giovedì 31 marzo 2022

Sulla guerra. Impossibile vivere con il male come se non ci fosse







Silvio Brachetta, 31-03-2022

Prima di dire qualcosa della guerra, o della dottrina cattolica sulla guerra, è importante definire la pace, in senso cristiano. La parola «pace», nel Vangelo, non è univoca e ha un duplice significato. C’è la pace di Cristo, innanzi tutto: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi»[1]. C’è, dunque, una pace di Dio e una pace del mondo, che non viene da Dio. Di questa pace mondana, Cristo dice: «Non crediate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettervi la pace, ma la spada»[2].

Si tratta, in questo caso – scrive san Tommaso d’Aquino –, della «pace cattiva», avversata da coloro che «fanno delle guerre giuste», i quali «hanno di mira la pace» di Cristo[3]. San Tommaso, assieme a tutta la tradizione apostolica[4], distingue tra pace buona e pace cattiva, così come tra guerra giusta e guerra ingiusta. Del resto Tommaso cita in abbondanza sant’Agostino d’Ippona, in questa sua questione sulla guerra. Agostino, a sua volta, è sostenuto dall’insegnamento di san Giovanni Battista – e quindi della Rivelazione – che dice ai militari: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe»[5]. Non dice loro che «viene proibito il mestiere del soldato», aggiunge Tommaso.

Guerra giusta e ingiusta

Tre cose si richiedono – afferma Tommaso – perché una guerra sia giusta: che sia proclamata dal principe (dal potere politico) a motivo di difesa; che vi sia una «giusta causa», ovvero una «colpa» evidente nel nemico da combattere; che l’intenzione di chi combatte sia retta e non sostenuta da cupidigia o crudeltà. È, infatti, Agostino a dire che «si sogliono definire giuste le guerre che vendicano delle ingiustizie» e san Paolo a insegnare che il principe «non porta la spada inutilmente», poiché «è ministro di Dio e vindice nell’ira divina per chi fa il male»[6].

Come mai, allora, Gesù ha detto «Tutti coloro che prenderanno la spada periranno di spada.»[7]? Anche qua risponde Agostino: il «magistero divino ha fatto delle eccezioni alla legge di non uccidere»[8]. E le eccezioni sono queste: i «casi d’individui che Dio ordina di uccidere sia per legge costituita o per espresso comando rivolto temporaneamente a una persona». Detto con più chiarezza: «non uccide chi deve la prestazione al magistrato» e «non trasgrediscono affatto il comandamento […] coloro che han fatto la guerra per comando di Dio ovvero, rappresentando la forza del pubblico potere, secondo le sue leggi, cioè a norma di un ordinamento della giusta ragione, han punito i delinquenti con la morte»[9].

Quanto poi alla guerra ingiusta, ne tratta ancora Agostino, citato da Tommaso nella Summa: «Sono giustamente riprovate nella guerra la brama di nuocere, la crudeltà nel vendicarsi, lo sdegno implacabile, la ferocia nel guerreggiare, la smania di sopraffare, e altre cose del genere»[10]. In questo caso l’uomo ridiventa un omicida e la guerra è illegittima.

Guerra e Provvidenza


Giusta o ingiusta, la guerra resta però un orrendo spargimento di sangue e un grande male, anche per via dei molti innocenti coinvolti. Benedetto XV, riferendosi al primo conflitto mondiale, definisce questa guerra «calamità», «follia universale», «carneficina» e «inutile strage»[11]. Specialmente la guerra moderna ha coinvolto non solo i militari, ma anche i civili giungendo, nel XX secolo, a provocare la morte di milioni di persone. Questo tipo di guerra andrebbe certamente evitata, ricordando che fino al Medioevo ed oltre la guerra era affare quasi esclusivo dei militari e degli eserciti; e non contemplava nemmeno la leva di massa, sopraggiunta con la modernità.

La divina Provvidenza permette la guerra, così come altre catastrofi (alluvioni, terremoti, epidemie), perché Dio sa trarre il bene anche dal male causato dall’uomo. L’uomo è autore diretto delle guerre e responsabile indiretto dei cataclismi naturali, che la divina giustizia consente a causa del peccato umano, originale o attuale. La guerra, come attesta la Scrittura, non abbandonerà mai la storia, sebbene possano verificarsi lunghi o brevi periodi di non belligeranza. Si tratta della «pace cattiva» di san Tommaso, della pace mondana, in cui la tregua delle armi non corrisponde alla pace secondo il volere di Dio, che si può avere solo con la penitenza e la conversione del cuore.

Sembra da escludere, inoltre, che la guerra – in senso globale – possa essere un bene, anche se combattuta da alcuni a fin di bene. Per un esercito che si difende, infatti, ce n’è uno che attacca: il conflitto che si origina è dunque cattivo nel suo insieme, anche solo a causa degli innocenti coinvolti.

Paradiso e pace socialista


La guerra è un mistero, che però l’uomo può e deve accostare, con l’aiuto della grazia. È, anzi, solo per mezzo del cristianesimo e della Rivelazione che può venire una qualche luce all’intelletto umano. Ne è convinto, tra altri, il filosofo russo Nikolaj Berdjaev (1874-1948), che pone la lotta, anche sanguinosa, tra gli uomini come il «frutto del dissidio del peccato»[12].

La guerra, secondo Berdjaev, è «un grande bene» e «un grande male» allo stesso tempo, essendo «antinomica per natura». Nella guerra vi è tutta la contraddizione e la tragedia dell’umana esistenza, essendovi in essa una continua tensione tra l’odio e l’amore, così come tra l’ombra e la luce. Eppure la guerra viene a mettere in crisi – nel senso di sconfessare apertamente – gran parte delle suggestioni moderne e socialiste, per le quali tutto è misurabile e prevedibile (razionalismo, positivismo, scientismo), oppure tutto è pace fraterna senza espiazione (socialismo, pacifismo), o ancora tutto è fisso (democratismo), mentre la storia è un evidente «dinamismo». La modernità, insomma, nega la realtà stessa dell’uomo, come individuo e come essere sociale.

Gli scopi della guerra sono troppo misteriosi e incomprensibili per un razionalista, sono troppo meschini per chi crede che con la morte fisica finisca tutto e, soprattutto, per chi non riconosce che il mondo ha una vocazione, un telos, un significato che deve compiersi – ogni cosa, cioè, è in «lotta per realizzare il proprio fine nel mondo». Inutilmente la pretesa democratica cercherà di razionalizzare la guerra, come inutilmente la rivoluzione cercherà d’imporre il paradiso sulla terra, nonostante sia ben chiaro che «la nostra vita pacifica è piena d’odio e di rancore».

Qua Berdjaev è molto chiaro: il rivoluzionario s’illude che sia possibile «convivere con il male come se non ci fosse», convinto che il movimento della pace vada dall’esterno all’interno, dalle istituzioni al cuore. L’ideologia socialista predica pace e fratellanza, creando però solo «simulacri esteriori». Al posto dell’Apocalisse – che descrive la fondazione della Gerusalemme celeste dopo la restaurazione interiore del cuore umano – il rivoluzionario sostituisce il Millenarismo – che, al contrario, fonda la Gerusalemme nel secolo e pretende che sia santa per umana virtù.

Via del penitente e dovere del principe


Con il Millenarismo socialista, ateo e pacifista, poi, si pone la guerra alle spalle e l’avvenire radioso nel futuro. Non così insegna l’Apocalisse di Cristo: alla fine della storia vi saranno conflitti terribili, fame, pestilenza e ingiustizia. Lungo tutta la storia vi è una «lotta tremenda» tra «il regno dell’anticristo e il regno di Cristo»; per questo motivo «il sentimento apocalittico della storia è tragico».

Berdjaev non intende dire affatto che la via da seguire sia l’appoggio alle guerre. Tutt’altro: «È peccato desiderare solo la guerra e inebriarsi di essa. È empio. Bisogna desiderare anche la pace, bisogna sentire l’afflizione e l’orrore della guerra». Però «la guerra non è un male in sé, ma è piuttosto legata al male, è una conseguenza del male più profondo», che ha origine nel peccato. Berdjaev rimprovera alla modernità di essere superficiale ed ingenua, poiché cercando (invano) di eliminare la tensione, il pathos, tra bene e male, essa esce dalla concretezza e si rinchiude nella fantasia.

È fantasia credere che l’ordine e la tranquillità siano definitivi e oramai acquisiti. Ed è pure una fantasia pensare che le nazioni e gli stati non nascano dalle annessioni armate. La polemos di Eraclito regge il mondo e Berdjaev si limita in fondo a dire che la guerra non è contro l’ordine del mondo, ma è prevista da esso. Tra nazioni e stati vi è, inoltre, una tensione o «forza ontologica», che impone di andare a perfezione nell’essenza. È chiaro che si va a perfezione nella pace del cuore e nella misericordia, ma non tutti gli uomini scelgono questa strada – e ve ne saranno di costoro fino al giorno del giudizio. Costruire pace e fratellanza, allora, significa in Berdjaev un duplice atteggiamento nei confronti delle vicende storiche: cercare la pace e la conversione (via del penitente), ma anche proteggere le esigenze della giustizia (dovere del principe).



(Foto: Opera di Giulio Aristide Sartorio)



[1] Gv 14, 27.

[2] Mt 10, 34.

[3] S. Th., IIª-IIae, q. 40, art. I. Tutta la quaestio 40 tratta della guerra.

[4] È la dottrina degli apostoli, diffusa, interpretata e codificata dai Padri e dai Dottori della Chiesa.

[5] Lc 3, 14.

[6] Rm 13, 4.

[7] Mt 26, 52.

[8] Agostino d’Ippona, De civitate Dei, I, 21.

[9] Ivi.

[10] S. Th., cit., ibidem.

[11] Benedetto XV, Lettera ai capi dei popoli belligeranti, 1 agosto 1917.

[12] N. Berdjaev, “Sulla guerra”, in Lettere ai miei nemici. Filosofia della disuguaglianza, La Casa di Matriona, Milano 2014, pp. 233-245. Tutte le citazioni successive, ove non diversamente specificato, sono tratte da qui.






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