di Vincenzo Rizza
Caro Valli,
la risposta del prefetto del Dicastero per la dottrina della fede ai quesiti del cardinale Zuppi sulla conservazione delle ceneri dei defunti (qui) mi sembra l’ennesimo esempio di una Chiesa che naviga a vista, con incredibile ambiguità, e cerca di non scontentare nessuno.
Il copione è sempre lo stesso.
Si fa, innanzitutto, riferimento a precedenti determinazioni; nel caso di specie all’Istruzione Ad resurgendum cum Christo circa la sepoltura dei defunti e la conservazione delle ceneri in caso di cremazione, pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede nell’agosto 2016, che richiede che le ceneri siano “conservate in un luogo sacro (cimitero), e anche in un’area appositamente dedicata allo scopo, a condizione che sia stata adibita a ciò dall’autorità ecclesiastica”.
Si fa, quindi, una sommaria e approssimativa sintesi per precisare che la normativa precedente “conserva tutta la sua validità”, salvo poi, nelle conclusioni, e senza che vi sia una reale motivazione rinvenibile nel testo della risposta, precisare:
“Inoltre, posto che venga escluso ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista e che le ceneri del defunto siano conservate in un luogo sacro, l’autorità ecclesiastica, nel rispetto delle vigenti norme civili, può prendere in considerazione e valutare la richiesta da parte di una famiglia di conservare debitamente una minima parte delle ceneri di un loro congiunto in un luogo significativo per la storia del defunto”.
A parte l’excusatio non petita circa l’esclusione di “ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista”, senza spiegazione alcuna si autorizza l’autorità ecclesiastica a prendere in considerazione e valutare la richiesta di conservare “una minima parte” delle ceneri in un “luogo significativo per la storia del defunto”.
Dalla risposta non è chiaro, innanzitutto se, fermo restando che “le ceneri del defunto siano conservate in luogo sacro” (regola generale) la “minima parte” possa essere conservata in luogo non sacro purché “significativo per la storia del defunto” (eccezione alla regola). In effetti sembrerebbe questa l’interpretazione più plausibile non essendoci alcun riferimento nell’eccezione alla sacralità del luogo.
Quello che, tuttavia, più mi colpisce è il riferimento alla “minima parte” delle ceneri. Quale significato attribuire a questa affermazione? Un pizzico? Un nonnulla (come direbbe un celebre oste del Gambero Rosso)? O forse si intendeva dire, sempre riprendendo l’esempio culinario, q.b. (quanto basta)?
Alla fine, stabilisca ogni famiglia (per carità, con l’ausilio dell’autorità ecclesiastica, che non farà mancare il suo misericordioso e inclusivo assenso) quale sia la quantità minima sufficiente, e stabilisca anche quale sia il “luogo significativo per la storia del defunto” (la casa, lo stadio, il mare?) dove conservare parte delle ceneri.
La neo-chiesa à la carte è servita.
Caro Valli,
la risposta del prefetto del Dicastero per la dottrina della fede ai quesiti del cardinale Zuppi sulla conservazione delle ceneri dei defunti (qui) mi sembra l’ennesimo esempio di una Chiesa che naviga a vista, con incredibile ambiguità, e cerca di non scontentare nessuno.
Il copione è sempre lo stesso.
Si fa, innanzitutto, riferimento a precedenti determinazioni; nel caso di specie all’Istruzione Ad resurgendum cum Christo circa la sepoltura dei defunti e la conservazione delle ceneri in caso di cremazione, pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede nell’agosto 2016, che richiede che le ceneri siano “conservate in un luogo sacro (cimitero), e anche in un’area appositamente dedicata allo scopo, a condizione che sia stata adibita a ciò dall’autorità ecclesiastica”.
Si fa, quindi, una sommaria e approssimativa sintesi per precisare che la normativa precedente “conserva tutta la sua validità”, salvo poi, nelle conclusioni, e senza che vi sia una reale motivazione rinvenibile nel testo della risposta, precisare:
“Inoltre, posto che venga escluso ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista e che le ceneri del defunto siano conservate in un luogo sacro, l’autorità ecclesiastica, nel rispetto delle vigenti norme civili, può prendere in considerazione e valutare la richiesta da parte di una famiglia di conservare debitamente una minima parte delle ceneri di un loro congiunto in un luogo significativo per la storia del defunto”.
A parte l’excusatio non petita circa l’esclusione di “ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista”, senza spiegazione alcuna si autorizza l’autorità ecclesiastica a prendere in considerazione e valutare la richiesta di conservare “una minima parte” delle ceneri in un “luogo significativo per la storia del defunto”.
Dalla risposta non è chiaro, innanzitutto se, fermo restando che “le ceneri del defunto siano conservate in luogo sacro” (regola generale) la “minima parte” possa essere conservata in luogo non sacro purché “significativo per la storia del defunto” (eccezione alla regola). In effetti sembrerebbe questa l’interpretazione più plausibile non essendoci alcun riferimento nell’eccezione alla sacralità del luogo.
Quello che, tuttavia, più mi colpisce è il riferimento alla “minima parte” delle ceneri. Quale significato attribuire a questa affermazione? Un pizzico? Un nonnulla (come direbbe un celebre oste del Gambero Rosso)? O forse si intendeva dire, sempre riprendendo l’esempio culinario, q.b. (quanto basta)?
Alla fine, stabilisca ogni famiglia (per carità, con l’ausilio dell’autorità ecclesiastica, che non farà mancare il suo misericordioso e inclusivo assenso) quale sia la quantità minima sufficiente, e stabilisca anche quale sia il “luogo significativo per la storia del defunto” (la casa, lo stadio, il mare?) dove conservare parte delle ceneri.
La neo-chiesa à la carte è servita.
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