sabato 24 marzo 2012

LA VISITA ALL'AVANA







di Gian Guido Vecchi

 Quando il volo AZ 4000 atterra dopo quattordici ore di viaggio, ci sono più di centomila fedeli lungo quaranta chilometri ad accompagnare ai margini della strada Benedetto XVI verso il centro della città tra grida, preghiere e coriandoli gialli. Come di consueto, dopo il decollo da Roma e la colazione, il pontefice ha raggiunto la coda dell’aereo per rispondere alle domande preparate dai giornalisti. Sereno e sorridente, riceve tra le risate generali anche il dono di un giornalista del Paese ospite: un iPod con musica messicana. Più tardi in effetti si ballerà, ma per la forte turbolenza sopra la Groenlandia.

 Santo Padre, i viaggi del suo predecessore Giovanni Paolo II in Messico e a Cuba hanno fatto storia. Con quale animo e speranze lei si mette oggi sulle sue tracce?

 «Cari amici, anzitutto vorrei dire: benvenuti e grazie per il vostro accompagnamento in questo viaggio che speriamo sia benedetto dal Signore. Io in questo viaggio mi sento totalmente nella continuità con Papa Giovanni Paolo II, mi ricordo benissimo del suo primo viaggio in Messico che era realmente storico, in una situazione giuridica ancora molto confusa ha aperto le porte ed è cominciata una nuova fase della collaborazione tra Chiesa, società e Stato. E anche mi ricordo bene suo viaggio storico a Cuba. Quindi cerco di andare nelle sue tracce e continuare quanto lui ha continuato. Per me c’era dall’inizio il desiderio di visitare il Messico. Da cardinale sono stato in Messico con ottimi ricordi e ogni mercoledì sento l’applauso e la gioia dei messicani, per me è una grande gioia e risponde a un desiderio che ho avuto da tanto tempo. Per dire quali sentimenti mi toccano, mi vengono in mente le parole del Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, luctus et angor: gioia e speranza ma anche lutto e angoscia. Io condivido la gioie e le speranze ma condivido anche il lutto e le difficoltà di questo grande Paese. Vado per incoraggiare e per imparare, per confortare nella fede e nella speranza e nella carità, e per confortare nell’impegno per il bene, nell’impegno per la lotta contro il male. Speriamo che il Signore ci aiuti».

 Il Messico è anche terra di violenza per il narcotraffico: si parla di cinquantamila morti negli ultimi cinque anni. Come affronta la Chiesa cattolica questa situazione? Lei avrà parole per i responsabili, i trafficanti che a volte si professano cattolici o addirittura benefattori della Chiesa?

«Noi conosciamo bene tutte le bellezze del Messico ma anche questo grande problema del narcotraffico e della violenza. E’ certamente una grande responsabilità per la Chiesa cattolica in un Paese con l’ottanta per cento di cattolici, e dobbiamo fare il possibile contro questo male distruttivo dell’umanità e della nostra gioventù. Direi che il primo atto è annunciare Dio. Dio è il giudice, Dio che ci ama ma ci ama per attirarci al bene e alla verità contro il male. Quindi è grande responsabilità della Chiesa di educare le coscienze, educare alla responsabilità morale e di smascherare il male, smascherare questa idolatria del denaro che schiavizza gli uomini solo per questa cosa, smascherare anche queste false promesse, la menzogna, la truffa che sta dietro la droga. E dobbiamo vedere che l’uomo ha bisogno dell’infinito e se Dio non c’è si crea i suoi propri paradisi, una parvenza di infinitudine che può essere solo una menzogna. Perciò è tanto importante che Dio sia presente e accessibile, grande responsabilità davanti a Dio giudice che ci guida, ci attira alla verità e al bene, e in questo senso la Chiesa deve smascherare il male, rendere presente la bontà di Dio, la sua verità, il vero infinito del quale abbiamo sete. E’il grande dovere della Chiesa. Facciamo tutti insieme il possibile sempre più».

 L’America latina, nonostante lo sviluppo, continua a essere una regione di grandi contrasti sociali dove si trovano i più ricchi accanto ai più poveri. A volte sembra che la Chiesa cattolica non sia sufficientemente incoraggiata a impegnarsi in questo campo. Si può continuare a parlare di teologia della liberazione in un modo positivo, dopo che certi eccessi sul marxismo e la violenza sono stati corretti?

 «Naturalmente la Chiesa deve sempre chiedersi se si fa abbastanza per la giustizia sociale, in questo grande Continente. Questa è una questione di coscienza che dobbiamo sempre porci. E chiederci che cosa deve fare la Chiesa e che cosa poi non deve fare. La Chiesa non è un potere politico, non è un partito, ma è una realtà morale, un potere morale. In quanto la politica fondamentalmente deve essere una realtà morale, la Chiesa su questo binario ha fondamentalmente a che fare con la politica. Ripeto quanto avevo già detto: il primo mestiere della Chiesa è educare le coscienze, e così creare una responsabilità necessaria. Educare le coscienze sia nell’etica individuale sia nell’etica pubblica. E qui forse c’è una mancanza: si vede, in America latina ma anche altrove, in non pochi cattolici, una certa schizofrenia tra morale individuale e pubblica. Personalmente, nella sfera individuale, sono cattolici, credenti, ma nella vita pubblica seguono altre strade che non corrispondono ai grandi valori del Vangelo che sono necessari per la fondazione di una società giusta. Quindi bisogna educare a superare questa schizofrenia, educare non solo alla morale individuale ma a una morale pubblica. E questo cerchiamo di fare con la dottrina sociale della Chiesa: naturalmente questa morale pubblica dev’essere una morale ragionevole, condivisa e condivisibile anche da non credenti, una morale della ragione. Certo, noi nella luce della fede possiamo vedere tante cose che anche la ragione può vedere, ma proprio la fede serve anche per liberare la ragione dagli interessi falsi e dagli oscuramenti degli interessi, e così creare nella dottrina sociale i modelli sostanziali per una collaborazione politica, soprattutto per il superamento di questa divisione sociale-antisociale che purtroppo esiste. In questo senso vogliamo lavorare. Non so se la parola "teologia della liberazione", che si può anche interpretare molto bene, ci aiuterebbe molto. L’importante è la comune razionalità alla quale la Chiesa può offrire un contributo fondamentale e deve sempre aiutare nella educazione delle coscienze sia per la vita pubblica sia per la vita privata».

 Tutti ricordiamo le famose parole di Giovanni Paolo II: Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba. Sono passati 14 anni ma sembra siano ancora attuali. Durante l’attesa del suo viaggio molte voci di oppositori o di sostenitori dei diritti umani si sono fatte sentire. Lei pensa di riprendere il messaggio di Giovanni Paolo II?

 «Come ho già detto, mi sento in assoluta continuità con le parole del Santo Padre Giovanni Paolo II, che sono ancora attualissime. Questa visita del Papa ha inaugurato una strada di collaborazione, di dialogo costruttivo, una strada che è lunga, esige pazienza, ma va avanti. Oggi è evidente che l’ideologia marxista com’era concepita non risponde più alla realtà, così non si può più rispondere e costruire una società, devono essere trovati nuovi modelli, con pazienza, in modo costruttivo. In questo processo che esige pazienza ma anche decisione, vogliamo aiutare in spirito di dialogo per evitare traumi e per aiutare verso una società fraterna e giusta come la desideriamo per tutto il mondo. E vogliamo collaborare in questo senso. E’ ovvio che la Chiesa sta sempre dalla parte della libertà, la libertà della coscienza, la libertà della religione, in questo senso contribuiamo, contribuiscono anche proprio i semplici fedeli a questo cammino avanti».

 Fra pochi mesi vi sarà sinodo nuova evangelizzazione e inizierà l’anno della fede. Anche in America latina vi sono le sfide della secolarizzazione, delle le sette. In Cuba vi sono le conseguenze di una lunga propaganda dell’ateismo, la religiosità afrocubana è molto diffusa. Pensa che questo viaggio sia un incoraggiamento per la nuova evangelizzazione e quali sono i punti che le stanno più a cuore in questa prospettiva?

«Il periodo della nuova evangelizzazione è cominciato con il Concilio, questa era fondamentalmente l’intenzione di Papa Giovanni XXIII, è stata fortemente sottolineata da Giovanni Paolo II. La sua necessità, in un mondo che è in grande cambiamento, diventa sempre più evidente. Necessità nel senso che il Vangelo deve esprimersi in modi nuovi e necessità anche nell’altro senso, che il mondo ha bisogno di una parola nella confusione e nella difficoltà di orientarsi oggi. C’è una situazione comune del mondo, cioè la secolarizzazione, l’assenza di Dio, la difficoltà di trovare accesso, di vederlo come una realtà che concerne la mia vita. E dall’altra parte ci sono i temi specifici, lei ha accennato a Cuba con il sincretismo afrocubano, con tante altre difficoltà, ma ogni Paese ha la sua situazione culturale specifica. E da una parte dobbiamo partite dal problema comune, come oggi nel contesto della nostra moderna razionalità, possiamo di nuovo riscoprire Dio come l’orientamento fondamentale della nostra vita, la speranza fondamentale della nostra vita, il fondamento dei valori che realmente costruiscono una società. E come possiamo tenere conto della specificità delle situazioni diverse. Mi sembra molto importante annunciare un Dio che risponde alla nostra ragione perché vediamo la razionalità del cosmo, vediamo che c’è qualcosa dietro, ma non vediamo come sia vicino questo Dio, come concerne me. Questa sintesi del Dio grande maestoso e del Dio piccolo che è vicino a me e orienta e mi mostra i valori della mia vita, è il nucleo dell’evangelizzazione. Quindi un cristianesimo essenzializzato, dove si trova realmente il nucleo fondamentale per vivere oggi, con tutti i problemi del nostro tempo. E dall’altra parte bisogna tener conto della realtà concreta. In America Latina è molto importante che il cristianesimo non fosse mai tanto una cosa della ragione ma del cuore. La Madonna di Guadalupe è riconosciuta e amata da tutti perché capiscono che è una madre per tutti. Ed è presente dall’inizio di questa America Latina dopo l’arrivo degli europei. E pure in cuba abbiamo la madonna del Cobre che tocca i cuori. Sanno intuitivamente che è vero che questa Madonna ci ama e ci aiuta, ma questa intuizione del cuore deve collegarsi con la razionalità della fede e con la profondità della fede che va oltre la ragione. Dobbiamo cercare di non perdere il cuore ma di collegare cuore e ragione così che cooperino perché solo così l’uomo è completo e può aiutare e lavorare per un futuro migliore. Grazie».


Corriere della sera  24/04/12

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