giovedì 17 agosto 2023

Ciò che ci insegna la vicenda di Murgia: siamo pecore senza pastori


Funerali di Michela Murgia







di Miguel Cuartero Samperi, 17 agosto 2023

La storia di Michela Murgia, in particolare il suo funerale e il rumore mediatico suscitato in questi ultimi giorni, ci insegna tante cose. Più sulla Chiesa che sulla sua persona.

Insegna che si può essere cattolici e, al tempo stesso, rifiutare la dottrina cattolica.
Che ci si può definire cattolici e, al tempo stesso, portare avanti battaglie per la famiglia omosessuale, contro il matrimonio, per l’eutanasia e per l’aborto. In altre parole, dirsi cattolici e contribuire a diffondere quella che Giovanni Paolo II definì “cultura di morte”, di cui la nostra società è già abbondantemente impregnata.

Ancora, la vicenda di Michela Murgia insegna che pur essendo in aperto e pubblico contrasto con la dottrina cattolica ci si può definire teologi cattolici e pubblicare le proprie riflessioni con una delle più prestigiose case editrici del panorama editoriale cattolico (cfr. Aa.Vv., Mascolinità in questione, Queriniana 2021) e vedersi pubblicare un abstract nientemeno che sull’Osservatore Romano.

Viviamo tempi di cattolicità fluida in cui è difficile trovare una bussola che indichi la verità. Anche tra i pastori c’è chi dissente ormai pubblicamente dalla dottrina cattolica nel nome della misericordia, del dialogo e dell’accoglienza. Persino il neo-prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede prevede la possibilità di una forma di benedizione per le coppie omosessuali (in qualche modo… in qualche senso… senza creare confusione… mantenendo i distinguo… senza che sembri… Ma, comunque, una benedizione dell’unione).

Tuttavia, la vicenda di Michela Murgia va oltre. Ci insegna che pur essendo contrari alla dottrina si può salire in cattedra (ormai ognuno ha una cattedra) e venir applauditi da chi viene apertamente contestato. Una sorta di complesso di inferiorità? O forse una manifesta sindrome di Stoccolma?

Sta di fatto che Murgia ci insegna che nonostante tutto un funerale in Chiesa non si nega a nessuno. Non si nega ormai neanche ai massoni, neanche a chi non crede. Figuriamoci se si dovesse negare a chi crede a modo suo, nei propri dogmi e nei propri catechismi.

Ciò che sorprende è che – nonostante tutto ciò che lei rappresenta e ha rappresentato – il funerale diventi un encomio della sua fede. Che meriti l’onore di una lettera da parte del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (non si capisce se in qualità di semplice cattolica, di teologa femminista, di scrittrice di successo o di intellettuale di sinistra). Come fu per Pannella, radicale anticlericale, si elogiano le battaglie combattute senza entrare nel merito e nei contenuti, creando così dubbi e arrecando ferite nel cuore dei fedeli.

Sorprende soprattutto che l’officiante (concelebrava il direttore de la Civiltà Cattolica, maggiore interprete del pensiero di papa Francesco) ci regali durante l’omelia un elogio funebre degno di un profeta inascoltato o di una madre Elvira (che ci ha lasciato in questi giorni morendo, lei sì, in silenzio e in odore di santità, dopo una vita donata a Dio e al prossimo).


“Ha combattuto tante battaglie” ha affermato don Walter, mettendo in ballo nientemeno che San Paolo, “e ha conservato la fede”. Sappiamo bene quali battaglie la Murgia ha combattuto: la lotta al fascismo (battaglia sempre fuori tempo massimo ma sempre di moda), i diritti LGBT, le famiglie “queer”, l’uso della consonante neutra per contrastare il patriarcato, l’aborto e l’eutanasia. Contenuti “apertamente in contrasto con l’insegnamento della Chiesa e della dottrina cattolica” come affermato dal Vescovo di Ventimiglia mons. Suetta. Non certo la “buona battaglia” della fede a cui si riferisce l’Apostolo.

Difficile invece è capire quale fede ha conservato. Una fede ibrida e liquida basata sulle proprie convinzioni? Una fede ritagliata su misura alle esigenze del mondo? Una fede fai-da-te? Una fede in un personalissimo Dio che tutto concede e tutto approva purché si ami e “volemose bene”? Una fede del tipo “credo in Dio ma non nei preti” di sessantottina memoria? Oppure la fede di chi, di fronte alla morte, riflette e si pente delle proprie scelte sbagliate per abbracciare la vera fede?

Possiamo concedere il beneficio del dubbio ma non sembra ci sia stata una ritrattazione e un pentimento in articulo mortis. Cosa significa, in fondo, “conservare la fede”? Sono sicuro che don Walter, persona intelligente ed equilibrata, saprà presto spiegarlo a tante persone (chiamiamole semplici, chiamiamole bigotte, chiamiamole con papa Francesco “indietriste”, oppure chiamiamole semplicemente cattoliche) che si sono sentite ferite e scandalizzate dalle sue parole. Parole accolte tuttavia con orgoglio dalla “comunità” presente alla cerimonia: compagni (con la C maiuscola) di una vita dedicata alle battaglie politiche di sinistra che hanno animato la celebrazione con cori politici e grida da stadio. Lei, scrittrice e intellettuale diventata bandiera delle istanze politiche più estremiste.

Un altro aspetto sorprendente è che la scrittrice Michela Murgia venga oggi stata definita “controcorrente” per le sue battaglie e le sue opinioni. Sorprende, perché le sue posizioni coincidono esattamente col pensiero mainstream, o meglio col pensiero unico che ha oggi a disposizione tutti i mezzi possibili di divulgazione: dai giornali alle tv, dalle multinazionali alle organizzazioni sovranazionali, dai magnati filantropi (Gates, Soros, Zuckerberg…) ai politici più considerati (Biden, Macron, Zelensky, l’Unione Europea), dalla Disney e Netflix alle scuole statali.


Definire controcorrente una persona che ha promosso i valori dominanti, il verbo sostenuto dal potere è quantomeno sorprendente. Così come stona definirla una donna di fede al punto di offrirla come esempio da seguire. Come se oggi fossero pochi i cattolici (in politica e nelle parrocchie, nonché alla guida delle diocesi) che già simpatizzano per le politiche di sinistra, per i diritti civili, per l’aborto e per l’autodeterminazione. Insomma, per una fede fluida che si sposa col pensiero del mondo e non scontenta nessuno.

Una volta si chiedevano preghiere per la salvezza dell’anima (anche di quella apparentemente più pia perché solo Dio conosce le profondità del cuore) e ci si appellava alla misericordia divina che tutto può perdonare. Oggi invece si celebra la fede di chi ha combattuto la Chiesa spacciando per libertà l’errore e per “opportunità di approfondimento” e “ricerca appassionata” la pubblica opposizione alla dottrina. Non solo nei media laici, ma anche in quelli cattolici. Non solo in tv ma anche dal pulpito delle Chiese.

Per come va il mondo e per come va la Chiesa, potremmo sembrare semplicemente dei bacchettoni. Ma non si tratta come molti hanno insinuato, insinuano e insinueranno, di “violenza giudicante”, di “attacchi post-morten” o di “dimenticare il Vangelo” ma di difendere la luce chiara e limpida della verità in momenti di confusione e di dubbio, di chiaroscuri voluti e ricercati nel nome del dialogo, dell’apertura e della accoglienza. C’è infatti una verità e c’è una falsità e su questo punto, per quanto i chiaroscuri siano comodi e confortevoli, non ci può essere confusione. Neanche usando il Vangelo a proprio piacimento.

Resta quindi una domanda su ciò che siamo e ciò che vogliamo essere come cattolici in un mondo sempre più lontano dalla fede.
Se certe battaglie sono oggi considerate giuste e necessarie, e dopo averle combattute qualcuno affermerà candidamente che abbiamo conservato la fede, resta la sensazione sempre più netta di doversi considerare pecore senza pastore. O senza pastori. In mezzo ai lupi. Non resta che tenersi duro alla barca in tempesta e svegliare Cristo. Appoggiarsi a lui e seguendo il deposito della fede trasmesso dagli Apostoli. Sicuri che Dio tornerà a suscitare pastori secondo il suo cuore.






Nessun commento:

Posta un commento