giovedì 10 marzo 2022

La Chiesa italiana può accettare il suicidio assistito?










Intervista a Stefano Fontana

di Philippe Maxence
pubblicata su “L’Homme Nouveau”
 

Febbraio 2022
www.hommenoveau.fr


Il numero 1754 (febbraio 2022) della rivista francese “L’Homme Nouveau” ha pubblicato un Dossier sul tema del suicidio assistito in Italia, ospitando tra l’altro una intervista del direttore Philippe Maxence a Stefano Fontana, che qui proponiamo ai lettori italiani.


Perché il tema del suicidio assistito divide oggi l'Italia e la Chiesa cattolica?


Il parlamento italiano discuterà nei prossimi giorni la proposta di legge sul “suicidio assistito”, dopo averlo già fatto il 13 gennaio scorso. Purtroppo con un articolo a firma di Padre Carlo Casalone “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei Gesuiti italiani, ha aperto alla possibilità di aderire da parte cattolica a questa legge, sostenendo che in questo modo si può evitare il male peggiore di un referendum popolare che potrebbe liberalizzare ancora di più l’assistenza al suicidio. Gran parte del mondo cattolico ha apertamente contestato questa impostazione perché quando si parla di azioni intrinsecamente cattive il cosiddetto male minore è già il male maggiore. Invece la parte del mondo cattolico progressista, a capo della quale si trova ormai proprio “La Civiltà Cattolica” diretta da Padre Antonio Spadaro, un tempo baluardo dell’ortodossia, è disponibile alla discussione e, quindi, a che si voti la legge. Questa proposta di legge divide sia il mondo laico che quello cattolico in quanto ripropone il tema dei “principi non negoziabili” di cui l’etica naturale e cristiana non può fare a meno. La divisione è tra chi ammette la legge morale naturale (e divina) e chi no. La dottrina dei “principi non negoziabili” era stata un merito di Benedetto XVI, ma ora è stata dimenticata e nemmeno i vertici ecclesiastici la difende più.

 
Come direttore dell'Osservatorio Cardinale Van Thuân sulla Dottrina Sociale della Chiesa, come vede questo problema?

Il nostro Osservatorio e io stesso con alcuni miei articoli abbiamo reso pubblica la nostra assoluta contrarietà alla legge in discussione come anche alla partecipazione dei parlamentari cattolici alla sua approvazione. Esistono dei divieti morali assoluti che nessuna circostanza può legittimare. Si tratta di divieti morali che però hanno anche un profondo significato politico dato che la politica non si fonda su se stessa, non è essa a stabilire il bene e il male, ma si fonda sulla morale, oppure rimane infondata. Il principio della indisponibilità della vita in ogni sua fase, indisponibilità anche allo stesso soggetto interessato che non è libero di darsi la morte, è il primo e fondamentale di questi principi non negoziabili, i quali esprimono i fondamenti del diritto naturale e i limiti alla politica, sfondati i quali la politica diventa pericolosamente assoluta. La politica, fondandosi sulle esili legittimazioni del voto elettorale, pretende ormai di legiferare sulle questioni antropologiche, stabilendo cosa significhi essere uomo e cosa essere donna, cosa voglia dire famiglia o procreazione e cosa significhi vita e morte. Siamo davanti ad una deriva di totalitarismo etico che va respinta.


Quali sono i principi fondamentali da non dimenticare di fronte a una tale questione?

Come scrisse Benedetto XVI nelle sue Note sugli abusi dell’11 aprile 2019, bisogna recuperare il giusnaturalismo cristiano, ossia il riferimento a un diritto naturale che poi richiama come proprio fondamento il diritto divino. Questo riferimento è stato abbandonato sia dalla cultura laica sia dalla nuova teologia morale cattolica. La cultura laica lo ha abbandonato perché ritiene che limiti la libertà, la nuova teologia morale perché assegnerebbe alla coscienza personale solo una funzione meramente applicativa e non creativa. Si tratta però di due visioni sbagliate. La libertà, infatti, è resa tale dalla verità delle proprie scelte e la coscienza ha una sua indubbia creatività quando si tratta di fare il bene ma non ha discrezionalità alcuna davanti al male, che non si deve mai fare (semper et ad semper). La questione mette in luce la crisi morale della attuale cultura diffusa, compresa quella cattolica. Questo fa in modo che la presenza dei cattolici nelle sedi legislative sia più dannosa che proficua se essi non si rifanno ai principi della sana filosofia e della sana teologia ma abbracciano le mode della cultura laica del momento.


I preti e i vescovi hanno un peso politico in Italia, la loro mobilitazione potrebbe mettere in scacco la legge sul suicidio assistito?

In Italia l’episcopato si fa sentire per i suoi silenzi e così pure il ceto sacerdotale. A parte qualche piccola eccezione, naturalmente. Nel 2007 i Vescovi italiani avevano pubblicato un documento contro le convivenze di fatto, che potrebbero sembrare cosa di poco conto rispetto alle leggi ben più devastanti che sono state approvate in seguito. Da allora non hanno più preso posizione pubblica su nulla, anche se le leggi in discussione e poi approvate sono stata disumane in quanto hanno contraddetto principi fondamentali del diritto naturale di cui la Chiesa dovrebbe essere la suprema custode. Mi riferisco in particolare alla cosiddetta “Legge Cirinnà” che equipara le unioni civili tra persone dello stesso sesso alla famiglia naturale. Tutte queste leggi sono state votate in parlamento anche da deputati e senatori dichiaratamente cattolici, ma il magistero non ha mai sanzionato pubblicamente questi comportamenti. Di recente i Vescovi italiani si sono detti favorevoli alla discussione sul progetto di legge Zan, che con la scusa della lotta all’omofobia vuole imporre una cultura LGBT sanzionando coloro che esprimono una opinione contraria. No, vescovi e sacerdoti in Italia non mobiliteranno mai se stessi né tantomeno i fedeli e i cittadini contro queste leggi. Prevale un pastoralismo ormai staccato dalla dottrina e il cui scopo è comunque di trovare un accordo con il mondo.

A cura di Philippe Maxence




Fonte: Osservatorio Van Thuan






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