente dal fatto che il sistema politico la segua o meno. Ma il caso di Renaissance catholique mostra che la partita è ancora aperta, laddove vi siano persone disposte a combattere per le proprie idee e per i propri ideali.
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