di Stefano Fontana
Molti si saranno chiesti come sia possibile che su questioni di tanta importanza per la dottrina e la fede cattolica i vescovi e i cardinali la pensino in modo tanto diverso. Questi giorni di Sinodo, infatti, lo hanno messo in evidenza in modo perfino fin troppo plateale. I sacramenti, il peccato, la grazia, il matrimonio… i fedeli rimangono colpiti nel constatare nei maestri e nelle guide opinioni tanto diverse su queste cose di non marginale importanza.
Quale filosofia hanno assunto cardinali e vescovi che ora intervengono su questi problemi nell’aula del Sinodo ed anche fuori? Quale filosofia hanno studiato e fatta propria lungo i loro studi e nelle loro letture? La filosofia è lo strumento di cui si avvale la teologia. Uno strumento però non neutro, dato che condiziona la stessa teologia, perché ne determina oggetto, metodo e linguaggio.
Non è lo stesso se Dio viene inteso come l’ “Esse Ipsum” di San Tommaso d’Aquino o un “Trascendentale esistenziale” come fa Karl Rahner. Non è lo stesso ammettere la dimensione ontologica della fede (la dimensione che fa della fede una questione relativa all’essere) oppure riconoscere in essa solo una dimensione fenomenologica od esistenziale. Avendo alle spalle schemi filosofici diversi, i vescovi e i cardinali affronteranno i problemi teologici, compresi quelli del Sinodo, in modo diverso. Karl Rahner diceva che il pluralismo filosofico e teologico, oltre ad essere irreversibile era anche corretto e auspicabile. La Fides et ratio diceva invece di no. Sono convinto che la maggior parte dei teologi ha preferito Rahner alla Fides et ratio. La confusione delle lingue in questi giorni del Sinodo sembra però dare ragione a quest’ultima.
La dimensione cattolica della fede richiede, a mio avviso, ma mi sembra anche ad avviso della Fides et Ratio, la dimensione ontologica. Se la “nuova creatura” che nasce dal Battesimo non appartiene ad un nuovo piano dell’essere, allora è una verniciatura esistenziale o sentimentale. Se, sposandosi, i due coniugi non danno vita ad una nuova realtà, sul piano dell’essere, realtà che non è la somma di 1 + 1 (ed infatti “saranno due in una carne sola”), allora il matrimonio potrà essere esistenzialmente rivisto, rifatto, ricelebrato, ricontrattato. Se c’è una realtà nuova – ripeto: sul piano dell’essere – non si potrà più sciogliere. L’unica cosa che si potrà fare sarà accertare se esiste o no, ma se esiste nessuno ci può più fare nulla. Per accertare se esiste si dovrà fare una indagine veritativa e non semplicemente pastorale o amministrativa. Se invece il matrimonio ha solo carattere fenomenologico o esistenziale, allora non c’è nessuna realtà da appurare e tutto può essere rivisto e rimanipolato.
A ben vedere, tutta la vita di fede, e non solo il sacramento del matrimonio, ha un aspetto ontologico. La situazione di peccato non è solo una questione esistenziale, ma è la morte spirituale dell’essere della nostra anima. Chi vive volutamente in peccato mortale è spiritualmente – ossia ontologicamente – morto. Se vediamo le cose in questo modo come si potrà, in questo stato, accedere alla comunione? Il sacramento della comunione ci immette realmente, ontologicamente, nella vita divina. Esso non è una cerimonia di socializzazione, un rito sentimental-esistenziale.
Il sacramento della confessione ha pure natura ontologica, perché risana l’anima gravata dal peccato, la fa rivivere. Non è una seduta psicoterapeutica. Le grazie che riceviamo nei sacramenti sono vita reale, vita divina.
L’ingresso nella Chiesa, col Battesimo, non è la partecipazione ad una associazione, ma l’accesso ad una nuova dimensione dell’essere, in cui superiamo noi stessi e partecipiamo della vita della Trinità. Quando San Paolo dice “non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me” esprime questa novità ontologica della “nuova creatura”.
Quello che alcuni vescovi hanno detto dentro l’aula sinodale e ai microfoni dei giornalisti fuori dell’aula è conseguenza di quello che viene insegnato da molto tempo in molti seminari e studi teologici. Del resto, anche i vescovi non cadono dal cielo, ma hanno avuto dei maestri e sono stati educati in un certo contesto di cultura filosofica. Ora, se queste filosofie che si insegnano non sono conformi a quanto indica la Fides et ratio, è logico e conseguente che anche l’esame dei temi del matrimonio, del divorzio e della comunione venga deviato dalle attese della Fides et ratio.
Per esempio: se Dio è un “trascendentale esistenziale”, come afferma Karl Rahner, tutti ci siamo dentro, la coppia sposata, quella di fatto ed anche quella omosessuale. Non esistono gli atei, come non esistono i peccatori. Ci sarà solo un cammino per passare dall’essere cristiani anonimi all’essere cristiani nonimi; un cammino da fare insieme, senza escludere o condannare nessuna situazione particolare di vita, perché tutte possono essere un buon punto di partenza. Molti vescovi esprimono questa visione teologica che però riflette una particolare filosofia di tipo esistenzialista. Karl Rahner era allievo di Heidegger, non di San Tommaso. Quanti vescovi sanno di Rahner e non di San Tommaso?
Il grande filosofo Cornelio Fabro poneva la questione in termini di rapporto tra essenza ed esistenza. Sartre diceva che l’esistenza precede l’essenza, Fabro diceva che l’essenza precede l’esistenza. Anche in questo Sinodo il problema filosofico - e quindi poi anche teologico - è questo. Se il matrimonio come sacramento sia un dato ontologico che riguarda l’essenza o se sia solo un dato esistenziale, reversibile a piacere.
La nuova Bussola Quotidiana 17 ott 14
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