di Massimo Introvigne
Per il beato Giovanni Paolo II (1920-2005) i viaggi in America Latina erano sempre grandi feste. Un popolo immenso ballava, cantava e scandiva «Juan Pablo Segundo, te quere todo el mundo», «Giovanni Paolo Secondo, ti ama tutto il mondo». Per Benedetto XVI già il primo viaggio sudamericano, in Brasile nel 2007, fu piuttosto difficile. Una Chiesa percorsa da fremiti di ribellione verso Roma dovette essere energicamente richiamata all’ordine. Non mancò, peraltro, un genuino – e poco atteso dalla stampa – entusiasmo popolare, particolarmente a San Paolo in occasione della canonizzazione del francescano sant’Antonio de Sant’Ana Galvão (1739-1822), un personaggio carissimo alla devozione popolare.
In Messico e a Cuba il Papa affronta il viaggio più difficile del suo pontificato. Ci sono infatti tre nodi delicatissimi che non sarà facile sciogliere. Il primo riguarda la tradizione anticlericale del Messico. Il film appena presentato a Roma, «Cristiada», ricorda come nella storia del Messico ci sia stata perfino una guerra, quella dei Cristeros del 1926-1929, fra chi difendeva la libertà religiosa dei cattolici e un laicismo feroce deciso a estirpare la religione a colpi di chiese distrutte e di fucilazioni. Il beato Giovanni Paolo II liquidò questa eredità anticlericale quasi come un anacronismo.
Ma oggi il vecchio anticlericalismo, che non ha mai veramente cessato di ripetere i suoi slogan nella sinistra messicana, si salda con nuove lobby come quella del matrimonio omosessuale, così che una tradizione laicista tipicamente messicana è alimentata e rafforzata da un possente laicismo internazionale, che da tempo ha messo la Chiesa e il Papa nel suo mirino.
Il secondo nodo è quello dei preti pedofili. Dal punto di vista statistico l’America Latina – nonostante casi davvero sgradevoli – non ha mai avuto numeri alti di sacerdoti accusati di pedofilia, paragonabili all’Irlanda – un Paese dove non a caso Benedetto XVI ha appena voluto un intervento severissimo – o agli Stati Uniti. Tuttavia, era messicano padre Marcias Maciel Degollado (1920-2008), il fondatore dei Legionari di Cristo, di cui negli ultimi anni della vita – e ancor più dopo la morte – emerse una doppia vita, con una pluralità impressionante di legami e rapporti sessuali e di abusi. Come il Papa ha confessato, si tratta di uno dei casi più misteriosi della storia della Chiesa, di un’eccezione al principio indicato dal Vangelo secondo cui dai frutti si riconosce l’albero. I frutti dell’albero piantato da Maciel – i Legionari di Cristo e i laici di Regnum Christi - hanno certo i loro problemi, ma il loro apostolato – il Papa lo ricorda sempre quando parla del tema – ha dato risultati eccellenti e spesso esemplari. Su Maciel e la sua doppia o tripla vita Benedetto XVI – che, prima di diventare Papa, fu il primo in Vaticano a sospettare del sacerdote messicano e a sollecitare provvedimenti contro di lui – ha invece usato parole severissime.
Il portavoce vaticano padre Lombardi ha spiegato che non è previsto che il Pontefice in Messico affronti il caso Maciel o incontri le vittime del fondatore dei Legionari di Cristo. Ma penserà senz’altro la stampa laicista ad accompagnare il cammino del Papa con continui riferimenti a Maciel. Un antipasto si è già avuto prima ancora della partenza di Benedetto XVI , con la pubblicazione – vedi caso, proprio ora – di nuovi documenti sui misfatti di Maciel e sulla reticenza a prendere provvedimenti del beato Giovanni Paolo II il quale, non è un mistero, non riusciva a credere che il fondatore di opere tanto benemerite fosse colpevole.
Tuttavia, qualunque discussione sul caso Maciel dovrebbe sempre tenere conto del fatto che mentre molti – applicando il principio dell’albero e dei frutti – dubitavano della sua colpevolezza, fu il cardinale Ratzinger a intervenire nei suoi confronti con la massima severità. Invito a riflettere su questo punto con tanta maggiore convinzione in quanto io stesso all’epoca – convinto dalla tesi secondo cui un albero cattivo non avrebbe potuto dare frutti così buoni, e infastidito da un certo giornalismo statunitense che usava Maciel per attaccare la Chiesa in genere – scrissi un paio di articoli dove suggerivo che il sacerdote messicano potesse essere vittima di calunnie. Avevo torto, e aveva ragione il cardinale Ratzinger.
La terza difficoltà attende il Papa a Cuba, uno degli ultimi Paesi comunisti del mondo ma insieme un Paese profondamente cattolico. Già il 9 gennaio scorso, parlando al Corpo Diplomatico, il Pontefice ha sottolineato con favore i cauti miglioramenti della situazione della libertà religiosa nell’isola. Stavolta incontrerà le autorità, e forse (non è certo), in forma privata, Fidel Castro. Come sempre in questi casi, tutto è circondato da ambiguità. Fidel Castro desidera incontrare il Papa per parlargli della possibile conversione di un uomo morente che pure si è macchiato di tanti crimini, e fare appello alla misericordia che la Chiesa non nega a nessuno, oppure si tratta dell’ennesima piroetta propagandistica di un abilissimo manipolatore? E la visita sarà un aiuto alla transizione «soft» al post-comunismo o sarà gestita dal regime in modo da rafforzare il potere castrista?
I dissidenti cubani, a partire dallo scrittore esule negli Stati Uniti Armando Valladares, autore di pagine memorabili sulle atrocità di Castro, esprimono timori di per sé comprensibili, che diventano però inaccettabili quando mettono in dubbio le intenzioni di Benedetto XVI, o pretendono d’insegnare al Papa come si fa il Papa. Viaggi come quello cubano sono sempre ad alto rischio. Ma gioverà forse ricordare come analoghi timori che i viaggi rafforzassero o legittimassero un regime comunista al potere fossero espressi regolarmente in occasione delle prime visite del beato Giovanni Paolo II in Polonia. Si sa com’è andata a finire.
Né questi spunti delicati e polemici possono far trascurare il fatto che tra gli scopi del viaggio c’è la celebrazione del bicentenario dell’indipendenza latino-americana, su cui è da anni in corso un importante dibattito che non è solo storiografico ma che ha importanti conseguenze culturali e politiche, evocato da Marco Respinti su «La Bussola Quotidiana» del 22 marzo. Sarà interessante vedere se e come il Papa ne farà cenno. Non bisogna poi dimenticare che non si tratta di viaggi con due soli protagonisti, il Papa e l’establishment politico e giornalistico dei Paesi che va a visitare.
C’è un terzo protagonista, il popolo cattolico. I precedenti viaggi pontifici hanno tutti mostrato che, per rovesciare pronostici sfavorevoli, su questo terzo incomodo – incomodo soprattuto per i poteri forti, che non riescono a spegnerne l’entusiasmo né a controllarne le reazioni – si può sempre contare.
La Bussola, 24 marzo 2012
Nessun commento:
Posta un commento