Si spinge sul pluralismo etico, che però fa a pugni con la natura dell’uomo e lo disorienta. I gruppi che promuovono il pluralismo, poi, sono gli stessi che vogliono tacitare, in ogni modo, chi difende la morale naturale. Vedi l’assalto alla sede di Pro Vita.
Tommaso Scandroglio, 01-12-2023
In seguito all’attacco di un gruppo di transfemministe alla sede di Pro Vita & Famiglia, molti commenti hanno stigmatizzato l’azione violenta del collettivo e hanno sostenuto che la battaglia per l’aborto deve essere condotta pacificamente.
Il ragionamento sottintende che ci sarebbe la libertà di manifestare pacificamente a difesa dell’aborto. Come abbiamo sottolineato un paio di giorni or sono, la libertà non può che essere connessa con la verità e il bene della persona. Ergo non c’è libertà nel sostenere l’errore. Il male non può essere pubblicizzato, incoraggiato, diffuso. Dal punto di vista morale nessuna manifestazione, marcia, convegno si potrebbe lecitamente organizzare a favore del male, a favore ad esempio dell’aborto.
È il vecchio ma sempre attuale tema del pluralismo, il quale benedice la contemporanea presenza nel tessuto sociale di differenti e a volte antitetiche istanze morali, orientamenti culturali, principi valoriali e quindi di molteplici costumi, consuetudini, comportamenti sociali, stili di vita, eccetera. Il pluralismo etico, nell'ottica di chi lo promuove, sarebbe da accogliere con favore perché arricchente, perché permetterebbe di mettere in discussione le proprie tesi, consentirebbe agli interlocutori di assumere punti di vista inediti, stimolerebbe la propria libertà verso nuove scelte, etc. Va da sé che anche l’ordinamento giuridico dovrebbe ispirarsi al pluralismo così da riconoscere come giuridicamente valido qualsiasi fenomeno (pensiamo all’omosessualità) e così da elevare a diritto qualsiasi desiderio dei consociati, pena la compressione della libertà individuale, dell’autonomia del cittadino.
Ma la legge morale è unica – seppur si esprima in molteplici principi – perché l’uomo ha un’unica natura, una natura razionale. Per analogia pensiamo alla natura fisiologica del nostro corpo. Per come è fatto, alcune cose gli fanno bene e altre male. La struttura del nostro apparato digerente non tollera l’assunzione di pietre, ma, ad esempio, di pane sì. Un sasso fa male all’uomo, un panino fa bene. In modo analogo sul versante metafisico e quindi morale: alcune condotte fanno bene all’uomo, altre male. Per come è fatto l’uomo, questi tende alla vita e non alla morte, alla salute e non alla malattia, alla verità e non all’errore, alla trascendenza e non all’ateismo. Predicare la bontà dell’aborto è dunque come suggerire di ingoiare un sasso. È in contraddizione con la nostra natura. Non tutte le scelte, semplicemente perché percepite come buone, lo sono davvero. Il pluralismo fa a pugni con la natura dell’uomo che accetta alcune scelte e disprezza altre, perché alcune sono a lei consone (come è consono un pane per lo stomaco), altre no (come un sasso).
A tale proposito sono assolutamente pertinenti le seguenti riflessioni contenute nel documento della Congregazione per la Dottrina della Fede dal titolo Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica: «È oggi verificabile un certo relativismo culturale che offre evidenti segni di sé nella teorizzazione e difesa del pluralismo etico che sancisce la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della legge morale naturale. […] Avviene così che, da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più completa autonomia mentre, dall’altra, i legislatori ritengono di rispettare tale libertà di scelta formulando leggi che prescindono dai principi dell’etica naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi orientamenti culturali o morali transitori, come se tutte le possibili concezioni della vita avessero uguale valore. […] La storia del XX secolo basta a dimostrare che la ragione sta dalla parte di quei cittadini che ritengono del tutto falsa la tesi relativista secondo la quale non esiste una norma morale, radicata nella natura stessa dell’essere umano, al cui giudizio si deve sottoporre ogni concezione dell’uomo, del bene comune e dello Stato» (n. 2). E dunque il cristiano è «chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono “negoziabili”» (n. 3).
Se poi andiamo a vagliare i frutti del pluralismo etico sul piano sociale, constateremo che esso ha portato allo smarrimento sociale: non avere punti di vista oggettivi e condivisi ha prodotto generazioni di persone che hanno perso il senso della propria vita; alla frammentazione del corpo sociale: la pluralità di visioni porta alla divisione interna, non certo all’unità e dunque all’individualismo, a una società fortemente atomizzata; alla conflittualità generata dalla mancanza di unità sociale. E per sanare questa conflittualità ecco il richiamo alla tolleranza, all’inclusione forzata. Da qui il paradosso: si cerca di riparare un danno ricercato.
Poi esiste una valida accezione di pluralismo: il pluralismo metodologico. Se la morale è una perché una è la natura dell’uomo, non così le modalità per realizzare il bene morale. Sia il singolo, che i gruppi sociali che lo Stato dovranno trovare le soluzioni migliori per declinare i principi morali nel contingente. E mutando le condizioni spazio-temporali in cui si opera, dovranno altresì mutare, grazie ai suggerimenti della virtù della prudenza, le modalità per declinare nella storia gli immutabili principi della legge morale naturale.
Ma davvero viviamo in una società pluralista? Oppure dietro la facciata del pluralismo si nasconde il pensiero unico? La seconda domanda coglie nel segno. Non di rado, infatti, capita di osservare che chi apparentemente si fa alfiere di una concezione pluralista della società voglia in realtà silenziare alcune posizioni culturali non politicamente corrette, ossia contrarie alla vulgata corrente, per imporre un pensiero unico. E in tal modo, da una parte, si mette l’accento sul pluralismo laddove si vuole difendere la laicità dello Stato, l’emancipazione femminile, l’accoglienza indiscriminata e senza regole dell’immigrato, l’autodeterminazione nelle scelte di fine vita, le pratiche come l’aborto, l’eutanasia, la fecondazione artificiale, la contraccezione e i fenomeni sociali come il divorzio e l’omosessualità e la transessualità. Su altro versante il pluralismo cessa di essere un valore quando tutte queste “conquiste” del pensiero progressista vengono criticate. La voce dissenziente, in modo contraddittorio, non ha diritto di appellarsi al pluralismo, ma viene silenziata. D’improvviso si cessa di essere pluralisti e le uniche differenze accettate sono quelle che coincidono con il proprio punto di vista. Attenzione: la voce dissenziente non solo viene criticata – e questo potrebbe rientrare nelle regole del pluralismo – ma le viene negato il diritto di esistere. Viene quindi con violenza tacitata, schiacciata, repressa, incarcerata, vilipesa, sanzionata. L’assalto al fortino di Pro Vita & Famiglia è paradigmatico di questo fenomeno.
Dunque non esiste il pluralismo, ma solo il pensiero unico e chi non si allinea deve essere eliminato perché soggetto incivile che discrimina. Non esiste allora il relativismo, ma solo l’assolutismo del desiderio di alcuni che si impone sulla massa. Qualsiasi argomentazione contraria non viene presa in considerazione ma è unicamente fonte di ira e giudicata dogmatica, dispotica e fanatica. Nell’Evangelium vitae Giovanni Paolo II denunciava l’errore del relativismo, secondo cui «le norme morali, considerate oggettive e vincolanti, porterebbero all'autoritarismo e all'intolleranza» (n. 70). Ne consegue che il tiranno intollerante e autoritario deve essere abbattuto. Le transfemministe romane hanno dato prova di come imporre il pluralismo a suon di sputi, calci, spranghe e bombe.
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