Anche nella Chiesa si tende a seguire l'esempio della «società liquida»: scelta errata e rovinosa. In un mondo «liquido», dove tutto diventa incerto, precario, provvisorio, è proprio della stabilità e della fermezza della Chiesa cattolica che non soltanto i credenti ma l’umanità intera avrebbe bisogno.
Pubblichiamo un articolo tratto dai "Vivaio" scritti da Vittorio Messori e raccolti in cinque volumi pubblicati dall'editrice SugarCo. Quello che segue è tratto dal volume La luce e le tenebre, 2021.
Ha fatto fortuna la formula del sociologo ebreo polacco Zygmont Bauman, secondo cui ciò che caratterizza questo nostro tempo, che diciamo postmoderno, è l’avere creato una «società liquida». Società, cioè, dove tutto è instabile e mutevole: si pensi al lavoro, che ha visto il «posto fisso» divenire un inquietante impegno precario. Si pensi alle migrazioni dei popoli con spesso le unioni sponsali tra etnie diverse, alla famiglia che ha lasciato il posto alle unioni senza vincoli legali o religiosi, al rapido cambio di costumi sessuali per i quali, tra l’altro, si vuole rendere incerta persino l’appartenenza al maschile o al femminile. E si pensi alle classi politiche che hanno rinunciato a piani e progetti di lunga durata per governare – quando ancora ci riescono – a vista, se non alla giornata.
Questo quanto alla società. Ma, in una prospettiva religiosa, il credente è inquietato dal fatto che anche la Chiesa cattolica – che era esempio millenario di stabilità – sembra voler diventare «liquida» essa pure. In una sconcertante intervista, il generale dei gesuiti, il sudamericano Arturo Sosa, ha «liquefatto» il Vangelo stesso: poiché, ha dichiarato in una intervista, le parole di Gesù non sono state tramandate dal nastro, o disco che sia, di un moderno registratore, noi non sappiamo esattamente ciò che Egli abbia detto. Dunque, possiamo «adattare» il Vangelo a seconda dei tempi, delle necessità, delle persone. Tanto, non sappiamo quali siano state le parole esatte di Gesù. Lo stesso Sosa dice di non amare la parola «dottrina», dunque neanche i dogmi, perché «sono parole che ricordano la durezza delle pietre», mentre la fede cristiana deve essere duttile, adattabile. Insomma, deve diventare «essa pure liquida». Alla salute, naturalmente del Cristo che volle la sua Chiesa fondata sulla pietra.
Ma un altro gesuita, egli pure sudamericano, nientemeno che il papa stesso, in una delle tante interviste che dà alle persone più diverse, nei luoghi più diversi – in aereo, in piazza San Pietro, per strada – ha ripetuto ciò che è uno dei cardini della sua strategia di insegnamento e di governo: «La tentazione cattolica da superare è quella dell’uniformità delle regole, della loro rigidezza, mentre invece bisogna giudicare e comportarsi caso per caso». Il termine che papa Francesco usa più spesso è «discernimento»: è una vecchia tradizione della Compagnia di Gesù che però, sino ad ora, non era giunta a «interpretare» liberamente anche il dogma, a seconda delle situazioni. Com’è successo in alcuni documenti ufficiali a sua firma, che hanno suscitato le perplessità (per usare un eufemismo) anche di alcuni cardinali.
Ebbene: pur con tutta l’umiltà doverosa, mi pare che sia errata e dannosa per la Chiesa e per la fede una simile scelta. Mi sembra, anzi, che occorrerebbe giusto il contrario. In un mondo «liquido», dove tutto diventa incerto, precario, provvisorio, è proprio della stabilità e della fermezza della Chiesa cattolica che non soltanto i credenti ma l’umanità intera avrebbe bisogno. Quei dogmi come pietre, cui è allergico il generale della Compagnia di Gesù, potrebbero e dovrebbero divenire per tanti l’approdo saldo, in una società che si sfalda e tende a spappolarsi caoticamente. Non a caso, minacciati dall’instabilità dell’acqua, gli uomini da sempre, ma oggi in modo particolare, cercano un porto sicuro, dove quell’acqua sia calma.
È di certezze ribadite e difese, non di opinioni innumerevoli e cangianti, che abbiamo bisogno. Uno dei simboli della Chiesa cattolica era una quercia vigorosa, trattenuta saldamente in terra da robuste radici. È davvero giovevole alla fede sostituire la quercia con una canna pieghevole in ogni senso, ad ogni soffio d’aria, ad ogni desiderio o moda umana?
Forse è proprio questo il momento di riscoprire, applicandolo alla Chiesa intera, l’antico e bel motto dei certosini: «Stat crux dum volvitur orbis», la croce sta salda mentre il mondo gira. Ci occorre più che mai la salda chiarezza del catechismo più che gli infiniti e sempre mutevoli «secondo me», gli infiniti pareri di cui è pieno il mondo. Il protestantesimo ha seguito questa strada e la storia ha mostrato dove essa portasse. Ma purtroppo, come al solito, la storia non è magistra vitae.
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