lunedì 14 agosto 2023

Omosessualità, "Avvenire" rifiuta esplicitamente il Catechismo




Nella risposta ai dubbi di una lettrice, il quotidiano dei vescovi falsifica i pronunciamenti definitivi della Chiesa sul tema dell'omosessualità e perfino Amoris laetitia. Obiettivo: legittimare omo e transessualità con il pretesto dell'accoglienza delle persone. Ecco le prove.


IL CASO


ECCLESIA 


Una lettrice di Avvenire, la dottoressa Francesca Abbona, scrive al quotidiano dei vescovi appuntando un distinguo che pare che il giornale della CEI non faccia mai: bene accogliere le persone omosessuali e transessuali, ma non scordiamoci di richiamare la verità della Chiesa su omosessualità e transessualità. Così la lettrice: «In piena concordia sul fatto che ogni ragazzo e ogni persona vada ascoltata e accolta, non giudicata e trattata secondo carità, mi pare che parte di questa carità sia anche un atteggiamento di verità. Oltre alla difesa di ragazzi con orientamento sessuale omosessuale o ragazzi che esprimano di riconoscersi in un genere diverso da quello biologico, mi sembra che vadano difesi anche ragazzi sottoposti a una teoria sull’umano completamente nuova e con aspetti discutibili».


Risponde alla lettrice Luciano Moia, difensore d’ufficio delle tematiche LGBT in seno ad Avvenire. Sin dall’esordio il Nostro inciampa in un errore marchiano: «Si tratta di problema delicato e complesso che attende ancora, da parte della Chiesa, approfondimento più meditato e sereno». Falso. Non c’è da attendere alcuna risposta, perché la Chiesa si è pronunciata in modo definitivo più volte sulla tematica dell’omosessualità, come attestano i seguenti documenti: «Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Persona humana, n. 8). «Sono contrari alla legge naturale. In nessun caso possono essere approvati» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357); «Secondo l’ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile. Esse sono condannate nella Sacra Scrittura come gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio. Questo giudizio […] attesta che gli atti di omosessualità […] in nessun caso, possono ricevere una qualche approvazione» (Persona humana, n. 8); «La particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa dev’essere considerata come oggettivamente disordinata» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, n. 3); «La tendenza omosessuale è un disordine oggettivo […] e richiama una preoccupazione morale» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, n. 10); «Le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, n. 4).

Questi giudizi censori sull’omosessualità trovano il loro fondamento nella Parola di Dio. È di diritto divino positivo la condanna dell’omosessualità come peccato mortale, qualora sussistano la piena avvertenza e il deliberato consenso. Tra i molti luoghi citiamo San Paolo che dichiara esclusi dal Regno dei cieli anche gli effeminati (cfr. 1 Cor., 6, 10). Appoggiandosi a tale divieto divino il Concilio di Trento dichiara: «Difendiamo l’insegnamento della legge divina, che esclude dal Regno di Dio non soltanto gli infedeli, ma anche i fedeli impuri, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avari, ubriaconi, maledici, rapaci e tutti gli altri che commettono peccati mortali, da cui con l’aiuto della grazia potrebbero astenersi e a causa dei quali vengono separati dalla grazia del Cristo» (Sess. VI, Decreto sulla giustificazione, cap. XV).
Parimenti Giovanni Paolo II, commentando il passo paolino, così scrive nella Veritatis splendor: «Tale condanna […] enumera come “peccati mortali”, o “pratiche infami”, alcuni comportamenti specifici la cui volontaria accettazione impedisce ai credenti di avere parte all’eredità promessa. […] Sono atti “irrimediabilmente cattivi”, per se stessi e in se stessi non sono ordinabili a Dio e al bene della persona» (nn. 49, 81).

In merito alla transessualità (qui i motivi per cui è condizione contraria a morale) il Catechismo così disciplina: «Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale. […] Al di fuori di prescrizioni mediche di carattere strettamente terapeutico, le amputazioni, mutilazioni o sterilizzazioni direttamente volontarie praticate a persone innocenti sono contrarie alla legge morale» (nn. 2333, 2297). Una contrarietà che trova la sua radice morale in Genesi: «maschio e femmina li creò» (1, 26). Poi rammentiamo Benedetto XVI: «Il sesso […] non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: ‘Maschio e femmina Egli li creò”’ (Gen 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. […] Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda» (Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2012).

Inoltre ricordiamo il documento del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari: «Non si può violare l'integrità fisica di una persona per la cura di un male d'origine psichica o spirituale. Qui non si danno organi malati o malfunzionanti. Così che la loro manipolazione medico-chirurgica è un'alterazione arbitraria dell'integrità fisica della persona. È per questo che non si può correttamente assumere il principio di totalità a criterio di legittimazione […] della medicina e chirurgia transessuale» (Carta degli operati sanitari, n. 66, nota 148).

Quindi, al contrario di quanto scrive Moia, il Magistero è chiaro su omosessualità e transessualità. Moia poi afferma che, dopo che il Papa nell’ Amoris laetitia ha scritto che «ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto» (250), si sono aperti «scenari inediti». Ma in realtà la Chiesa da sempre ha affermato che bisogna accogliere le persone omosessuali (ma non la loro omosessualità). Basta andare a leggersi il n. 2358 del Catechismo e il n. 8 del documento Persona humana.

Poi Moia passa dal piano descrittivo al piano valutativo di segno positivo senza che il lettore se ne accorga: «Quindi, come scrive il Papa, l’orientamento sessuale non è univoco, esistono – come ben sappiamo – diversi approcci alla sessualità che, seguendo il ragionamento di Amoris laetitia non determinano gerarchie di rispetto e di dignità». Moia costruisce questo ragionamento semplice semplice d’impronta fenomenologica storicista: dato che esistono diversi orientamenti sessuali (in realtà solo due) allora sono tutti moralmente validi. Ma l’esistenza di una condotta o di una condizione non si autolegittima sul piano etico. Anche il furto, la menzogna e la violenza sessuale esistono, ma non per questo sono condotte moralmente lecite. Nemmeno Amoris laetitia arriva a dire questo sull’omosessualità.

E in merito alla dignità personale, occorre ricordare che dignità significa “preziosità”. Tale preziosità deriva dalla natura razionale della nostra anima. Tutte quelle condotte e condizioni che sono contrarie a ragione, come l’omosessualità, sono contrarie alla dignità della persona, contrarie al suo vero bene. Dunque non vi è dignità nell’omosessualità. Vi è dignità nella persona omosessuale, nonostante la sua omosessualità, perché in lui la preziosità intrinseca della sua anima razionale è rimasta intatta.

Moia prosegue scrivendo che «l’orientamento sessuale, quando profondamente radicato, è parte costitutiva della personalità individuale». Da qui la critica di Moia alle «pratiche “riparative” o “affermative”». Risponde al giornalista di Avvenire la Congregazione per la Dottrina della Fede: «Ai nostri giorni, contro l’insegnamento costante del magistero e il senso morale del popolo cristiano, alcuni, fondandosi su osservazioni di ordine psicologico, hanno cominciato a giudicare con indulgenza, anzi a scusare del tutto, le relazioni omosessuali presso certi soggetti. Essi distinguono - e sembra non senza motivo - tra gli omosessuali la cui tendenza […] è transitoria o, almeno, non incurabile, e gli omosessuali che sono definitivamente tali per una specie di istinto innato o di costituzione patologica, giudicata incurabile. Ora, per ciò che riguarda i soggetti di questa seconda categoria, alcuni concludono che la loro tendenza è a tal punto naturale da dover ritenere che essa giustifichi, in loro, relazioni omosessuali in una sincera comunione di vita e di amore, analoga al matrimonio, in quanto essi si sentono incapaci di sopportare una vita solitaria». Detto ciò il giudizio della Congregazione è netto: «Non può essere usato nessun metodo pastorale che, ritenendo questi atti conformi alla condizione di quelle persone, accordi loro una giustificazione morale» (Persona humana, 8).

Conclusione: la posizione di Moia e quindi di Avvenire non è cattolica perché rifiutano consapevolmente l’insegnamento del Magistero. La dottrina cattolica insegna l’accoglimento della persona omosessuale e transessuale e la condanna dell’omosessualità e della transessualità. Avvenire vuole invece accogliere la persona omosessuale e transessuale perché accoglie l’omosessualità e la transessualità.







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