4 febbraio 2016
Nel dibattito generale sulla liturgia si sente spesso parlare di scelte come la lingua, volgare o latina, se usare un supporto musicale e quale (gregoriano, contemporaneo, eccetera…). Forse si discute poco del ruolo fondamentale del silenzio. Sabato scorso, sull’Osservatore Romano, il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, ha condiviso alcune riflessioni molto interessanti su questo argomento.
Prima di tutto Sarah ha ricordato il significato del silenzio come valore ascetico cristiano e come condizione necessaria per una preghiera profonda e contemplativa. Il “silenzio virtuoso” o “mistico” non è il “silenzio riprovevole” che può essere espressione di rifiuto, disinteresse, egoismo, codardia. Né va considerato“alla stregua di una pausa tra un momento celebrativo e il successivo”, ma “come un vero e proprio momento rituale, complementare alla parola, alla preghiera vocale, al canto”; insomma, “una componente importante della liturgia”.
La virtù del silenzio sta invece nell’aiutarci a rimuovere tutto ciò che appesantisce, che distrae, che ostacola la preghiera; momento in cui dovremmo metterci nel giusto stato per poter ricevere l’amore della Santissima Trinità.
Il cardinale ha proposto un’analogia per capire il concetto: se comunichiamo incessantemente con altre creature è come se tenessimo il nostro telefono occupato, impedendo la ricezione della “chiamata” del Creatore.
Dopo aver brevemente elencato alcuni riferimenti biblici che ammoniscono contro l’abuso delle “parole oziose”, così come alcuni riferimenti evangelici che sottolineano quanto spesso Gesù si ritirava a pregare in silenzio e in luoghi deserti, il cardinale ha contrapposto il rumore di chi “vuole pavoneggiarsi” al silenzio di chi si mette in atteggiamento di umiltà e si lascia riempire da Dio: “Il Padre dice una sola Parola: è il suo Verbo, il Figlio suo. La pronunzia in un eterno silenzio ed è solo nel silenzio che l’anima può intenderla” (san Giovanni della Croce). Per questo è anche necessario“bandire qualsiasi discorso […] durante la celebrazione” (omelia a parte) ed“evitare di trasformare la chiesa, che è la casa di Dio destinata all’adorazione, in una sala da spettacolo”.
La liturgia, prosegue Sarah, nei riti Occidentali già prevede momenti di preghiera silenziosa del prete, che non viene affiancata da antifone o canti. Il momento più evidente è durante il Sacrificio Eucaristico; ma, come ricordava Paolo VI, ripreso da Giovanni Paolo II, altri momenti opportuni di silenzio sono l’atto penitenziale, dopo l’invito alla preghiera, dopo l’omelia, dopo la comunione.
Il cardinal Ratzinger aggiungeva: “Anche il momento dell’offertorio si può svolgere in silenzio. Questa pratica in effetti si confà alla preparazione dei doni e non può che essere feconda, purché la preparazione sia concepita non solo come un’azione esteriore, necessaria allo svolgimento della liturgia, ma anche come un percorso essenzialmente interiore; si tratta di unirci al sacrificio che Gesù Cristo offre al Padre”. A questo proposito, Sarah stigmatizza le processioni di offerte troppo lunghe e rumorose, facendo anche esplicito riferimento a certe tradizioni africane. Prosegue ricordando che certe manifestazioni scadono nel folclore e, anziché aiutarci a comprendere meglio, ci allontanano dal Mistero Eucaristico. Altri momenti di silenzio dovrebbero essere osservati prima della celebrazione.
Conclude Sarah con le parole di mons. Guido Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie: “Quel silenzio, davvero sacro, è lo spazio liturgico nel quale dire sì, con tutta la forza del nostro essere, all’agire di Cristo, così che diventi anche il nostro agire nella quotidianità della vita”.
lafedequotidiana.it
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