di Sandro Magister, 14 dic 21
Si sa che papa Francesco parla senza freni nelle conferenze stampa in aereo, dicendo tutto e il contrario di tutto. Ma prende il volo anche quando incontra i vescovi italiani a porte chiuse.
Ne sono prova le due ore di colloquio riservato che egli ha avuto con i vescovi italiani riuniti in assemblea plenaria a fine novembre (nella foto). Ufficialmente nulla è trapelato all’esterno. Ma è stata una sola la materia su cui il papa ha strigliato il malcapitato uditorio. La stessa che il 26 novembre, ad assemblea conclusa, egli ha incorporato in un motu proprio tutt’altro che amichevole, con cui ha dato incarico a una commissione “ad hoc” di ispezionare ad una ad una le oltre duecento diocesi italiane, per accertare se ubbidiscono o no a quanto voluto dallo stesso papa Francesco riguardo ai processi di nullità matrimoniale.
La modifica di tali processi è forse la più grossa novità pratica di questo pontificato, varata a sorpresa nell’agosto del 2015 nell’intervallo tra i due sinodi sulla famiglia, con il motu proprio “Mitis Iudex”.
Questa innovazione Francesco la introdusse tenendone all’oscuro i padri sinodali, che sapeva in gran parte refrattari, e ignorando l’avviso contrario del suo teologo e cardinale di fiducia Walter Kasper, che nel febbraio 2014, nel tenere la relazione introduttiva del primo e ultimo concistoro cardinalizio di questo pontificato, pur invocando il via libera alla comunione ai divorziati risposati, aveva messo in guardia da “un allargamento delle procedure di nullità” che in realtà “creerebbe la pericolosa impressione che la Chiesa proceda in modo disonesto a concedere quelli che in realtà sono divorzi”.
L’allargamento, invece, Francesco lo voleva a tutti i costi e a modo suo, in particolare affidando non più a tribunali ecclesiastici regionali, con i loro magistrati e avvocati e con tutti i crismi del diritto, ma ai singoli vescovi, in quanto pastori “e per ciò stesso giudici” dei loro fedeli, il compito di vagliare le cause di nullità e di emettere le sentenze, con procedure drasticamente abbreviate e per via extragiudiziale, in regime di totale gratuità per i richiedenti causa.
Per tradurre questa sua volontà in norme, il papa aveva incaricato nel 2014 una commissione ma soprattutto un uomo, monsignor Pio Vito Pinto, all’epoca decano della Rota Romana.
Ne uscì una normativa che si prestò subito a un diluvio di critiche da parte di canonisti incomparabilmente più competenti dell’autore materiale del motu proprio “Mitis Iudex”. Ma Francesco non ne tenne alcun conto, anche a costo di mettere in grave difficoltà anzitutto la Chiesa italiana, che in questa materia era una delle meglio ordinate al mondo, con la sua rete di tribunali regionali ben funzionanti e con i costi molto contenuti dei processi, da un massimo di 525 euro giù giù a scalare fino alla totale gratuità, a seconda del livello di vita dei richiedenti causa. Giudici e avvocati d’ufficio erano compensati direttamente dalla conferenza episcopale, con i proventi dell’8 per mille. Niente di paragonabile con ciò che avveniva in altre aree del mondo, alcune totalmente sguarnite di tribunali, in particolare in America latina, il continente da cui proviene il papa.
Immediatamente messi sotto pressione da Francesco e dai suoi emissari – in testa l’allora segretario generale della CEI Nunzio Galantino –, i vescovi italiani tentarono dapprima di parare il colpo cambiando il nome dei tribunali ecclesiastici, che da “regionali” divennero “interdiocesani”. Ma in alcune regioni, specie del sud, qualche diocesi cominciò a fare da sé erigendo un proprio tribunale, con risultati quasi ovunque disastrosi per mancanza di personale competente.
Eppure era proprio questo che Francesco si ostinava a volere, sempre con l’ausilio di monsignor Pinto, tenuto alla testa della Rota Romana ben oltre il limite canonico dei 75 anni di età e affiancato da un cancelliere, Daniele Cancilla, precedentemente licenziato dalla CEI per cattiva condotta ma anche lui tra i protetti di Jorge Mario Bergoglio fin da quando era arcivescovo di Buenos Aires.
Per capire la logica che muove papa Francesco in questa materia basta ripescare il discorso che egli ha tenuto alla Rota Romana il 29 gennaio 2021, per l’inaugurazione dell’anno giudiziario.
In quell’occasione Francesco ringraziò calorosamente monsignor Pinto, giunto alla soglia degli 80 anni e quindi in procinto d’essere finalmente sostituito. Lo ringraziò “per il lavoro fatto, non sempre compreso”. Che riassunse così: “Una sola sentenza, poi il processo breve, che è stato come una novità, ma era naturale perché il vescovo è il giudice”. Ed esemplificò con questo aneddoto:
“Ricordo che, poco tempo dopo la promulgazione del processo breve, mi chiamò un vescovo e mi disse: ‘Io ho questo problema: una ragazza vuole sposarsi in Chiesa; si è già sposata alcuni anni fa in Chiesa, ma è stata costretta a sposarsi perché era incinta… Ho fatto tutto, ho chiesto a un prete che facesse da vicario giudiziale, a un altro che facesse la parte di difensore del vincolo... E i testimoni, i genitori dicono che sì, è stata forzata, che quel matrimonio era nullo. Mi dica, Santità, cosa devo fare?’, mi domandò il vescovo. E io chiesi: ‘Dimmi, hai una penna a portata di mano?’ – ‘Sì’ – ‘Firma. Tu sei il giudice, senza tante storie’”.
In quello stesso discorso, Francesco citò anche il suo predecessore del Settecento Benedetto XIV, sostenendo che se quel papa aveva introdotto nei processi canonici di nullità l’obbligo della doppia sentenza conforme – ora non più necessaria per volontà, appunto, di Francesco – lo aveva fatto per sopperire a “problemi economici in qualche diocesi”.
In realtà Benedetto XIV introdusse l’obbligo della doppia sentenza per motivi opposti a quelli detti da Francesco: “non per lucrare vantaggi finanziari per qualche diocesi o per la Santa Sede, bensì per porre fine a una serie di abusi in materia di concessioni di nullità, riportare la certezza del diritto nel processo matrimoniale e tutelare la dignità sacramentale del matrimonio”.
Questo scrisse e documentò, all’indomani di quel discorso del papa, un canonista e storico della Chiesa di riconosciuto valore come Carlo Fantappiè, aggiungendo che “quello che possiamo dire con sicurezza è che il papa è stato fuorviato”.
Ma per Francesco non c’è ricostruzione storica che valga. Per lui è sempre questione di soldi e di sete di potere, anche per gli odierni oppositori della sua riforma dei processi di nullità matrimoniale. Ha detto, ancora nel discorso alla Rota Romana del 29 gennaio 2021:
“Questa riforma, soprattutto il processo breve, ha avuto e ha tante resistenze. Io vi confesso: dopo questa promulgazione ho ricevuto lettere, tante, non so quante ma tante. Quasi tutti avvocati che perdevano la clientela. E lì c’è il problema dei soldi. In Spagna si dice: ‘Por la plata baila el mono’: per i soldi balla la scimmietta. È un detto che è chiaro. E anche questo con dolore: ho visto in alcune diocesi la resistenza di qualche vicario giudiziale che con questa riforma perdeva, non so, un certo potere, perché si accorgeva che il giudice non era lui, ma il vescovo”.
Sempre in quel discorso, Francesco lodò monsignor Pinto per il suo “caratteraccio”. Ma anche lui, il papa, non è da meno. A capo degli ispettori che metteranno sotto indagine i vescovi italiani ha nominato non un italiano ma uno spagnolo, monsignor Alejandro Arellano Cedillo, successore e replicante di Pinto come decano della Rota Romana, anche lui promosso a questo ruolo dal papa in persona. Gli altri ispettori sono due giudici della Rota, Davide Salvatori e Vito Angelo Todisco, quest’ultimo già visitatore apostolico dei Francescani dell’Immacolata, e il vescovo di Oria Vincenzo Pisanello, successore in questa diocesi di Marcello Semeraro, pupillo di Bergoglio e oggi cardinale prefetto della congregazione per le cause dei santi.
Tutto questo per sfasciare quanto resta dei tribunali matrimoniali degni di questo nome, in Italia e nel mondo. Con le sentenze di nullità indotte a essere sempre più simili all’annullamento di matrimoni falliti, cioè a quel “divorzio cattolico” su cui l’inascoltato cardinale Kasper aveva invano messo in guardia il papa.
—————
Una dotta stroncatura del motu proprio papale del 26 novembre 2021 uscirà il 20 dicembre sulla rivista telematica “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, in un editoriale a firma di Geraldina Boni, docente di diritto canonico all’Università di Bologna e consulente del pontificio consiglio per i testi legislativi.
Si sa che papa Francesco parla senza freni nelle conferenze stampa in aereo, dicendo tutto e il contrario di tutto. Ma prende il volo anche quando incontra i vescovi italiani a porte chiuse.
Ne sono prova le due ore di colloquio riservato che egli ha avuto con i vescovi italiani riuniti in assemblea plenaria a fine novembre (nella foto). Ufficialmente nulla è trapelato all’esterno. Ma è stata una sola la materia su cui il papa ha strigliato il malcapitato uditorio. La stessa che il 26 novembre, ad assemblea conclusa, egli ha incorporato in un motu proprio tutt’altro che amichevole, con cui ha dato incarico a una commissione “ad hoc” di ispezionare ad una ad una le oltre duecento diocesi italiane, per accertare se ubbidiscono o no a quanto voluto dallo stesso papa Francesco riguardo ai processi di nullità matrimoniale.
La modifica di tali processi è forse la più grossa novità pratica di questo pontificato, varata a sorpresa nell’agosto del 2015 nell’intervallo tra i due sinodi sulla famiglia, con il motu proprio “Mitis Iudex”.
Questa innovazione Francesco la introdusse tenendone all’oscuro i padri sinodali, che sapeva in gran parte refrattari, e ignorando l’avviso contrario del suo teologo e cardinale di fiducia Walter Kasper, che nel febbraio 2014, nel tenere la relazione introduttiva del primo e ultimo concistoro cardinalizio di questo pontificato, pur invocando il via libera alla comunione ai divorziati risposati, aveva messo in guardia da “un allargamento delle procedure di nullità” che in realtà “creerebbe la pericolosa impressione che la Chiesa proceda in modo disonesto a concedere quelli che in realtà sono divorzi”.
L’allargamento, invece, Francesco lo voleva a tutti i costi e a modo suo, in particolare affidando non più a tribunali ecclesiastici regionali, con i loro magistrati e avvocati e con tutti i crismi del diritto, ma ai singoli vescovi, in quanto pastori “e per ciò stesso giudici” dei loro fedeli, il compito di vagliare le cause di nullità e di emettere le sentenze, con procedure drasticamente abbreviate e per via extragiudiziale, in regime di totale gratuità per i richiedenti causa.
Per tradurre questa sua volontà in norme, il papa aveva incaricato nel 2014 una commissione ma soprattutto un uomo, monsignor Pio Vito Pinto, all’epoca decano della Rota Romana.
Ne uscì una normativa che si prestò subito a un diluvio di critiche da parte di canonisti incomparabilmente più competenti dell’autore materiale del motu proprio “Mitis Iudex”. Ma Francesco non ne tenne alcun conto, anche a costo di mettere in grave difficoltà anzitutto la Chiesa italiana, che in questa materia era una delle meglio ordinate al mondo, con la sua rete di tribunali regionali ben funzionanti e con i costi molto contenuti dei processi, da un massimo di 525 euro giù giù a scalare fino alla totale gratuità, a seconda del livello di vita dei richiedenti causa. Giudici e avvocati d’ufficio erano compensati direttamente dalla conferenza episcopale, con i proventi dell’8 per mille. Niente di paragonabile con ciò che avveniva in altre aree del mondo, alcune totalmente sguarnite di tribunali, in particolare in America latina, il continente da cui proviene il papa.
Immediatamente messi sotto pressione da Francesco e dai suoi emissari – in testa l’allora segretario generale della CEI Nunzio Galantino –, i vescovi italiani tentarono dapprima di parare il colpo cambiando il nome dei tribunali ecclesiastici, che da “regionali” divennero “interdiocesani”. Ma in alcune regioni, specie del sud, qualche diocesi cominciò a fare da sé erigendo un proprio tribunale, con risultati quasi ovunque disastrosi per mancanza di personale competente.
Eppure era proprio questo che Francesco si ostinava a volere, sempre con l’ausilio di monsignor Pinto, tenuto alla testa della Rota Romana ben oltre il limite canonico dei 75 anni di età e affiancato da un cancelliere, Daniele Cancilla, precedentemente licenziato dalla CEI per cattiva condotta ma anche lui tra i protetti di Jorge Mario Bergoglio fin da quando era arcivescovo di Buenos Aires.
Per capire la logica che muove papa Francesco in questa materia basta ripescare il discorso che egli ha tenuto alla Rota Romana il 29 gennaio 2021, per l’inaugurazione dell’anno giudiziario.
In quell’occasione Francesco ringraziò calorosamente monsignor Pinto, giunto alla soglia degli 80 anni e quindi in procinto d’essere finalmente sostituito. Lo ringraziò “per il lavoro fatto, non sempre compreso”. Che riassunse così: “Una sola sentenza, poi il processo breve, che è stato come una novità, ma era naturale perché il vescovo è il giudice”. Ed esemplificò con questo aneddoto:
“Ricordo che, poco tempo dopo la promulgazione del processo breve, mi chiamò un vescovo e mi disse: ‘Io ho questo problema: una ragazza vuole sposarsi in Chiesa; si è già sposata alcuni anni fa in Chiesa, ma è stata costretta a sposarsi perché era incinta… Ho fatto tutto, ho chiesto a un prete che facesse da vicario giudiziale, a un altro che facesse la parte di difensore del vincolo... E i testimoni, i genitori dicono che sì, è stata forzata, che quel matrimonio era nullo. Mi dica, Santità, cosa devo fare?’, mi domandò il vescovo. E io chiesi: ‘Dimmi, hai una penna a portata di mano?’ – ‘Sì’ – ‘Firma. Tu sei il giudice, senza tante storie’”.
In quello stesso discorso, Francesco citò anche il suo predecessore del Settecento Benedetto XIV, sostenendo che se quel papa aveva introdotto nei processi canonici di nullità l’obbligo della doppia sentenza conforme – ora non più necessaria per volontà, appunto, di Francesco – lo aveva fatto per sopperire a “problemi economici in qualche diocesi”.
In realtà Benedetto XIV introdusse l’obbligo della doppia sentenza per motivi opposti a quelli detti da Francesco: “non per lucrare vantaggi finanziari per qualche diocesi o per la Santa Sede, bensì per porre fine a una serie di abusi in materia di concessioni di nullità, riportare la certezza del diritto nel processo matrimoniale e tutelare la dignità sacramentale del matrimonio”.
Questo scrisse e documentò, all’indomani di quel discorso del papa, un canonista e storico della Chiesa di riconosciuto valore come Carlo Fantappiè, aggiungendo che “quello che possiamo dire con sicurezza è che il papa è stato fuorviato”.
Ma per Francesco non c’è ricostruzione storica che valga. Per lui è sempre questione di soldi e di sete di potere, anche per gli odierni oppositori della sua riforma dei processi di nullità matrimoniale. Ha detto, ancora nel discorso alla Rota Romana del 29 gennaio 2021:
“Questa riforma, soprattutto il processo breve, ha avuto e ha tante resistenze. Io vi confesso: dopo questa promulgazione ho ricevuto lettere, tante, non so quante ma tante. Quasi tutti avvocati che perdevano la clientela. E lì c’è il problema dei soldi. In Spagna si dice: ‘Por la plata baila el mono’: per i soldi balla la scimmietta. È un detto che è chiaro. E anche questo con dolore: ho visto in alcune diocesi la resistenza di qualche vicario giudiziale che con questa riforma perdeva, non so, un certo potere, perché si accorgeva che il giudice non era lui, ma il vescovo”.
Sempre in quel discorso, Francesco lodò monsignor Pinto per il suo “caratteraccio”. Ma anche lui, il papa, non è da meno. A capo degli ispettori che metteranno sotto indagine i vescovi italiani ha nominato non un italiano ma uno spagnolo, monsignor Alejandro Arellano Cedillo, successore e replicante di Pinto come decano della Rota Romana, anche lui promosso a questo ruolo dal papa in persona. Gli altri ispettori sono due giudici della Rota, Davide Salvatori e Vito Angelo Todisco, quest’ultimo già visitatore apostolico dei Francescani dell’Immacolata, e il vescovo di Oria Vincenzo Pisanello, successore in questa diocesi di Marcello Semeraro, pupillo di Bergoglio e oggi cardinale prefetto della congregazione per le cause dei santi.
Tutto questo per sfasciare quanto resta dei tribunali matrimoniali degni di questo nome, in Italia e nel mondo. Con le sentenze di nullità indotte a essere sempre più simili all’annullamento di matrimoni falliti, cioè a quel “divorzio cattolico” su cui l’inascoltato cardinale Kasper aveva invano messo in guardia il papa.
—————
Una dotta stroncatura del motu proprio papale del 26 novembre 2021 uscirà il 20 dicembre sulla rivista telematica “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, in un editoriale a firma di Geraldina Boni, docente di diritto canonico all’Università di Bologna e consulente del pontificio consiglio per i testi legislativi.
Nessun commento:
Posta un commento