Tutto il discorso ecologista si basa su Malthus. Andrea Mariotto intervista Giulio Meotti sul suo “Il dio verde”
Andrea Mariotto, 14 dicembre 2021
“Se anche il cristianesimo sale su questo carro dei vincitori, a quel punto allora dovrà accettare anche il gender, il transumanesimo, l’immigrazionismo, tutte teorie che postulano uno sradicamento di una certa visione dell’Europa, dell’occidente, della cultura, della cristianità e delle tradizioni”.
Giulio Meotti, giornalista del Foglio e saggista, ha recentemente dato alle stampe per i tipi di Liberilibri Il dio verde. Ecolatria e ossessioni apocalittiche (104 pagine, 14 €), un volume che con dovizia di particolari documenta la matrice ideologica e la pericolosità di certo ambientalismo militante. Un fenomeno che, dall’avvento di Greta Thunberg da cui sono scaturite le manifestazioni dei Fridays for future a livello globale, si è imposto nel dibattito pubblico degli ultimi anni.
Il nostro Osservatorio si è occupato a fondo dell’argomento dell’ambientalismo, collegandolo con quello del globalismo, nel 12mo Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo dell’anno scorso: “Ambientalismo e globalismo nuove ideologie politiche” [Vedi qui ]. Con grande interesse abbiamo quindi rivolto all’autore alcune domande di approfondimento.
Meotti, da dove nasce questo ambientalismo? Possiamo dire che l’ecologismo è una faccia del decadimento culturale e della crisi della ragione dell’occidente?
Tutti noi abbiamo una premura nei confronti dell’ambiente e della creazione. Negli ultimi quarant’anni abbiamo compiuto indubbiamente dei progressi: usiamo auto meno inquinanti, facciamo la raccolta differenziata, abbiamo a cuore come si indirizza il progresso. Il problema è che questo tipo di ecologismo non è più una discussione tecnica sui mezzi da utilizzare, ma è diventata una guerra santa. Se si prendono gli annunci che sono stati lanciati alla Cop26 (la Conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici), erano degli slogan contro il patriarcato, la “eteronormatività”, il sesso binario, il colonialismo, il “razzismo climatico”. È diventato un enorme abracadabra ideologico in cui il clima è soltanto una piccola parte, una scusa. Greta Thunberg, ad esempio, dice che il problema del clima è legato al sistema razziale, al gender e al patriarcato e che dobbiamo smantellarli tutti. Quindi sì, è uno specchio del decadimento culturale.
Che ruolo hanno i media in questo contesto? E chi è – e che cosa rappresenta – Greta Thunberg, che sempre di più sembra un “simbolo” che i media sfruttano finché fa comodo, per poi soppiantarla quando si troverà qualcuno di più spendibile e più efficace sul piano comunicativo?
Greta Thunberg è sicuramente lo strumento di interessi svedesi precisi, una operazione di PR veramente ben riuscita. Ci sono coinvolte grandi corporations, banche, ex-ministri, lobbies, think-tank il cui obiettivo è vendere le energie rinnovabili. Poi è sicuramente un fenomeno funzionale a un sistema di mainstream che ama i grandi numeri, i toni catastrofisti, le immagini dei ghiacciai che si sciolgono e degli orsi che vagano da soli nelle lande desolate. È così fin dai tempi di Al Gore, che nel 2006 proclamò che in dieci anni il mondo sarebbe finito. È una specie di ansia collettiva di cui Greta Thunberg è il megafono. Peraltro, è singolare come figura, perché viene portata a incontrare Draghi, il Papa, Macron, tutti i grandi della terra, viene chiamata all’ONU, ma allo stesso tempo guida le marce fuori dalla Cop26 dicendo che dentro si fa solo del “bla bla bla”. Quindi è un prodotto del sistema che però lei stessa critica. È un gioco di specchi strano in cui tutti guadagnano qualcosa.
Colpisce il riconoscimento istituzionale che le è tributato, in effetti.
Come dicevamo, conviene a tutti. Le grandi corporation fanno il green washing, fanno finta di essere ambientalisti invece in realtà si lavano la coscienza in questo modo; lei diventa strumento potentissimo di questa ideologia perché ad ascoltarla ci si rende conto di essere di fronte a una fragilità di pensiero incredibile fatta solo di slogan triti e ritriti. Conviene a tutti fare così: le grandi aziende riescono ad essere benvolute da questo ambiente perché altrimenti sarebbero attaccate ferocemente, Greta se ne avvantaggia perché essere ricevuta dei potenti della terra è un segno di legittimazione potentissima. Conviene a tutti tranne che al popolo, che sarà chiamato a pagare questa transizione ecologica. Su chi è che ricadrà il peso? Su chi usa l’automobile perché non vive in una grande città e non ha la possibilità di comprarsi il monopattino e l’auto elettrica. È un grande bluff che pagheranno le classi medie e i ceti popolari: lo stiamo vedendo in queste settimane con l’aumento delle bollette che i governi stanno cercando in tutti modi di calmierare, ma lo fanno con il debito pubblico, quindi aggravando ulteriormente la situazione delle generazioni future.
L’ecologismo si muove da decenni sulla base di previsioni catastrofiste che puntualmente non si avverano. Che credibilità possono avere questi annunci sistematicamente smentiti dalla storia?
Se non c’è un’opinione pubblica che inchioda i leaders e gli ideologi alle loro responsabilità intellettuali, morali e politiche, se non c’è una classe dirigente nei giornali e nelle televisioni che discute di queste cose, continuerà così. Alla fine non si parla mai del problema di fondo, che è quello cinese: Bloomberg ha recentemente pubblicato un’inchiesta in cui si evidenzia che la maggiore azienda metallurgica cinese inquina come due o tre Paesi europei messi insieme. Inoltre, c’è un paradosso: noi con la globalizzazione abbiamo esportato la produzione in Cina e con questo abbiamo esportato anche inquinamento. Loro – intendo il mondo di Davos, delle Cop26, dell’Onu, insomma il mondo transnazionale – che adesso sono i grandi responsabili di quella globalizzazione, adesso non possono mettersi a dire che è colpa della Cina, perché è convenuto a tutti. Chi ci ha rimesso, di nuovo, sono i ceti popolari occidentali che si sono visti distrutti dalla loro sicurezza economica e culturale.
Anche questo è un riflesso di quel senso di colpa dell’Occidente di cui spesso si parla?
Ha ragione lo scrittore Pascal Bruckner quando ha scritto il libro Un colpevole quasi perfetto. La costruzione del capro espiatorio bianco: l’uomo bianco occidentale è il grande Satana che hanno deciso di processare, quindi tutto quel “bla bla bla” di Greta di cui parlavo all’inizio, tutta quella paccottiglia ideologica, è parte di questa messa in discussione. La cancel culture è un fenomeno radicale interno al mondo occidentale e l’ecologismo con questa sua ansia di “tabula rasa” di decrescita felice è una forma di cancel culture.
È questo che si intende nel libro quando si parla di amore per l’umanità e odio per gli uomini?
Questo è un aspetto fondamentale. Al fondo, l’idea che c’è un cambiamento climatico che è colpa dell’uomo, è la messa in discussione dell’attività umana e della sua presenza sulla terra. Tutto questo discorso ecologista si basa su Malthus. Anche oggi c’è un ritorno a questi temi legati alla riduzione della popolazione, basti pensare agli slogan della star della sinistra radicale americana Alexandra Ocasio Cortez, ai movimenti per il “birth strike” (lo sciopero delle nascite), ai reali inglesi che si scusano per aver fatto due figli e promettono di non farne più, ai cartelloni pubblicitari nelle autostrade americane che dicono che il miglior favore che puoi fare al clima è avere un figlio in meno, al calcolo di quanta CO2 produce ogni bambino che viene al mondo. C’è senz’altro una misantropia di fondo.
In questo contesto, come commentare la posizione della Chiesa?
Quelli che sono a favore della preservazione della terra, non sono interessati alla preservazione delle identità, delle culture, delle tradizioni, tutte cose che dovrebbero stare a cuore ad un cattolico. Quindi starei attento quando nelle celebrazioni sento le preghiere “per la terra”, perché è una forma di paganesimo agli antipodi della dottrina cattolica. Finché nella predicazione della Chiesa l’ecologismo era la difesa della creazione e il tentativo di tenere l’uomo dentro una premura per l’ambiente, era straordinario, sono state scritte pagine bellissime. Ultimamente, invece, mi sembra che ci sia una sbandata su questi temi: non so quanto un cristiano si senta colpito nella coscienza dalle prediche e dai discorsi sulla plastica e sull’inquinamento. Se anche il cristianesimo sale su questo carro dei vincitori, a quel punto allora dovrà accettare anche il gender, il transumanesimo, l’immigrazionismo, tutte teorie che postulano uno sradicamento di una certa visione dell’Europa, dell’occidente, della cultura, della cristianità e delle tradizioni.
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