La dichiarazione "Fiducia supplicans" si fonda su premesse errate, anche sul piano naturale oltre che soprannaturale: non bastano due individui per fare una coppia.
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EDITORIALI
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Stefano Fontana, 20-12-2023
La teologia si serve della filosofia e questo accade anche quando la teologia incappa in qualche ambiguità o errore non adoperando la ragione come si conviene. Anche la Dichiarazione Fiducia supplicans del Dicastero per la Dottrina della Fede non può sfuggire a questa regola. Le sue impostazioni, per nulla convincenti sul piano teologico e dottrinale, dipendono anche da impostazioni per nulla convincenti su quello naturale e filosofico. Succede così che gli effetti negativi della nuova benedizione delle coppie omosessuali e transessuali si riversino non solo sul piano spirituale ma anche su quello morale e sociale, ponendo in crisi principi come l’origine della società e della famiglia da una coppia o il significato sociale della sessualità.
Il concetto di “coppia” ha un alto significato religioso, come testimonia la creazione da parte di Dio della prima coppia, ma ha anche un significato di semplice ragione. Due persone nello stesso scompartimento ferroviario non costituiscono una coppia. Se due persone vivono insieme ma, anche se consenzienti, si fanno violenza reciproca e si strumentalizzano non fanno una coppia. Di due amici si può dire che costituiscano una coppia solo in modo derivato e analogico. Solo lo sposo e la sposa costituiscono una coppia in senso vero e proprio. Il nuovo documento sulla benedizione delle coppie omosessuali su quale idea di coppia si fonda? Su quella del “buon senso” e del realismo della ragione che non si inventa ma rileva la realtà, o sull’artificio del narcisismo individualistico?
Una coppia non è il semplice accostamento tra due individui qualsiasi. Certo, posso avere in mano una “coppia d’assi”, posso avere una coppia di mele, o possedere una coppia di cani. Ma non è di questo che stiamo parlando quando adoperiamo il termine “coppia” con riferimento alle persone. La coppia nasce quando due persone si uniscono in modo complementare non in base ai loro impulsi o sentimenti individuali, ma in ossequio ad una vocazione, che comporta una regola a loro stessi indisponibile. La coppia non si costituisce, viene costituta. C’è una coppia quando i motivi per costituirla e viverla sono indisponibili anche ai due che vi entrano, per questo si può dire che sia la situazione di coppia a costituire i suoi due componenti piuttosto che il contrario. È la famiglia – come si sente dire spesso - a fare il papà, la mamma e i figli, non il contrario. La coppia è sempre più grande delle due persone che la compongono e non risulta dalla loro somma. Nella coppia non c’è aggregazione e tantomeno giustapposizione, ma integrazione complementare in un nuovo tutto, che possiede una sua logica organica e di vita indipendente e superiore alle parti. Per lo stesso motivo la coppia o è indissolubile o non è coppia, o è aperta alla vita o non è coppia. Da essa, infatti, comincia una vita che non dipende più dai due componenti. I componenti sono due, ma la coppia è più di due.
La coppia esige la complementarità tra le due parti, sicché è possibile solo tra uomo e donna. In altri casi la parola coppia o viene usata in senso analogico, come quella tra due amici, o in senso equivoco. La complementarità, ossia l’incontro tra due diversità personali per completarsi insieme, esprime il carattere naturale della coppia, il suo essere “secondo natura”. Se manca la complementarità, come nel caso di due persone dello stesso sesso, viene meno la dimensione naturale, quindi l’indisponibilità e la vocazione, ossia il vivere secondo una regola non propria ma della coppia. In questo caso non si ha nessuna coppia, ma l’accostamento strumentale e la violenza reciproca.
Abbiamo adoperato argomenti di sola ragione e ci siamo mossi sul piano semplicemente naturale. Il piano soprannaturale della grazia non nega mai la verità naturale delle cose, semmai la perfeziona. Quando dovesse negarlo diventerebbe inattendibile perché contrapporrebbe Dio creatore e Dio redentore. Questo deve valere anche per i sacramentali in genere e per le benedizioni in particolare. Ora, cosa dice la ragione naturale al Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede a questo proposito? Gli dice che quella coppia alla quale la Dichiarazione dice di doversi poter dare la benedizione non c’è, non è una vera coppia, ma è solo un aggregato sociologico inventato e frutto di desideri sregolati. Gli dice che si tratta di due individui non complementari tra loro e che nel loro stare insieme si strumentalizzano a vicenda e perfino si fanno violenza. Chi dà la benedizione li vede tutti e due davanti a sé, ne vede due appunto, ma non vede la coppia, non vede la loro unità che, se deriva da interessi irregolari, non costituisce alcuna unità.
Qui sta il grande errore naturale, prima che soprannaturale, della benedizione di una coppia omosessuale. Essa viene trattata come coppia mentre coppia non è. Nessuno può far essere ciò che non è, ma il sacerdote che dovesse benedire una coppia omosessuale pretenderebbe di far essere ciò che non è, con l’assurdo di contraddire, mentre benedice, la creazione e l’ordine finalistico che essa racchiude. Risulta inconsistente fino al ridicolo sostenere che, però, non si tratta di matrimonio. La coppia nel senso vero della parola c’è, almeno in linea di principio, anche nel matrimonio naturale, sicché quando il sacerdote, nella benedizione, trattasse da coppia una coppia che non c’è, è come se la trasformasse da coppia-che-non-c’è in coppia-che-c’è, quindi in matrimonio (naturale).
Alla Dichiarazione Fiducia supplicans bisogna opporsi, quindi, anche sul piano della ragione naturale.
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