venerdì 25 agosto 2023

Il modello cinese sta per crollare, spettacolarmente?





Spesso ormai la stampa segnala problemi strutturali nell’economia e della società cinese. Proprio in questi giorni si parla della crisi immobiliare e di altri sintomi che denotano gravi difficoltà [QUI]. Il nostro Osservatorio aveva studiato il fenomeno nel suo 13mo Rapporto di due anni fa [Il modello cinese: capital socialismo del controllo sociale]. Pubblichiamo qui sotto uno stralcio dell’articolo di Steven Mosher “Il modello cinese sta per crollare: spettacolarmente” pubblicato nel suddetto Rapporto. Il libro può essere ancora acquistato presso di noi.






Il ventre molle del Dragone: l’economia è un gigante secondo lo schema Ponzi



Di Steven Mosher, 25 AGO 2023

Se si guarda solo alla crescita della sua forza militare, al suo risultato economico, alla vastità del suo territorio e all’ampiezza della sua popolazione, la Cina controllata-dal-PCC appare come la forza dominante nell’Asia orientale e una superpotenza globale. Ma questa non è per niente tutta la storia.

Nonostante la Cina potenzi il proprio esercito a passo spedito, deve ancora raggiungere gli Stati Uniti in termini di aerei da caccia, cacciabombardieri, portaerei, testate nucleari, missili balistici e sottomarini.

Il reddito procapite è un altro ambito nel quale la Cina cade. Esso negli Stati Uniti è circa 64,000 dollari e si aggira attorno a questo livello nella maggior parte dei Paesi occidentali. Il reddito procapite della Cina, invece, è inferiore a 12,000 dollari, ossia per oltre il 50 per cento inferior a quello degli Stati Uniti. A causa del ristagno demografico e della sua incapacità ad innovare, la Cina fatica ad uscire da quanto gli economisti chiamano la “trappola del reddito medio” (middle income trap)”.

Per passare da un reddito molto basso – da cui era partita 40 anni fa – ad un reddito medio, la Cina dipendeva da un lavoro a basso costo operante in linee produttive di assemblaggio che producevano beni di scarso valore aggiunto. Il capitale straniero si riversò in Cina per attrezzare queste fabbriche, i cui prodotti ora sono sugli scaffali dei centri commercali americani. Ma questa strategia porta, in termini di reddito procapite, ad un picco massimo di soli 10,000 dollari.

Il percorso dal reddito medio al reddito alto, ritenuto di circa 20,000 euro procapite, è moto arduo. Bisogna convertirsi dalla produzione di beni di scarso valore aggiunto alla produzione di beni di alto valore aggiunto. Questo richiede una economia innnovativa in grado di creare e utilizzare processi sofisticati di alta tecncnologia.

I soli Paesi che hanno operato con successo per fare questo balzo dopo la Seconda guerra mondiale sono stati i quattro piccoli dragoni, come sono chiamati: Taiwan, Hong Kong, Singapore e Corea del Sud. Ogni altra economia in via di sviluppo, sia di grandi dimensioni (India, Brasile) che piccole (Cile, Sri Lanka) non è stata in grado di attuare questa transizione e continua a languire al livello dei Paesi a reddito medio.

Nonostante i suoi grandi investimenti in infrastrutture, la Cina resta un Paese a reddito medio, frenato da una cultura della corruzione e dalla mancanza di legalità, elementi che inibiscono l’innnovazione. Perché spendere miliardi in ricerca e sviluppo di nuove tecnologie quando puoi rubarle ad altri? I “campioni nazionali” della Cina, come l’industria hi-tech Huawei, si basano sulla tecnologia rubata agli Stati Uniti e ad altri Paesi che ora stanno iniziando a dare un giro di vite ai furti tecnologici della Cina.

Gli impressionanti tassi di crescita raggiunti dalla Cina negli scorsi decenni appartengono ormai al passato. Nel futuro immaginabile la Cina sembra destinata a rimanere un Paese a reddito medio, con centinaia di milioni di persone che vivono sotto il livello di povertà.

Questo minaccia il patto non scritto del popolo cinese con il Partito Comunista, per il quale il Partito promette sviluppo economico e aumento dei livelli di benessere in cambio dell’acquiescienza al suo ininterrotto potere. Se l’economia cinese ristagna e non riesce a creare lavoro, a produrre beni e a fornire servizi, il Partito Comunista cinese dovrà affrontare malcontento sociale e crisi esistenziali. Pechino affronterebbe una ondata di agitazioni popolari al cui paragone le dimostrazioni di Piazza Tienanmen del 1989 sembreranno ben poca cosa.

Anche prima della pandemia che il PCC ha fatto dilagare nel mondo, la Cina stava affrontando vari seri problemi economici strutturali che si sono velocemente accentuati. Primo e principale, il debito nazionale della Cina è ben oltre il 300 per cento del prodotto interno lordo ed è in aumento. Fallimenti e insolvenza aumentano nonostante il bailout delle banche di Stato. La creazione di maggior debito porterà il sistema bancario ancora più velocemente verso l’insolvenza.

A ciò si aggiunga una bolla immobiliare di misura grandiosa. Molti dei nuovi appartamenti e dei centri commerciali, creati con facili prestiti dalle amministrazioni locali, rimangono vuoti. La loro costruzione ha ingrossato i portafogli dei funzionari comunisti locali e ha anche creato lavoro e stimolato le imprese del vetro, dell’acciaio e del cemento. Ma una volta completati stanno lì, vuoti e improduttivi.

Il paesaggio cinese è ingombrato da simili “città fantasma”, costruite su terreni rubati agli abitanti dei villaggi vicini da funzionari rapaci che non si curano tanto della legge della domanda e dell’offerta finché ricevono le loro tangenti dalle banche e dalle imprese di costruzione. Si stima che in questo momento la Cina abbia sul mercato 70 milioni di appartamenti in attesa di compratori che, con ogni probabilità, non arriveranno mai. Disperati per pagare i clienti, i funzionari locali vengono ingaggiati nelle cosiddette campagne anti-povertà, nelle quali essi dichiarano inagibili e fanno demolire le case del villaggio locale per costringere gli abitanti a traslocare nei nuovi appartamenti e pagare l’affitto. Inutile dire che un simile modello di sviluppo non è sostenibile nel lungo tempo.

I dirigenti comunisti hanno cercato di favorire lo sviluppo mediante facili crediti aperti a soggetti collegati e rilevanti investimenti in grandiosi progetti infrastrutturali. Ma più della metà degli investimenti della Cina in infrastrutture sono come elefanti bianchi, strade e ponti che nessuno adopera, treni che nessuno guida. La Cina ha raggiunto il livello in cui pompare nuovo denaro nel suo modello di sviluppo non solo non produce crescita ma rallenta l’economia e anticipa il giorno in cui il gigante secondo lo schema Ponzi collasserà.

La leadership cinese sa che, quando accadrà, decine di milioni di migranti urbanizzati, arrivati nelle città sulla promessa che avrebbero trovato buone paghe, saranno espulsi dal lavoro. Molti di loro sono maschi, poveri, non istruiti e non sposati. Senza legami familiari a causa dell’uccisione delle bambine a seguito della politica del figlio unico, non pochi di loro sono inclini a comportamenti anti-sociali, abuso di droga e violenza.

Grandi disordini sociali seguiranno, minacciando la sopravvivenza di un regime già visto come illegittimo da molti, se non dalla maggior parte, del popolo cinese.

La bomba demografica cinese a tempo sta facendo tic-tac. Ed esploderà presto.

Nel 1980 stavo facendo una ricerca in una comune cinese, quando il gruppetto di anziani che guidavano la Cina istituirono improvvisamente la politica del figlio unico. Fui un testimone oculare del più orrendo programma di controllo delle nascite che il mondo avesse mai visto. Le donne incinte venivano arrestate e incarcerate per il crimine di aspettare un figlio, sottoposte a interminabili lezioni di propaganda su come – per il bene del Paese – dovevano abortire il loro bambino, e alla fine – consenzienti o meno – fatte abortire e sterilizzate.

La politica del figlio unico, mutatis mutandis, continuò per decenni. Essa comportò centinaia di milioni di aborti forzati e sterilizzazioni, e causò una enorme ondata di infanticidi femminili. Nei primi tempi le famiglie tenevano secchi d’acqua accanto ai lettini del parto così che, se fosse nata una bambina, sarebbe stata immediatamente fatta annegare. In seguito, l’avvento degli ultrasuoni condusse all’aborto selettivo di milioni di bambine non nate. La mia stima è che circa 60 milioni di bambine, nate o non nate, siano state uccise così.

Ovviamente questa politica fece crollare il tasso di natalità nel Paese più popoloso del mondo. Nel 2015, l’Ufficio Nazionale di Statistica della Cina riportava che le donne cinesi avevano una media di soli 1.05 figli. Si trattava del secondo più basso tasso di natalità nel mondo – solo Singapore era inferiore – e una ricetta per il suicidio demografico.

La Cina cominciò ad incoraggiare maggiori nascite nel 2016, quando per la prima volta fu allentata la politica del figlio unico, ma gli anni successivi hanno visto un continuo calo dei tassi di natalità. Nel 2020 sono nati solo 12 milioni di bambini, contro i 14.65 milioni dell’anno precedente. Si è trattato del numero di nascite più basso dalla grande carestia del 1961, quando 42.5 milioni di persone morirono di fame.

Di recente, il gruppetto di anziani che guidano la Cina ha deciso di permettere alle coppie cinesi di avere tre figli. Il sorprendente cambiamento, voluto dal dittatore comunista Xi Jinping e dai suoi colleghi del Politburo, segna un rovesciamento sbalorditivo dell’infame politica del figlio unico. La nuova politica del terzo figlio era necessaria. Il giornale di Stato Xinhua lo spiega bruscamente: “per rispondere attivamente all’invecchiamento della popolazione”. Nessuna spiegazione però viene fornita su come abbia avuto inizio questo invecchiamento. Essere l’avanguardia del proletariato – come i partiti comunisti definiscono se stessi – significa non dover chiedere mai scusa.

Limitarsi a dire che la popolazione cinese è invecchiata significa mettere in sordina il problema causato da 40 anni di controllo demografico. La Cina oggi non solo è invecchiata, è letteralmente in fin di vita e ogni anno riempie più bare che culle. I leader comunisti sono sempre più preoccupati di avere un umero sufficiente di lavoratori e di soldati per le fabbriche e l’esercito del futuro.

Nello stesso tempo, è indubbio che la politica del terzo figlio avrà successo, almeno fino a quando rimarrà volontaria. Il problema vero è però dato dalle giovani donne decimate durante i decenni dalla politica del figlio unico. Le bambine venivano abortite, uccise alla nascita, destinate a morire dai dieci milioni di genitori cinesi disperati di avere un figlio. Semplicemente ci sono troppe poche donne in età fertile per compensare l’imminente crollo demografico – a meno che ognuna di esse non abbia tre figli. Ma non posso immaginare una combinazione di carote così allettante da indurre una donna cinese, urbanizzata e occupata nel lavoro a dedicare se stessa alla maternità in questa misura.

Infatti, le giovani donne in Cina hanno risposto a questo nuovo invito pro-natalità con scherno – o almeno con la cosa più somigliante allo scherno che i censori comunisti possono permettere ai post sui social media. “Non mi fa divertire” ha postato su Weobo un commentatore circa la nuova politica. “Le coppie sposate hanno quattro genitori anziani da curare. Se aggiungi anche tre bambini significa che non vuoi avere una vita”.

Naturalmente, se la persuasione non funziona si può facilmente immaginare che i leaders della Cina possano ricorrere alla costrizione. Come ha scritto il professore Nie Shengzhe nel 2018 “Solo la forte leadership del partito può risolvere questo problema . . . di un catastrofico declino demografico. Le sue proposte, riprese poi da altri, comprendono: –  I quadri del partito devono essere i primi ad avere due, tre o quattro figli, e devono promuovere quadri di partito che abbiamo più figli; – il Comitato Centrale del Partito deve stabilire uno stretto controllo sulla vendita di preservativi e contraccettivi e proibire agli ospedali di praticare gli aborti, – il dipartimento della propaganda del partito deve vigorosamente diffondere l’idea che “più figli portano più benedizioni” e “uno è troppo poco, due non è sufficiente, tre va bene, quattro è l’ottimo”, – i membri di partito in età feconda che usano contracccettivi devono essere puniti”.

Xi Jinping esiterebbe ad imporre simili misure all’intera popolazione cinese? No, se egli ricorda i detti del presidente Mao Zedong a questo proposito. L’ultimo presidente – che per Xi è il modello in ogni campo – disse in un famoso discorso del 1957 che “La riproduzione deve essere programmata. Secondo me, il genere umano è completamente incapace di programmare se stesso. Ha programmi di produzione nelle fabbriche, per produrre tessuti, tavoli e sedie, e acciao, ma non ci sono programmi per produrre gli umani”.

Annunciando la politica del terzo figlio, Xi Jinping ha detto chiaramente di volere “produrre più umani”. Nessuno che sia stato testimone della brutale coercizione della politica del figlio unico lungo gli anni – come è capitato a me – può dubitare che egli abbia i mezzi per realizzare questo piano. Prevedo che, entro pochi anni, verremo considerati né più né meno che come “gravidanza forzata” in Cina da un Partito Comunista disperato di aumentare i tassi delle nascite.

Ma qualunque politica il partito adotti, sarà o troppo piccola o troppo in ritardo. I bambini abortiti 20, 30, e 40 anni fa sono i lavoratori che mancano oggi. Già nel 2016, in Cina mancavano 4 milioni di lavoratori. E negli anni a venire sarà anche peggio. Il Paese perderà più di un milione di lavoratori nei prossimi decenni, quando chi andrà in pensione non sarà sostituito da nessuno.

La crescita dell’economia cinese dal 1995 al 2010 si è basata su una notevole disponibilità di lavoratori a bassa specializzazione e per facili lavori di assemblaggio nelle catene di montaggio. Ora l’offerta di manodopera sta finendo, e le manifatture di assemblaggio stanno traslocando in India, Vietnam e Messico. Si aggiunga tutto questo alla sua incapacità di innovazione a causa della corruzione rampante e al furto di proprietà intellettuale, e la Cina apparirà catturata nella trappola del reddito medio.

La Cina potrebbe sfuggire a questa trappola mediante il peso dei numeri, ma le decine di milioni di produttori (e consumatori) a basso costo che ciò richiederebbe è stato ucciso dalle “genialità” del Partito Comunista Cinese.

Xi Jinping può annunciare la politica del terzo figlio fin che vuole. Egli ha la possibilità di obbligare ogni giovane donna cinese ad obbedire, che voglia a no. Ma ci vuole una generazione prima che il bambino della “politica del terzo figlio” raggiunga l’età del lavoro, troppo tardi per potere fare la differenza nella crisi demografica ed economica che ora lentamente sta surclassando la Cina. La bomba a tempo della demografia, che è stata costruita in quarant’anni, è esplosa e trascina con sè il sogno del Partito Comunista Cinese di dominio sul mondo, se non anche il Partito stesso.

Steven Mosher

(Traduzione dall’inglese di Benedetta Cortese)





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