giovedì 1 maggio 2025

Verso il Conclave, fine di un’era o accelerazione?





Julio Loredo, Davide Lovat, e Don Nicola Bux, analizzano il pontificato di Papa Francesco e le sue riforme, specialmente in relazione alla tradizione della Chiesa. Discutono l’impatto del papato di Francesco sulla politica e sulla società, suggerendo che abbia mostrato una tendenza a benedire le linee politiche delle élite globaliste e che ci sia stata una crisi di fede e identità all’interno della Chiesa. Gli ospiti riflettono sulla figura del prossimo Papa e sulle qualità necessarie per riportare la Chiesa alla normalità e riconnettersi con Cristo, sottolineando l’importanza della preghiera per il Conclave.

L’intervista, svoltasi dopo la scomparsa di Papa Francesco, si concentra sul suo pontificato di 12 anni e sulle prospettive del prossimo Conclave che si aprirà il 7 maggio. Gli ospiti sono chiamati a offrire una valutazione del papato defunto e a discutere del futuro della Chiesa.




Julio Loredo: Un pontificato riformista e la tensione verso la normalità


Julio Loredo, della TFP, inizia commentando l'”uragano sociale” di notizie sulla scomparsa del Papa e il prestigio della Chiesa e la continuazione del papato dimostrati dall’attenzione mediatica mondiale, anche a prescindere dalla persona del Pontefice. Ritiene che, dopo un doveroso periodo di preghiera e riflessione a “testa fredda”, si debba analizzare il pontificato.

Secondo Loredo, quello di Papa Francesco è stato un pontificato “riformista”, che ha cambiato moltissime cose e “ha aperto i processi perché questo cambiamento non si possa più fermare”. Il suo “grande progetto”, come lui stesso ha detto, era la riforma della Chiesa per trasformarla in una “Chiesa costitutivamente sinodale”. Questa riforma, cambiando le strutture e le dinamiche interne della Chiesa, ha portato anche a tendendenze di cambiamento nella sua dottrina, come si è visto in specifici punti del Catechismo o nella Fiducia Supplicans. Loredo sottolinea che la Chiesa si adatta pastoralmente ma non può mai toccare la sua struttura organica divina e la tradizione bimillenaria, il cui criterio è “ciò che è stato creduto ovunque, sempre e da tutti”. Il suo giudizio complessivo su questa riforma è “chiaramente negativo” in quanto si discosta dalla tradizione e dal magistero.

Riguardo al prossimo Conclave, Loredo afferma che Bergoglio fu eletto per avviare una riforma della Curia, ma le cose sono andate “fuori mano”, trasformandosi “praticamente in una distruzione” anziché una riforma. Cita la sensazione, riferita da fonti romane, che “le cose siano accelerate troppo”. Ora si avverte un forte desiderio di “calmare le acque” e “tornare ad una certa normalità”. Si parla di scegliere un “temporeggiatore” piuttosto che un riformatore o un rivoluzionario. Loredo ipotizza che questa possa essere la via scelta dal Conclave, basandosi sulla storia della Chiesa che, per sopravvivere, ha dato primazia all’istituzione e alla tranquillità.

Il futuro Papa, nel riportare la Chiesa alla normalità, dovrà però “scontrarsi con le forze interne alla Chiesa che non solo vogliono continuare la spinta riformista ma la vogliono anche accelerare”. Osserva che il “partito dell’accelerazione” è “sempre più avanti negli anni”, mentre il “partito che cerca certezze, cerca verità è un partito sempre più giovane”. Cita come esempi le tendenze al battesimo degli adulti in Francia, la crescita dei cattolici credenti rispetto agli anglicani in Inghilterra, e il fatto che nessun nuovo sacerdote negli USA dal 2020 si dichiari progressista. C’è una “voglia di riprendere certezze, riprendere la verità, riprendere una via sicura”, soprattutto tra i giovani.

Interrogato sui valori fondamentali che la Chiesa dovrebbe recuperare, Loredo suggerisce di analizzare i settori che “vanno bene” oggi, come i pellegrinaggi dei giovani, la devozione mariana, la crescita della liturgia tradizionale. Questi sono “minoranze che sono in fortissima crescita”. L’uomo ha una tendenza insita verso Dio e l’assoluto, ma negli ultimi decenni c’è stata una spinta verso il relativismo, il secolarismo, l’abbandono dei principi non negoziabili e un’apertura “relativistica a todos todos todos“. Questo è una “violenza alla natura umana” e alla grazia divina. Le minoranze crescenti cercano qualcosa di solido: principi, verità. Parallelamente, c’è una “voglia di trascendenza”, di bellezza nella liturgia, di qualcosa che porti verso il divino (“sacralizzazione”). Cita l’esempio di una ragazza ventunenne che, a differenza degli ultra sessantenni nelle riunioni sinodali che pensano i giovani vogliano ciò che loro volevano negli anni ’60, afferma che i giovani di oggi “vogliono verità”, “certezze”, “qualcosa di solido” perché “siamo smarriti”. L’appiglio in questo naufragio è Cristo, rappresentato dal Papa e dalla Chiesa. Questi sono i punti fondamentali da cui riprendere l’azione pastorale.

Alla domanda su che tipo di figura servirebbe come prossimo Papa, Loredo riprende il concetto espresso da Don Nicola: il Papa è il “vicario di Cristo, non il suo successore”. Evidenzia una tendenza a concentrarsi sulla persona del Papa anziché su ciò che rappresenta. Il prossimo Papa, soprattutto dopo questo periodo di “gonfiore artificioso”, dovrà essere “molto molto umile” e saper ricondurre le cose a “come far tornare le anime a Cristo”, anziché discutere solo di strutture o potere.



Davide Lovat: La Chiesa e il potere politico, la perdita della voce del pastore

Davide Lovat affronta il rapporto tra la Chiesa di Papa Francesco e la società dal punto di vista filosofico e politico. Sottolinea che nella storia la politica ha sempre cercato di “mettere il cappello sopra la Chiesa” per usarla a proprio vantaggio, citando come esempi lo scisma d’Oriente e la Riforma Protestante, spesso motivati da ragioni secolari ed economiche.

Secondo Lovat, negli ultimi 12 anni, la Chiesa “ha dato l’impressione spesso di benedire con tempismo le linee politiche che provenivano dall’elite globalista“. Cita l’emanazione di documenti pontifici su temi come l’ecologismo (Laudato Si), il gender (Fiducia Supplicans), la fratellanza universale in senso globalista (Fratelli Tutti), che sembravano allinearsi con l’agenda politica occidentale. Questo tempismo ha suscitato l’attenzione degli osservatori politici. Anche l’interesse dei capi di stato per il Conclave dimostra l’importanza istituzionale della Chiesa. Lovat ritiene che la Chiesa si sia “prestata sicuramente ad andare di pari passo” con queste tendenze, anche se “più o meno volontariamente”.

Un secondo elemento cruciale è che “da 12 anni le pecore non sentono più la voce del pastore”. Il compito di ammaestrare le genti è stato quasi omesso per il principio di “Todos Todos Todos”, mettendo in secondo piano l’aspetto dogmatico e dottrinale per non “creare motivi di repulsione da parte dei lontani”. Questo ha però lasciato i fedeli “vicini”, specialmente i giovani, senza una voce chiara che dicesse “sì sì e no no”. Di conseguenza, la Chiesa è spesso percepita solo come un “ente caritatevole filantropico“, che promuove l’immigrazione o l’ecologia, perdendo la sua specificità e differenziandosi poco da organizzazioni come UNICEF o FAO. Ribadisce l’osservazione fatta in quei giorni da un cardinale: “la Chiesa non deve diventare dare una ONG”, anche se nella percezione comune lo è diventata.

Riguardo al ruolo geopolitico della Chiesa, Lovat riconosce che la secolarizzazione in Occidente ha attenuato l’influenza diretta sui politici. Tuttavia, la Chiesa parla a miliardi di persone, e la sua voce è sempre ascoltata, presa in considerazione e fa parte del dibattito pubblico, quindi l’influenza è ancora “molto forte”, anche se in forma differente. Questa influenza, però, persiste “fintanto che è coerente col Vangelo e con la tradizione”. Quando rinuncia al suo fondamento di verità per piacere a tutti, “perde il suo sapore” e smette di avere un senso. La sua funzione è “ammonire anche i potenti”, “indicare la via coerentemente quel Vangelo”, non assecondare il mondo o benedire iniziative basate su opinioni momentanee o ideologie prevalenti. Negli ultimi 12 anni, ha abbandonato il ruolo di “elemento di contraddizione”, di “pietra di scandalo”.

Sulla possibilità di continuità o svolta nel prossimo Conclave, Lovat riconosce che esiste una “componente importante che vorrebbe mantenere il percorso recentissimo”. Si augura però che emergano le istanze dei giovani: il desiderio di “radici profonde”, di “identità chiara”, la ricerca di “verità solide e certe”. Critica una leadership che sembra “rimasta indietro di almeno 50 anni” e che vive un’eterna gioventù sessantottina. Ha l’impressione che chi ha detenuto il potere abbia cercato di mantenere “strutture e simboli della Chiesa come istituzione umana ma svuotandole del loro contenuto”, creando una “neochiesa umana plurale globale ed ecumenica", una “caricatura”. Si augura che questo cessi per far sì che la Chiesa torni ad essere “santa cattolica e apostolica”.

Riguardo a che tipo di figura servirebbe come prossimo Papa, Lovat ritiene che servirebbe un Papa che faccia capire di nuovo “quello che è lo specifico della Chiesa“, ciò per cui la Chiesa non può essere imitata né deve imitare il mondo. Lo specifico è la Pasqua, la resurrezione di Cristo, la promessa della vita eterna. Il cristianesimo propone “cose straordinarie proprio perché è unico e si fonda su Gesù Cristo”. Un Papa deve “fare quello”: rimandare continuamente a Cristo. Nella società dei media che cercano scandalo o culto della personalità, un Papa dovrebbe essere abile nel fare un passo indietro, diventare quasi “misterioso” per ridare fascino alla Chiesa, ma sempre nelle sue esternazioni “rimandare a Gesù Cristo”. Deve farlo “con fede soprattutto con semplicità”, ricordando che il Vangelo è stato trasmesso anche da persone umili. Deve fare il “servitore del Vangelo” e non la “pop star”.



Don Nicola Bux: La crisi della Fede e la necessità di un pastore custode


Don Nicola Bux, ex consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, confronta il pontificato di Francesco con quelli di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Sottolinea che la “cosiddetta riforma di Francesco era senza una forma di riferimento: la forma cattolica della Chiesa”. Bergoglio, forse influenzato dalla teologia della liberazione, sembrava aver dimenticato o dato per scontata la “forma cattolica”, che è l’istituzione divina stabilita da Cristo. Ha messo tra parentesi la “forma divina della Chiesa” privilegiando l’ecclesia ad extra, ma senza preoccuparsi che le persone “entrassero nella chiesa”, solo per un desiderio di abbracciare il popolo “senza come dire aiutare quel popolo” a cambiare.

Critica l’affermazione “il Signore vi accetta come siete”, definendola “ambigua”. Chiaro che il Signore accetta tutti, ma “perché vuole che cambiamo totalmente”. Cita l’esempio di Nicodemo nei Vangeli. Un Papa che non propone il cambiamento e la conversione non fa una riforma, ma una “deformazione”. Ricorda che San Paolo parlava di “consegnarsi a quella forma di insegnamento”. Attirare le persone a sé stessi (Francesco) non interessa; la gente dovrebbe dire “Grazie Francesco perché ci hai fatto incontrare Cristo”, perché Francesco muore e passa, ma Cristo resta. Il Papa non deve affezionare a sé stesso, ma far affezionare a Cristo.

La crisi attuale è, secondo Don Nicola, una “crisi di fede che investe anche i vertici”, i pastori. Questa “crisi della fede trascina con sé l’identità della Chiesa”. Un Papa o vescovi dubbiosi sulla fede creano problemi; cita l’elenco delle frasi di Bergoglio che “mettono in crisi la fede” e che sono state chiamate “eresie o errori di Bergoglio”. Dalla fede dipende la morale; se si separano fede e morale, la morale diventa “moralismo”. Cita gli appunti di Benedetto XVI sulla crisi della teologia morale, legata alla mancanza di fede. Menziona anche il fatto che si è arrivati a mettere in crisi Gesù Cristo stesso, citando l’affermazione di Bergoglio che “tutte le religioni sono delle vie per arrivare a Dio”, che Don Nicola definisce “ambigua” e sbagliata, perché “Gesù ha detto ‘Io sono la via’”. Un Papa che dice questo nega il motivo per cui è Papa. Questo è un esempio della “crisi di fede e quindi conseguentemente la crisi di identità”. L’istituzione è stabile perché fondata sulla roccia di Cristo, ma senza Cristo “non ha consistenza”.

Il compito fondamentale del Papa è “confermare nella fede in Gesù Cristo”. “Confermare” significa rafforzare. Le opere caritatevoli sono secondarie rispetto a questo compito primario.

Collegandosi a Davide Lovat, Don Nicola parla della “rinascita del sacro” (come la chiamava Benedetto XVI) come un segnale dalle nuove generazioni che non hanno smarrito il giudizio sull’essenza della fede. Cita pellegrinaggi e la ricerca della “trascendenza, della bellezza attraverso la liturgia”. Questo fenomeno è avvenuto perché Benedetto XVI ha dato un impulso. Benedetto XVI, pur essendo aperto alle novità da giovane, ha saputo distinguere ciò che era riforma da ciò che era “deformazione”, anche “al limite del sopportabile” nella liturgia. La rinascita della Chiesa non viene dalla “presunta riforma di Bergoglio”, ma dalla “rinascita del sacro nei cuori”, che “non viene dal comando dall’alto”, ma “dal basso, cioè dallo spirito che soffia”. Spera che questi segnali di rinnovamento continuino.

Invita i cristiani a considerare il loro compito in attesa del Conclave: comunicare le preoccupazioni sui punti fondamentali della fede, parlare pubblicamente e scrivere soprattutto prima che i cardinali entrino in conclave, in modo che possano informarsi sulle “attese reali” dei battezzati. Tuttavia, la responsabilità della scelta è dei cardinali, che risponderanno a Cristo. Lo strumento più potente è la preghiera, affinché i cardinali siano guidati dallo Spirito Santo, liberi da ideologie o progetti. Si deve pregare “molto per questo” e chiedere l’intercessione della Madonna, specialmente a maggio, e di San Giuseppe.

Infine, Don Nicola definisce che tipo di figura servirebbe come prossimo Papa: qualcuno che si senta il “custode della Chiesa, non il padrone“, proprio come San Giuseppe. Un Papa che abbia una “funzione silenziosa, umile, meno esposta”, che “rimandi continuamente rinviare a Cristo“. Deve “schiacciare” o “sgonfiare il Papa come culto della persona” per non oscurare Cristo. Condivide un aneddoto su Cardinal Zen e l’accordo Vaticano-Cina per sottolineare le difficoltà nel dire la verità in certi contesti, ma ribadisce l’importanza di annunciare Cristo.

L’intervista si chiude con la reciproca gratitudine degli ospiti e l’augurio di tranquillità, fiducia, preghiera e unità per la Chiesa, affidandola a Cristo, a Maria e a San Giuseppe.





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