
Relazione di chiusura della Scuola di Dottrina sociale della Chiesa della Lombardia 2024/2025 tenutasi ad Annicco (Cremona), l’11 maggio 2025.
Di Stefano Fontana, 28 mag 2025
Premessa
Vorrei partire da alcune osservazioni di attualità. Il 18 gennaio 2025 i cattolici democratici hanno organizzato una convention per il lancio di un nuovo soggetto politico chiamato “Comunità democratica”. I personaggi politici coinvolti erano Prodi, Castagnetti, Del Rio, Stefano Lepri, Patrizia Toia, Silvia Costa, Fabio Pizzul, Francesco Russo, Paolo Ciani (Demos), Emiliano Manfredonia (Acli), Maria Pia Garavaglia, e Ernesto Maria Ruffini, che poi è stato designato come coordinatore.
La dizione “cattolici democratici” significa che la democrazia è più importante del cattolicesimo, che la democrazia, e quindi la costituzione democratica, impone un “pudore democratico”. Nella espressione cattolici democratici sta tutta la contraddizione dell’esperienza: quando, infatti, il cattolico democratico entra nella politica, deve dimenticare di essere cattolico per poter essere democratico. Come fa, allora, a portare la cultura cattolica in politica? Eppure, la nuova iniziativa è stata benedetta dal presidente dei vescovi italiani, il cardinale Zuppi.
Un secondo cenno riguarda la Settimana sociale dei cattolici italiani che si è tenuta a Trieste nel luglio 2024. In quella occasione il cardinale Zuppi e il presidente Mattarella si sono trovati pienamente d’accordo tra loro nel dire che la democrazia si fonda su se stessa, ossia sulla “partecipazione”. La difesa della costituzione è diventata espressamente il primo impegno della Chiesa italiana sicché non è più molto chiaro se il capo dei cattolici italiani sia Zuppi o Mattarella.
Sergio Mattarella è un dossettiano, ossia un seguace di Giuseppe Dossetti. Quando è stato eletto per la prima volta, gennaio 2015, avevo scritto un articolo dal titolo “Mattarella al Quirinale per liquidare i cattolici”, prevedendo che avrebbe diluito il cattolicesimo in una laicità accettata nella sua radicalità e avremmo rivisto leggi contro la vita e la famiglia firmate da un Presidente della Repubblica cattolico, in quanto “uomo delle istituzioni”. Così, in effetti, è poi stato, e quando egli firmò la legge Cirinnà, il cardinale Caffarra disse: “Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, firmando questa legge, ha sottoscritto una ridefinizione del matrimonio”. Però nel maggio 2023 papa Francesco gli ha conferito il Premio Paolo VI, additandolo come “maestro”, “testimone” e modello cristiano di “servizio”.
Il Dossettismo è l’ideologia della costituzione, ossia la priorità delle istituzioni democratiche sulla fede cattolica con l’annullamento conseguente della Dottrina sociale della Chiesa.
La vita
Giuseppe Dossetti, genovese ma reggiano di adozione, nato nel 1913 e morto nel 1996, giurista e professore, partigiano, partecipò alla vita della Democrazia Cristiana come leader della corrente di sinistra, fino al 1951, quando abbandonò la politica diretta per poi essere ordinato sacerdote nel 1959. In quella data il gruppo dossettiano nella Democrazia Cristiana fu sciolto. Il dossettismo però continuò ad esistere e ad influire anche in seguito, come abbiamo ricordato sopra.
Dossetti era uno dei quattro “Professorini” insieme a Lazzati, Fanfani e La Pira, dai quali nel 1947 era nata la rivista Cronache sociali che rappresentava l’anima progressista e avanzata del cattolicesimo italiano e il cui ultimo numero uscì appunto nel 1951.
Nel 1946 Dossetti fu eletto all’Assemblea Costituente ed ebbe un notevole ruolo nella elaborazione della Costituzione repubblicana. In vista delle elezioni politiche del 18 aprile 1948 Dossetti espresse posizioni molto critiche rispetto a De Gasperi e ai Comitati civici di Gedda. Non apprezzò l’abbandono da parte di De Gasperi del governo tripartito DC-PCI-PSI, che aveva guidato il Paese fino ad allora, né apprezzò la costituzione di un governo monocolore democristiano con la presenza di esponenti liberali. Fu critico anche sulla vittoria elettorale della DC del 18 aprile 1948, come era stato critico verso la campagna elettorale incentrata sull’urto frontale con le sinistre. Fu anche contrario all’entrata dell’Italia nel blocco occidentale, sostenendo invece la neutralità.
Con il prevalere della linea di De Gasperi, Dossetti finì per considerare impossibile il proprio progetto politico e uscì dal partito. Nel 1951 si dimise dalla direzione nazionale e nel 1952 da deputato.
Nel 1952 Dossetti fonda a Bologna una istituzione culturale, il Centro di Documentazione, trasformato poi nell’Istituto di studi religiosi per diventare alla fine Fondazione Giovanni XXIII, presieduta a lungo dall’amico Giuseppe Alberigo e attualmente da Alberto Melloni. La scelta di Bologna come città di adozione era dovuta all’arrivo in città di Giacomo Lercaro, arcivescovo e cardinale. Tra Dossetti e Lercaro ci fu un’ampia collaborazione.
Nel 1959 Dossetti viene ordinato sacerdote. Il cardinale Lercaro lo porta con sé come “teologo privato” al Concilio Vaticano II. Don Dossetti svolge una notevole influenza in senso progressista all’interno del Concilio, sia in forma sotterranea, dietro le quinte come un “partigiano” come egli stesso ebbe a dire, sia alla luce del sole. In particolare, Lercaro ottenne da Paolo VI la nomina di don Dossetti a Segretario unico dei quattro Moderatori dei lavori assembleari, i cardinali Agagianian, Doepfner, Lercaro e Suenens. Era Dossetti a scrivere i loro interventi in aula, in un passaggio molto importante di messa all’angolo della Curia Romana nella conduzione dei lavori conciliari. In quella veste Dossetti escogitò l’idea di sottoporre a tutti i Padri conciliari una serie di quesiti in forma di domanda sul tema della collegialità episcopale, per far emergere nel Concilio una linea apertamente progressista, quesiti che, prima ancora di essere consegnati ai Padri, si poterono leggere su l’Avvenire d’Italia diretto da Raniero La Valle, molto vicino al cardinale Lercaro. Dossetti fu costretto da Paolo VI ad autosospendersi, ma aveva comunque già ottenuto un importante risultato nella linea del “rinnovamento”. Così scrive Roberto De Mattei: “Se Rahner dettava le linee teologiche, Dossetti … suggeriva la strategia procedurale. Sono state sottolineate le molte analogie fra il lavoro di Dossetti nell’assemblea costituente italiana del 1946 e la sua attività di perito conciliare”.
Dopo l’uscita di Dossetti dalla Democrazia Cristiana altri assunsero la sua linea, però anche trasformandola. Fu il caso della “svolta a sinistra” impressa prima da Fanfani e poi da Moro soprattutto nel decennio 1958-1968 e poi, con complesse vicende politiche, fino alla morte di Moro nel 1978 per mano delle Brigate Rosse. Non c’è identità tra dossettismo e moroteismo, ma Dossetti stesso ha rivelato di aver puntato molto su Moro come erede delle proprie posizioni e nell’area morotea gravitarono molti politici legati al dossettismo.
Nel 1975 nacque la “Lega Democratica” di Pietro Scoppola, Achille Ardigò, Ermanno Gorrieri, Francesco Traniello, Paolo Prodi, Romano Prodi, Paola Gaiotti de Biase, Roberto Ruffilli. Era il periodo del “dissenso cattolico”, del confuso fermento suscitato dal Concilio, della proposta di Berlinguer del “compromesso storico”, del successo del PCI alle amministrative del 1975, del possibile “sorpasso” della DC, dell’ingresso nelle liste elettorali del PCI di alcuni indipendenti cattolici: Raniero La Valle, Piero Pratesi, Mario Gozzini e altri. Più tardi, nel 1993, nacquero i “Cristiano sociali” di Gorrieri e Pierre Carniti. Tutte queste forme di mobilitazione culturale e politica non coincisero col dossettismo ma non ne furono nemmeno indipendenti.
Negli anni Ottanta, soprattutto con la segreteria di Ciriaco De Mita iniziata nel 1982, i dossettiani “dilagano” sia nel partito che nel sistema di potere. Il dossettiano e bolognese Beniamino Andreatta collega il dossettismo con la finanza tramite l’operazione del Banco Ambrosiano e impronta un capitalismo gradito alla sinistra, progettando lo smantellamento dell’IRI, ossia dell’industria di Stato. Il dossettiano Romano Prodi sarà l’ultimo presidente dell’IRI. In questa fase i dossettiani hanno un nuovo grande nemico: il PSI di Bettino Craxi.
Nei primi anni Novanta il monaco Dossetti entra ancora in campo. Si pronuncia a sostegno del Pool Mani Pulite e con lo scritto “Sentinella, quanto resta della notte?” chiama a raccolta i partigiani della Costituzione contro – a suo dire – l’”eversione” democratica berlusconiana. Il capo del pool di Milano Francesco Saverio Borrelli pronuncia il suo famoso “Resistere, Resistere, Resistere” proprio nel ritiro di Dossetti, a Montesole. Di contro viene seguita con favore e promossa l’evoluzione del PCI in PdS e poi in PD, processo al quale i dossettiani danno un grande contributo fino a realizzare una confluenza sistematica dei politici cattolici dentro il PD che ormai eredita direttamente il dossettismo storico.
Nel 1996 don Giuseppe Dossetti tiene a battesimo l’Ulivo di Romano Prodi. Quando nacque l’Ulivo, Dossetti ne piantò simbolicamente uno nel suo ritiro di Montesole. La fine della Democrazia Cristiana a seguito dell’inchiesta Mani Pulite toglieva di mezzo il principale ostacolo al progetto dossettiano che ora si sarebbe potuto dispiegare.
Poco dopo questi eventi, il 15 dicembre 1996 don Dossetti morì a Monteveglio. È sepolto a Montesole, tra le tombe delle vittime dell’eccidio di Marzabotto.
Il pensiero
Dossetti leggeva la situazione italiana della Resistenza e della fase costituente come l’occasione di dar vita ad una nuova democrazia, in netta discontinuità rispetto alla democrazia liberale. La lotta al fascismo e la resistenza erano stati secondo lui eventi epocali e di alto significato storico che dovevano produrre frutti continuativi. A questo scopo egli riteneva fondamentale un’apertura politica al Partito comunista italiano che esprimeva, secondo lui, una partecipazione di popolo di cui la nuova democrazia aveva bisogno. Ciò era reputato necessario anche per opporsi alla democrazia liberale anglo-americana. In ciò il suo pensiero finiva per convergere con quello di Togliatti che, dopo il discorso di Salerno, aveva posto le basi per un innesto dei comunisti nella vita democratica italiana. In questo modo Dossetti va posto in relazione con altri cattolici che si ponevano la stessa questione del rapporto con il PCI, come Franco Rodano e Felice Balbo.
Vorrei partire da alcune osservazioni di attualità. Il 18 gennaio 2025 i cattolici democratici hanno organizzato una convention per il lancio di un nuovo soggetto politico chiamato “Comunità democratica”. I personaggi politici coinvolti erano Prodi, Castagnetti, Del Rio, Stefano Lepri, Patrizia Toia, Silvia Costa, Fabio Pizzul, Francesco Russo, Paolo Ciani (Demos), Emiliano Manfredonia (Acli), Maria Pia Garavaglia, e Ernesto Maria Ruffini, che poi è stato designato come coordinatore.
La dizione “cattolici democratici” significa che la democrazia è più importante del cattolicesimo, che la democrazia, e quindi la costituzione democratica, impone un “pudore democratico”. Nella espressione cattolici democratici sta tutta la contraddizione dell’esperienza: quando, infatti, il cattolico democratico entra nella politica, deve dimenticare di essere cattolico per poter essere democratico. Come fa, allora, a portare la cultura cattolica in politica? Eppure, la nuova iniziativa è stata benedetta dal presidente dei vescovi italiani, il cardinale Zuppi.
Un secondo cenno riguarda la Settimana sociale dei cattolici italiani che si è tenuta a Trieste nel luglio 2024. In quella occasione il cardinale Zuppi e il presidente Mattarella si sono trovati pienamente d’accordo tra loro nel dire che la democrazia si fonda su se stessa, ossia sulla “partecipazione”. La difesa della costituzione è diventata espressamente il primo impegno della Chiesa italiana sicché non è più molto chiaro se il capo dei cattolici italiani sia Zuppi o Mattarella.
Sergio Mattarella è un dossettiano, ossia un seguace di Giuseppe Dossetti. Quando è stato eletto per la prima volta, gennaio 2015, avevo scritto un articolo dal titolo “Mattarella al Quirinale per liquidare i cattolici”, prevedendo che avrebbe diluito il cattolicesimo in una laicità accettata nella sua radicalità e avremmo rivisto leggi contro la vita e la famiglia firmate da un Presidente della Repubblica cattolico, in quanto “uomo delle istituzioni”. Così, in effetti, è poi stato, e quando egli firmò la legge Cirinnà, il cardinale Caffarra disse: “Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, firmando questa legge, ha sottoscritto una ridefinizione del matrimonio”. Però nel maggio 2023 papa Francesco gli ha conferito il Premio Paolo VI, additandolo come “maestro”, “testimone” e modello cristiano di “servizio”.
Il Dossettismo è l’ideologia della costituzione, ossia la priorità delle istituzioni democratiche sulla fede cattolica con l’annullamento conseguente della Dottrina sociale della Chiesa.
La vita
Giuseppe Dossetti, genovese ma reggiano di adozione, nato nel 1913 e morto nel 1996, giurista e professore, partigiano, partecipò alla vita della Democrazia Cristiana come leader della corrente di sinistra, fino al 1951, quando abbandonò la politica diretta per poi essere ordinato sacerdote nel 1959. In quella data il gruppo dossettiano nella Democrazia Cristiana fu sciolto. Il dossettismo però continuò ad esistere e ad influire anche in seguito, come abbiamo ricordato sopra.
Dossetti era uno dei quattro “Professorini” insieme a Lazzati, Fanfani e La Pira, dai quali nel 1947 era nata la rivista Cronache sociali che rappresentava l’anima progressista e avanzata del cattolicesimo italiano e il cui ultimo numero uscì appunto nel 1951.
Nel 1946 Dossetti fu eletto all’Assemblea Costituente ed ebbe un notevole ruolo nella elaborazione della Costituzione repubblicana. In vista delle elezioni politiche del 18 aprile 1948 Dossetti espresse posizioni molto critiche rispetto a De Gasperi e ai Comitati civici di Gedda. Non apprezzò l’abbandono da parte di De Gasperi del governo tripartito DC-PCI-PSI, che aveva guidato il Paese fino ad allora, né apprezzò la costituzione di un governo monocolore democristiano con la presenza di esponenti liberali. Fu critico anche sulla vittoria elettorale della DC del 18 aprile 1948, come era stato critico verso la campagna elettorale incentrata sull’urto frontale con le sinistre. Fu anche contrario all’entrata dell’Italia nel blocco occidentale, sostenendo invece la neutralità.
Con il prevalere della linea di De Gasperi, Dossetti finì per considerare impossibile il proprio progetto politico e uscì dal partito. Nel 1951 si dimise dalla direzione nazionale e nel 1952 da deputato.
Nel 1952 Dossetti fonda a Bologna una istituzione culturale, il Centro di Documentazione, trasformato poi nell’Istituto di studi religiosi per diventare alla fine Fondazione Giovanni XXIII, presieduta a lungo dall’amico Giuseppe Alberigo e attualmente da Alberto Melloni. La scelta di Bologna come città di adozione era dovuta all’arrivo in città di Giacomo Lercaro, arcivescovo e cardinale. Tra Dossetti e Lercaro ci fu un’ampia collaborazione.
Nel 1959 Dossetti viene ordinato sacerdote. Il cardinale Lercaro lo porta con sé come “teologo privato” al Concilio Vaticano II. Don Dossetti svolge una notevole influenza in senso progressista all’interno del Concilio, sia in forma sotterranea, dietro le quinte come un “partigiano” come egli stesso ebbe a dire, sia alla luce del sole. In particolare, Lercaro ottenne da Paolo VI la nomina di don Dossetti a Segretario unico dei quattro Moderatori dei lavori assembleari, i cardinali Agagianian, Doepfner, Lercaro e Suenens. Era Dossetti a scrivere i loro interventi in aula, in un passaggio molto importante di messa all’angolo della Curia Romana nella conduzione dei lavori conciliari. In quella veste Dossetti escogitò l’idea di sottoporre a tutti i Padri conciliari una serie di quesiti in forma di domanda sul tema della collegialità episcopale, per far emergere nel Concilio una linea apertamente progressista, quesiti che, prima ancora di essere consegnati ai Padri, si poterono leggere su l’Avvenire d’Italia diretto da Raniero La Valle, molto vicino al cardinale Lercaro. Dossetti fu costretto da Paolo VI ad autosospendersi, ma aveva comunque già ottenuto un importante risultato nella linea del “rinnovamento”. Così scrive Roberto De Mattei: “Se Rahner dettava le linee teologiche, Dossetti … suggeriva la strategia procedurale. Sono state sottolineate le molte analogie fra il lavoro di Dossetti nell’assemblea costituente italiana del 1946 e la sua attività di perito conciliare”.
Dopo l’uscita di Dossetti dalla Democrazia Cristiana altri assunsero la sua linea, però anche trasformandola. Fu il caso della “svolta a sinistra” impressa prima da Fanfani e poi da Moro soprattutto nel decennio 1958-1968 e poi, con complesse vicende politiche, fino alla morte di Moro nel 1978 per mano delle Brigate Rosse. Non c’è identità tra dossettismo e moroteismo, ma Dossetti stesso ha rivelato di aver puntato molto su Moro come erede delle proprie posizioni e nell’area morotea gravitarono molti politici legati al dossettismo.
Nel 1975 nacque la “Lega Democratica” di Pietro Scoppola, Achille Ardigò, Ermanno Gorrieri, Francesco Traniello, Paolo Prodi, Romano Prodi, Paola Gaiotti de Biase, Roberto Ruffilli. Era il periodo del “dissenso cattolico”, del confuso fermento suscitato dal Concilio, della proposta di Berlinguer del “compromesso storico”, del successo del PCI alle amministrative del 1975, del possibile “sorpasso” della DC, dell’ingresso nelle liste elettorali del PCI di alcuni indipendenti cattolici: Raniero La Valle, Piero Pratesi, Mario Gozzini e altri. Più tardi, nel 1993, nacquero i “Cristiano sociali” di Gorrieri e Pierre Carniti. Tutte queste forme di mobilitazione culturale e politica non coincisero col dossettismo ma non ne furono nemmeno indipendenti.
Negli anni Ottanta, soprattutto con la segreteria di Ciriaco De Mita iniziata nel 1982, i dossettiani “dilagano” sia nel partito che nel sistema di potere. Il dossettiano e bolognese Beniamino Andreatta collega il dossettismo con la finanza tramite l’operazione del Banco Ambrosiano e impronta un capitalismo gradito alla sinistra, progettando lo smantellamento dell’IRI, ossia dell’industria di Stato. Il dossettiano Romano Prodi sarà l’ultimo presidente dell’IRI. In questa fase i dossettiani hanno un nuovo grande nemico: il PSI di Bettino Craxi.
Nei primi anni Novanta il monaco Dossetti entra ancora in campo. Si pronuncia a sostegno del Pool Mani Pulite e con lo scritto “Sentinella, quanto resta della notte?” chiama a raccolta i partigiani della Costituzione contro – a suo dire – l’”eversione” democratica berlusconiana. Il capo del pool di Milano Francesco Saverio Borrelli pronuncia il suo famoso “Resistere, Resistere, Resistere” proprio nel ritiro di Dossetti, a Montesole. Di contro viene seguita con favore e promossa l’evoluzione del PCI in PdS e poi in PD, processo al quale i dossettiani danno un grande contributo fino a realizzare una confluenza sistematica dei politici cattolici dentro il PD che ormai eredita direttamente il dossettismo storico.
Nel 1996 don Giuseppe Dossetti tiene a battesimo l’Ulivo di Romano Prodi. Quando nacque l’Ulivo, Dossetti ne piantò simbolicamente uno nel suo ritiro di Montesole. La fine della Democrazia Cristiana a seguito dell’inchiesta Mani Pulite toglieva di mezzo il principale ostacolo al progetto dossettiano che ora si sarebbe potuto dispiegare.
Poco dopo questi eventi, il 15 dicembre 1996 don Dossetti morì a Monteveglio. È sepolto a Montesole, tra le tombe delle vittime dell’eccidio di Marzabotto.
Il pensiero
Dossetti leggeva la situazione italiana della Resistenza e della fase costituente come l’occasione di dar vita ad una nuova democrazia, in netta discontinuità rispetto alla democrazia liberale. La lotta al fascismo e la resistenza erano stati secondo lui eventi epocali e di alto significato storico che dovevano produrre frutti continuativi. A questo scopo egli riteneva fondamentale un’apertura politica al Partito comunista italiano che esprimeva, secondo lui, una partecipazione di popolo di cui la nuova democrazia aveva bisogno. Ciò era reputato necessario anche per opporsi alla democrazia liberale anglo-americana. In ciò il suo pensiero finiva per convergere con quello di Togliatti che, dopo il discorso di Salerno, aveva posto le basi per un innesto dei comunisti nella vita democratica italiana. In questo modo Dossetti va posto in relazione con altri cattolici che si ponevano la stessa questione del rapporto con il PCI, come Franco Rodano e Felice Balbo.
In questo quadro si comprende la grande importanza che egli diede, e che sempre darà, alla nuova Costituzione repubblicana, considerandola un testo rivoluzionario, non solo un insieme di norme, ma un progetto di rivoluzione democratica da realizzare, un programma d’azione. La Costituzione diventava così un assoluto quasi sacrale, al di sopra di tutto e di tutti, intangibile, un’utopia da realizzare. Si comprende anche come egli ponesse al centro di questo rinnovamento lo Stato e la sua attività di intervento nella società, nella cultura, nella scuola, nell’economia. La salvezza era vista in una economia governata dal pubblico, che certamente Dossetti non fece a tempo a vedere realizzata ma di cui fu l’ispiratore. Si è parlato per lui di “costituzionalismo autoritario” e di “sacralità dello Stato”, a partire dal suo famoso discorso del 1951 ai Giuristi cattolici in cui appunto invitata i cattolici a “non avere paura dello Stato”.
Questa visione fu alla base della sua attività politica e costituente, spiega l’avversione per la Democrazia Cristiana di De Gasperi e dei Comitati civici di Gedda, ma anche per la tradizione del Partito popolare di Sturzo. Dossetti voleva che la Democrazia Cristiana diventasse un partito cristiano non più legato alla Chiesa e alla religione, un partito post-religioso e post-cristiano. Egli considerava il processo di secolarizzazione come irreversibile e positivo in quanto derivante dallo stesso Cristianesimo, che veniva così liberato da ogni forma ideologica di società sacrale. Per questo egli subiva l’influenza di Maritain di cui condivideva, almeno in una prima fase, il progetto di “nuova cristianità” laica e democratica fondata sul Vangelo come fermento sociale e la visione del marxismo come “eresia cristiana”. Considerato il marxismo in questo modo, lo si doveva aiutare a liberarsi dai suoi presupposti ateistici e renderlo atto a diventare compagno di viaggio per i cattolici nella nuova democrazia compiuta.
Questa visione delle cose politiche era evidentemente in rapporto anche con le questioni ecclesiali. Il progetto della democrazia compiuta ricollocava i cattolici nella scena del mondo secondo modalità nuove e, quindi, richiedeva anche una trasformazione della Chiesa. Si pone qui la relazione, non semplice da decifrare, tra il dossettismo politico da un lato e la partecipazione di don Dossetti al Concilio e l’attività culturale della Fondazione Giovanni XXIII dall’altro.
Sappiamo che la Scuola di Bologna ha avuto un grande influsso nella Chiesa italiana, promuovendo una particolare interpretazione del Concilio. Secondo la Scuola di Giuseppe Alberigo il Concilio è stato soprattutto un “evento” il cui significato va oltre i testi dei documenti. Un evento non concluso e che deve essere continuamente sviluppato nelle sue esigenze evangeliche radicali. Nasce qui la contrapposizione sostenuta dalla Scuola sul piano storico tra Giovanni XXIII e Paolo VI e soprattutto la critica continua e sistematica a Giovanni Paolo II. Paolo VI avrebbe fermato e irregimentato il carattere profetico dell’evento Concilio e Giovanni Paolo II avrebbe normalizzato definitivamente la Chiesa. L’ottica dell’evento deve essere il punto di vista da cui considerare anche i documenti conciliari e non viceversa. I documenti sono da considerarsi come una soluzione di compromesso raggiunta in aula e quindi non possono racchiudere in sé il senso pieno del Concilio.
Una valutazione
Un primo punto interessante è la sua valutazione della Resistenza e del Fascismo visto come male assoluto. Augusto Del Noce ha mostrato il carattere ideologico funzionale alla sinistra sia della vulgata sulla Resistenza sia di quella sul Fascismo come male assoluto. Garantire un proseguimento nelle vicende politiche della nuova repubblica italiana del cosiddetto spirito della resistenza, o meglio del Comitato di Liberazione Nazionale, significava dare una patente di democraticità al Partito Comunista Italiano e, in generale, al comunismo. La definizione del Fascismo come “male assoluto”, che è poi continuata fino ad oggi come si è visto con il governo Meloni, sicché chi si oppone o semplicemente critica la mentalità imposta dal potere democratico viene accusato appunto di essere “fascista”, nascondeva il male, molto più grande, del comunismo, facendo in modo che una coltre si silenzio fosse stesa su di esso ed ancora oggi è così. Dossetti fu uno dei protagonisti di questa operazione culturale che però presenta dei lati problematici.
Per immettere il PCI nella democrazia italiana bisognava staccarlo da Mosca e aiutarlo ad evolversi affinché abbandonasse la sua metafisica atea. Questa era anche l’idea di Dossetti. Su questo però pesa un rilevante equivoco a proposito del comunismo, anche questo messo bene in luce da Del Noce in tutte le sue opere e specialmente ne “Il suicidio della rivoluzione”. L’equivoco consiste nel pensare che, una volta superati i suoi presupposti metafisici il comunismo diventi migliore, mentre invece peggiora.
Questa visione fu alla base della sua attività politica e costituente, spiega l’avversione per la Democrazia Cristiana di De Gasperi e dei Comitati civici di Gedda, ma anche per la tradizione del Partito popolare di Sturzo. Dossetti voleva che la Democrazia Cristiana diventasse un partito cristiano non più legato alla Chiesa e alla religione, un partito post-religioso e post-cristiano. Egli considerava il processo di secolarizzazione come irreversibile e positivo in quanto derivante dallo stesso Cristianesimo, che veniva così liberato da ogni forma ideologica di società sacrale. Per questo egli subiva l’influenza di Maritain di cui condivideva, almeno in una prima fase, il progetto di “nuova cristianità” laica e democratica fondata sul Vangelo come fermento sociale e la visione del marxismo come “eresia cristiana”. Considerato il marxismo in questo modo, lo si doveva aiutare a liberarsi dai suoi presupposti ateistici e renderlo atto a diventare compagno di viaggio per i cattolici nella nuova democrazia compiuta.
Questa visione delle cose politiche era evidentemente in rapporto anche con le questioni ecclesiali. Il progetto della democrazia compiuta ricollocava i cattolici nella scena del mondo secondo modalità nuove e, quindi, richiedeva anche una trasformazione della Chiesa. Si pone qui la relazione, non semplice da decifrare, tra il dossettismo politico da un lato e la partecipazione di don Dossetti al Concilio e l’attività culturale della Fondazione Giovanni XXIII dall’altro.
Sappiamo che la Scuola di Bologna ha avuto un grande influsso nella Chiesa italiana, promuovendo una particolare interpretazione del Concilio. Secondo la Scuola di Giuseppe Alberigo il Concilio è stato soprattutto un “evento” il cui significato va oltre i testi dei documenti. Un evento non concluso e che deve essere continuamente sviluppato nelle sue esigenze evangeliche radicali. Nasce qui la contrapposizione sostenuta dalla Scuola sul piano storico tra Giovanni XXIII e Paolo VI e soprattutto la critica continua e sistematica a Giovanni Paolo II. Paolo VI avrebbe fermato e irregimentato il carattere profetico dell’evento Concilio e Giovanni Paolo II avrebbe normalizzato definitivamente la Chiesa. L’ottica dell’evento deve essere il punto di vista da cui considerare anche i documenti conciliari e non viceversa. I documenti sono da considerarsi come una soluzione di compromesso raggiunta in aula e quindi non possono racchiudere in sé il senso pieno del Concilio.
Una valutazione
Un primo punto interessante è la sua valutazione della Resistenza e del Fascismo visto come male assoluto. Augusto Del Noce ha mostrato il carattere ideologico funzionale alla sinistra sia della vulgata sulla Resistenza sia di quella sul Fascismo come male assoluto. Garantire un proseguimento nelle vicende politiche della nuova repubblica italiana del cosiddetto spirito della resistenza, o meglio del Comitato di Liberazione Nazionale, significava dare una patente di democraticità al Partito Comunista Italiano e, in generale, al comunismo. La definizione del Fascismo come “male assoluto”, che è poi continuata fino ad oggi come si è visto con il governo Meloni, sicché chi si oppone o semplicemente critica la mentalità imposta dal potere democratico viene accusato appunto di essere “fascista”, nascondeva il male, molto più grande, del comunismo, facendo in modo che una coltre si silenzio fosse stesa su di esso ed ancora oggi è così. Dossetti fu uno dei protagonisti di questa operazione culturale che però presenta dei lati problematici.
Per immettere il PCI nella democrazia italiana bisognava staccarlo da Mosca e aiutarlo ad evolversi affinché abbandonasse la sua metafisica atea. Questa era anche l’idea di Dossetti. Su questo però pesa un rilevante equivoco a proposito del comunismo, anche questo messo bene in luce da Del Noce in tutte le sue opere e specialmente ne “Il suicidio della rivoluzione”. L’equivoco consiste nel pensare che, una volta superati i suoi presupposti metafisici il comunismo diventi migliore, mentre invece peggiora.
Eliminando l’ateismo e la rivoluzione, il comunismo incontra la cultura borghese della società irreligiosa e opulenta, con la quale converge nell’intento di secolarizzare la società non solo dal punto di vista religioso ma anche etico. Come scrive Del Noce, paradossalmente la scomparsa di Dio non è seguita alla rivoluzione comunista ma sembra oggi avvenire nell’ultimo stadio della società borghese, verso cui il comunismo è confluito. L’evoluzione del PCI in questo senso è molto chiara. Il partito che aveva estromesso Pasolini dalle proprie file perché omosessuale in seguito, cambiato di nome, ha promosso in Parlamento tutti i “nuovi diritti” diventando un partito radicale di massa e facendo da ricettacolo anche dei voti dei cattolici democratici che, a seguito del dossettismo, sono in esso confluiti.
Un altro punto che merita una attenzione critica è la visione che Dossetti aveva della Costituzione. Vedere la Costituzione come un assoluto, come un progetto messianico, come la verità politica fondante la comunità è sbagliato. La Carta costituzionale non si auto-fonda, ma dipende dalla Costituzione reale, ossia dall’ordinamento finalistico della società e dal diritto naturale, oltre che dal diritto divino. Liberando la Costituzione da questi fondamenti indisponibili per farne un assoluto autonomo e autofondativo, la si trasforma in un artificio.
Un altro punto che merita una attenzione critica è la visione che Dossetti aveva della Costituzione. Vedere la Costituzione come un assoluto, come un progetto messianico, come la verità politica fondante la comunità è sbagliato. La Carta costituzionale non si auto-fonda, ma dipende dalla Costituzione reale, ossia dall’ordinamento finalistico della società e dal diritto naturale, oltre che dal diritto divino. Liberando la Costituzione da questi fondamenti indisponibili per farne un assoluto autonomo e autofondativo, la si trasforma in un artificio.
Una Costituzione come artificio è però quanto di più fragile si possa intendere, perché si presta ad altri interventi artificiali del potere politico. Questo è infatti avvenuto in Italia: alcune parti della Costituzione sono state disattese, altre sono state rovesciate nella prassi legislativa e politica, altre sono state modificate secondo gli interessi politici del momento, e la Corte Costituzionale in numerose sentenze ha anche rivisto il cosiddetto “spirito della Costituzione”, introducendo sempre di più una visione ispirata al positivismo giuridico. La Costituzione utopica e palingenetica di Dossetti è così diventata un testo legislativo cambiabile, aggiustabile, smontabile e rimontabile come ha per esempio dimostrato la legge Cirinnà, che pure è stata firmata da un Presidente della Repubblica dossettiano di ispirazione.
Quando è scoppiato il caso Mani Pulite all’inizio degli anni Novanta e don Dossetti si è messo dalla parte della Costituzione e quindi del Pool milanese, forse non aveva capito che la magistratura stava diventando apertamente un soggetto politico e che i giudici da lì in poi si sarebbero sostituiti al potere legislativo. La Costituzione non è sufficiente a difendere la Costituzione. Senza il riferimento ad un piano indisponibile che la precede e la legittima, ogni Costituzione crolla dentro la propria natura di artificio. Il partito costituzionale tanto caro a Dossetti è quindi il partito più anticostituzionale che ci sia. Dall’Ulivo in poi è iniziata una sequela di eventi anticostituzionali portati avanti dal partito costituzionale. Del resto per Dossetti il fondamento della Costituzione non era nemmeno la sovranità popolare, ma lo “spirito” della Costituzione e basta.
Si è discusso molto sulla relazione tra la riforma politica disegnata da Dossetti e la riforma ecclesiastica avvenuta nel Vaticano II anche con l’apporto, breve ma interessante, di Dossetti e di cui ho già brevemente riferito. Certamente Dossetti non va direttamente collegato con il dissenso cattolico del Sessantotto anche se le vicende della Lega Democratica e della sinistra cattolica negli anni Settanta e Ottanta non sono a lui estranee. Però va ricordato il suo notevole interesse e impegno diretto e indiretto per l’aggiornamento in senso progressista della Chiesa, e un aspetto di questo aggiornamento secondo lui doveva essere la decisa conquista della laicità della politica rispetto alla religione. La Costituzione doveva essere la chiave totale della politica, sicché la religione doveva rimanere qualcosa d’altro. Qui politica e riforma conciliare della Chiesa si uniscono: il Concilio avrebbe indirizzato la Chiesa al trascendente e la politica avrebbe indirizzato i cattolici a realizzare la Costituzione. Sta di fatto che il dossettismo secolarizzò la presenza politica dei cattolici, anzi la distrusse, facendone solo un inconsistente, fragile e mutevole, atto di coscienza individuale.
Quando è scoppiato il caso Mani Pulite all’inizio degli anni Novanta e don Dossetti si è messo dalla parte della Costituzione e quindi del Pool milanese, forse non aveva capito che la magistratura stava diventando apertamente un soggetto politico e che i giudici da lì in poi si sarebbero sostituiti al potere legislativo. La Costituzione non è sufficiente a difendere la Costituzione. Senza il riferimento ad un piano indisponibile che la precede e la legittima, ogni Costituzione crolla dentro la propria natura di artificio. Il partito costituzionale tanto caro a Dossetti è quindi il partito più anticostituzionale che ci sia. Dall’Ulivo in poi è iniziata una sequela di eventi anticostituzionali portati avanti dal partito costituzionale. Del resto per Dossetti il fondamento della Costituzione non era nemmeno la sovranità popolare, ma lo “spirito” della Costituzione e basta.
Si è discusso molto sulla relazione tra la riforma politica disegnata da Dossetti e la riforma ecclesiastica avvenuta nel Vaticano II anche con l’apporto, breve ma interessante, di Dossetti e di cui ho già brevemente riferito. Certamente Dossetti non va direttamente collegato con il dissenso cattolico del Sessantotto anche se le vicende della Lega Democratica e della sinistra cattolica negli anni Settanta e Ottanta non sono a lui estranee. Però va ricordato il suo notevole interesse e impegno diretto e indiretto per l’aggiornamento in senso progressista della Chiesa, e un aspetto di questo aggiornamento secondo lui doveva essere la decisa conquista della laicità della politica rispetto alla religione. La Costituzione doveva essere la chiave totale della politica, sicché la religione doveva rimanere qualcosa d’altro. Qui politica e riforma conciliare della Chiesa si uniscono: il Concilio avrebbe indirizzato la Chiesa al trascendente e la politica avrebbe indirizzato i cattolici a realizzare la Costituzione. Sta di fatto che il dossettismo secolarizzò la presenza politica dei cattolici, anzi la distrusse, facendone solo un inconsistente, fragile e mutevole, atto di coscienza individuale.
Stefano Fontana
(Foto: Dossetti, Di Sconosciuto – Italian magazine Epoca, Vol. XXXVII n. 473, 25 October 1959, Pubblico dominio)
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