Su gentile concessione dell'autore, pubblichiamo con onore e gratitudine la relazione che don Roberto Spataro SDB ha pronunciato il 1 ottobre 2014 a Prato (presso il centro Comunità Viva -via F. Bini- della parrocchia del Sacro Cuore), durante l'incontro organizzato dalla Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù, dal Coetus Fidelium di Prato e dall'Associazione Madonna dell'Umiltà di Pistoia.
Don Spataro è Professore straordinario di Letteratura cristiana antica greca presso la Facoltà di Lettere cristiane e classiche dell'Università Pontificia Salesiana, segretario della Pontificia Accademia Latinitatis.
Benedetto XVI, "Dottore della Chiesa"
di don Roberto Spataro SDB
Gentilissime Signore, Distinti Signori, Cari Amici,
sono molto grato agli organizzatori di questo incontro. Sono
lieto di proporvi le mie riflessioni qui, in terra di Toscana, ove opera con
quella sollecitudine da tanti apprezzata il Coordinamento per l'applicazione
del MP Summorum Pontificum, intitolato proprio al Papa emerito, che oserei
definire "dottore della Chiesa". Questo è anche il titolo della
relazione che condivido con voi.
Nelle opere dei suoi dottori la Chiesa riconosce una
sorgente di verità eccellente e sicura. Esempio, per le questioni morali, chi
meglio di Alfonso de' Liguori, Dottore della Chiesa? Per la vita mistica,
esiteremmo a riferirei a Giovanni della Croce? Ed è proprio Benedetto XVI che
ha proclamato gli ultimi "dottori", Giovanni d'Avila, Dottore della
Chiesa, per i suoi insegnamenti eminenti sul sacerdozio, o Hildegard di Bingen,
per la sua scienza teologico-simbolica.
Com'è noto, l'attribuzione, "dottore della
Chiesa", viene conferita a quei maestri di teologia e di spiritualità già
canonizzati, non più viventi. Tuttavia, la ricchezza del Magistero di Benedetto
XVI, la luminosità dei suoi insegnamenti, la profondità delle sue analisi, la
consistenza delle sue sintesi, ci permettono di definirlo, in anticipo, e,
dunque, analogicamente, come un autentico dottore cui la Chiesa si riferirà
oggi e sempre allorché vorrà affrontare le crisi che, inevitabilmente e, in un
certo senso provvidenzialmente, sorgono, ad intra e ab extra. Sì, Benedetto XVI
è il "dottore" dell'apologetica, di quell'articolazione della
teologia per mezzo della quale essa dà ragione della speranza a chi, con le sue
domande e le sue obiezioni, con le sue contestazioni e le sue sfide, provoca,
aggredisce, combatte la fede cristiana.
Articolerò questa mia tesi sviluppando due punti e,
specularmente, due tipologie di "crisi", la prima ab extra, la
seconda ad intra.
l. La difesa della ragione.
Il contesto storico-culturale in
cui si inserisce il Pontificato di Benedetto XVI è quello della cosiddetta
"post-modemità", definito, con categorie sociologiche, "società
liquida". Qual è la cifra della post-modernità? Essa è il relativismo e la
sua espansione aggressiva ed intollerante, sinteticamente stigmatizzata nella
formulazione ben nota che l'allora cardinal Ratzinger elaborò nella Missa pro
eligendo Pontifice nell'anno 2005, "dittatura del relativismo".
Secondo questa mens invasiva e corruttrice del pensiero e dei costumi, non
esistono né una verità assoluta per tutti né delle obbligazioni morali
universali. Tutto è instabilmente relativo alle opinioni, alle emozioni, ai
gusti, agli istinti dell'individuo. Non esiste più vero e falso per il
pensiero, né bene e male in campo morale, né equo ed iniquo per le
legislazioni. Questa visione relativistica della vita, potentemente veicolata
dai mezzi di comunicazione, dittatorialmente, tende ad eliminare ogni forma di
opposizione, con azioni di marginalizzazione e penalizzazione degli avversari.
Chi sono i suoi avversari? Sono coloro, che al pensiero debole, oppongono un
pensiero forte, ad un'etica minimalista ed utilitarista, controbattono un'etica
valoriale e della responsabilità, e che ai legislatori che sanciscono la
legittimità del male, obiettano: "non tibi licet", pagando di
persona, molto spesso, proprio come il Precursore di Nostro Signore. Anche la
voce dell'attuale Pontefice si è levata nella contestazione del relativismo,
come, ad esempio, in un passaggio della sua lunga esortazione apostolica EG,
insufficientemente sottolineato da commentatori e media (EG, 61 ).
Benedetto XVI ha individuato e denunciato la radice malata
del relativismo nella sfiducia nella ragione e nelle sue capacità conoscitive.
Questo Pontefice, di formazione agostiniana, ha tomisticamente affermato ciò
che il buon senso di ogni persona umana riconosce: L'OGGETTIVITÀ DEL REALE.
A partire da questo dato evidente, che si impone e che
precede il pensiero, ha smontato pezzo per pezzo il relativismo, e ha mostrato,
con le sue argomentazioni pacate e serene, proprie di chi è ispirato da Dio,
che l'intelligenza, osservando la realtà, vi scopre una razionalità interna che
non dipende dal soggetto, non è relativa ad esso.
Per esempio, a partire dall'oggettività del reale e della
sua intelligibilità -ha ricordato Benedetto XVI -la ragione dell'uomo prende
atto di una differenza naturale, e dunque oggettiva, della sessualità e del suo
orientamento alla genitorialità. Di qui si sviluppa l'inaccettabilità delle
teorie del gender, della giustificazione e persino dell'esaltazione dei
comportamenti omosessuali, delle legislazioni permissive del matrimonio tra
persone dello stesso sesso. Solo se "irrazionalmente" la ragione
rinuncia a questo compito di riconoscimento di ciò che la precede e che la
regola, allora il relativismo ha campo libero. Ed è ciò che accade da tempo.
Non solo, negando la realtà ed ammettendo solo l'idea che è
stata partorita da un pensiero malato, il relativismo diventa ideologia e, come
tale, assume connotati dittatoriali. La conseguenza, più volte segnalata da
Benedetto XVI alla luce delle lezione della storia, soprattutto quella più
recente del totalitarismo del XX secolo, è la tragica SOPRAFFAZIONE DEI PIÙ
FORTI SUI PIÙ DEBOLI. Oggi, la dittatura del relativismo permette impunemente
che gli embrioni siano manipolati e distrutti, che i feti vengano abortiti,
soprattutto se affetti da malformazioni fisiche, che i bambini siano
strumentalizzati dall'istituto dell'adozione a coppie omosessuali.
A tale proposito, cito solo un testo di Benedetto XVI. Si
tratta di una "catechesi" del mercoledì, dedicata ad illustrare uno
dei grandi pensatori credenti del Medioevo, Giovanni di Salisbury.
Esiste, secondo Giovanni di Salisbury, una verità oggettiva e immutabile, la cui origine è in Dio, accessibile alla ragione umana e che riguarda l'agire pratico e sociale. Si tratta di un diritto naturale, al quale le leggi umane e le autorità politiche e religiose devono ispirarsi, affinché possano promuovere il bene comune. Questa legge naturale è caratterizzata da una proprietà che Giovanni chiama "equità", cioè l'attribuzione a ogni persona dei suoi diritti. Da essa discendono precetti che sono legittimi presso tutti i popoli, e che non possono in nessun caso essere abrogati. Nel nostro tempo, infatti, e soprattutto in alcuni Paesi, assistiamo a uno scollamento preoccupante tra la ragione, a cui spetta il compito di scoprire i valori etici, legati alla dignità della persona umana, e la libertà, che ha la responsabilità di accoglierli e promuoverli. Forse Giovanni di Salisbury ci ricorderebbe oggi che sono conformi all'equità solo quelle leggi che tutelano la sacralità della vita umana e respingono la liceità dell'aborto, dell'eutanasia e delle disinvolte sperimentazioni genetiche, e che invece rispettano la dignità del matrimonio tra l'uomo e la donna, che si ispirano a una corretta laicità dello Stato, laicità che comporta pur sempre la salvaguardia della libertà religiosa -, e che perseguono la sussidiarietà e la solidarietà a livello nazionale e internazionale. Diversamente, si instaura quella che Giovanni di Salisbury definisce la "tiranna del principe" o -diremmo noi in termini equivalenti -"la dittatura del relativismo": un relativismo che, come ricordavo qualche anno fa, "non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie"(1).
Non è un caso che questa difesa misurata e ponderata della
ragione umana come strumento irrinunciabile di intelligenza del reale e bussola
del discernimento morale sia stato apprezzato da molti esperti del mondo laico,
consapevoli delle disastrose conseguenze dell'accettazione supina del canto
delle sirene del "pensiero debole", e disponibili ad accogliere la
cogenza di ciò che il Pontefice emerito definì "principi
non-negoziabili".
Allo stesso tempo, Benedetto XVI ha pure illustrato
l'amicizia che sussiste tra LA FEDE CRISTIANA E LA RAGIONE. Non per pura
coincidenza, ma per un disegno provvidenziale, la predicazione del Vangelo, sin dai suoi albori, ha incontrato un'espressione
potente ed universale della ragione umana, il logos greco. Parlando di Tommaso
d'Aquino, affermò Benedetto XVI:
La fede protegge la ragione da ogni tentazione di sfiducia nelle sue abilità, la stimola ad aprirsi ad orizzonti sempre più vasti, tiene viva in essa la ricerca dei fondamenti e, quando la ragione stessa si applica alla sfera religiosa del rapporto tra Dio ed uomo, arricchisce il suo lavoro. Non è soltanto la fede che aiuta la ragione. Anch'essa, con i suoi mezzi, può fare qualcosa di importante per la fede, rendendole un triplice servizio: "dimostrare i fondamenti della fede; spiegare mediante similitudini le verità della fede; respingere le obiezioni che si sollevano contro la fede". Tutta la storia della teologia cristiana è in fondo l'esercizio di questo impegno dell'intelligenza che mostra la ragionevolezza della fede, la sua articolazione ed armonia interna, la sua capacità di promuovere il bene dell'uomo.(2)
Nel memorabile discorso di Regensberg, il Papa Benedetto,
con discrezione ed umiltà, invitò l'Islam a riflettere su questo argomento,
indicando prudentemente e profeticamente, che senza dialogo tra fede e ragione,
la religione può trasformarsi in fideismo e, pertanto, cedere alla tentazione
della violenza, che è sempre irrazionale.
2. La riforma della liturgia.
Anche su questo punto,
Benedetto XVI giganteggia. Con una lucidità che non ha pari, egli, già prima
dell'ascesa al pontificato, aveva ravvisato nella crisi liturgica il cuore di
ogni crisi del Cristianesimo.
In che cosa consiste la CRISI LITURGICA? Nel tentativo
prometeico di costruire una liturgia a misura dell'uomo che, pensa di parlare a
Dio, ma è invece un monologo dell'uomo e della sua comunità religiosa,
superbamente e, talvolta, ridicolamente autoreferenziale. La liturgia è invece
l'autentico atto di fede in cui una comunità cristiana, in devoto e raccolto
ascolto, accoglie la voce di Dio e si lascia plasmare dalla sua azione, la Grazia
divina. Alcuni orientamenti ed alcune prassi, seguiti alla riforma liturgica
dopo il Concilio Vaticano II ma non a causa del Concilio Vaticano II, hanno obbedito
a quella logica antropocentrica, di qui la necessità di una correzione, di un
ri-orientamento ad Deum. Benedetto XVI, certamente, ha parlato di questi
argomenti, ha dato l'esempio con lo stile delle celebrazioni liturgiche da lui
presiedute in cui la "sacralità" è stata gradualmente restituita ai
fedeli, ha emanato alcuni documenti di non secondaria importanza, come
l'esortazione apostolica, ben presto dimenticata, Sacramentum caritatis.
Tuttavia, l'atto più coraggioso e gravido di conseguenze per
affrontare la crisi liturgica è, a mio parere, il MP SUMMORUM PONTIFICUM.
Sbaglierebbe chi lo ritenesse esclusivamente un atto di liberalità del Sommo
Pontefice per venire incontro alle esigenze spirituali di un gruppo di
sacerdoti e fedeli, ancora estremamente minoritario nella Chiesa. Esso è, al
contrario, una proposta che riguarda tutta la Chiesa. La conoscenza, la
diffusione, la pratica della Santa Messa e degli altri sacramenti nella forma
straordinaria è una grande opportunità per ridare profondità spirituale al
Cattolicesimo, che è la priorità pastorale, al di là delle mode transeunti.
Voglia Dio che ciò avvenga!
Il Vetus Ordo, infatti, costituisce nella mens di Benedetto,
una schola liturgica che, posto accanto al Novus Ordo, ne diventa un educatore
che sa trarre tutte le potenzialità positive contenute nel Messale di Paolo VI
(allo stesso modo, il Novus Ordo può aiutare la celebrazione del Vetus ad
arricchirsi di alcune sensibilità tipiche della forma ordinaria del Rito Romano). (3)
In altre parole, la squisita sensibilità liturgica promossa
dal Messale tridentino consente di celebrare con la forma ordinaria, non
soltanto evitando gli abusi, sempre più intollerabili e sempre meno, non dico
sanzionati, ma neppure biasimati dai Pastori responsabili, ma anche di permeare tutta la vita della
Chiesa dello "spirito liturgico", secondo la categoria del teologo
Guardini molto apprezzato da Benedetto XVI. Che cos'è lo "spirito
liturgico", se non un triplice atto teologale di fede, speranza e carità,
da parte del credente, che, all'interno della Comunione, sincronica e
diacronica, del Corpo Mistico, adora, ringrazia, implora, impetra Dio,
associandosi all'azione sacerdotale di Cristo che rinnova eternamente il suo
Sacrificio attraverso la Santa Messa?
Il Vetus Ordo, tra gli innumerevoli pregi di cui è dotato, è
essenzialmente caratterizzato dal teocentrismo. Se la liturgia della Chiesa,
dunque ciò che è culmen et fons di tutta la sua vita, secondo l'espressione
tanto celebre quanto felice del documento conciliare Sacrosanctum Concilium,
supererà la sua crisi antropocentrica e restituirà il primato a Cristo, allora
un soffio potentissimo di Spirito Santo rinnoverà la Chiesa, cioè, sempre
secondo il pensiero di Romano Guardini, vi sarà un risveglio spirituale delle
anime, che è ciò di cui la Chiesa ha bisogno. Non è forse questa la finalità
suprema dell'azione pastorale?
Benedetto XVI ci ha ricordato che l'evangelizzazione e la
pastorale sono un'azione mistagogica, proprio come, a me pare, accenna anche il
Papa Francesco nell'esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG, 166), ossia
azione che la Chiesa compie tutta orientata a Dio e in attesa di essere toccata
dalla sua Grazia, proprio come simbolicamente avviene nel Vetus Ordo con la
disposizione del sacerdote e dei fedeli verso l'Altare e il Crocifisso ad
Orientem. Il Pontefice emerito ci ha dunque ammonito, con la mitezza che lo
hanno reso amabile, che la liturgia, rettamente celebrata, impedirà la
diffusione di malattie spirituali all'interno della Chiesa, derive
sociologiche, tradimenti del depositum fidei, mondanità spirituale, per dirla
con Papa Francesco, riduzione della fede ad esperienze emotive, unioni
adulterine con le mode culturali che passano. Il Vetus Ordo, con la sua
venerabilità, con la sua sacralità, con la sua armoniosa sintesi tra lex
credendi e lex orandi, è farmaco ed antidoto per conservare la purezza della
fede e per incrementare lo spirito di pietà, insomma, per contribuire
alla salvezza delle anime e alla loro santificazione. Tutto il resto, nella
vita della Chiesa, non serve.
Cari Amici, concludo. L'amore per la Messa antica ci ha resi
molto vicini alla sensibilità teologica e liturgica di Benedetto XVI e ci ha
dotati -direi -di una spontanea per quanto ponderata simpatia al suo
insegnamento. Occorre salvare dall'oblio questo ricchissimo patrimonio
magisteriale, tanto profondo quanto attuale, nella crisi odierna che attanaglia
il mondo e non risparmia la Chiesa Cattolica. Ai fedeli laici, che con
gratitudine hanno ricevuto il MP SP, il compito, tutt'altro che facile, ma
entusiasmante e doveroso, di raccogliere questa eredità lasciataci dal Papa
Benedetto, custodirla, difenderla, diffonderla, e trasmetterla alle generazioni
dei giovani che hanno il diritto di non essere privati di questa ricchezza di
pensiero.
Dio vi benedica.
1 BENEDETTO XVI, Giovanni di Sa/isbury. Udienza generale, 16 dicembre 2009, http://www.vatican.va/ holy _father/benedict_xvi/audiences/2009/documents/hf_ben-xvi_aud_20091216 _it.htrn l.
2 BENEDETTO XVI, San Tommaso d'Aquino (2). Udienza generale, 16 giugno 2010, http://www.vatican.va/ holy_father/benedict_xvi/audiences/2010/documents/hf_ben-xvi_aud_20100616_it.html.
Prato, 01.10.2014
3 BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della leUera apostolica "Motu proprio data" Summorum Pontificum 7 luglio 2007, http://www.vatican.va/holy_father/ benedict_xvi/letters/2007 /documents/hf_ben-xvi_let_20070707 _lettera-vescovi_it.html.
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