Don Leonardo Maria Pompei
2 febbraio 2016
In quanto virtù teologale, la carità è infusa dallo Spirito Santo nella misura che a Lui piace. Ma come per tutte le virtù (anche quelle infuse), la sua permanenza, crescita o - Dio non voglia - perdita, dipende da come l’anima la custodisce, la coltiva e la esercita. Come per tutte le virtù, anche la carità cresce ogni volta che si compie un atto di amore per Dio o di amore santo di se stessi, oppure di amore ordinato del prossimo. Anche solo dire col cuore a Dio: “ti amo”, anche quando non si sentissero riverberi emotivi e sensibili per questa frase, determina un aumento del nostro amore per Lui.
2 febbraio 2016
In quanto virtù teologale, la carità è infusa dallo Spirito Santo nella misura che a Lui piace. Ma come per tutte le virtù (anche quelle infuse), la sua permanenza, crescita o - Dio non voglia - perdita, dipende da come l’anima la custodisce, la coltiva e la esercita. Come per tutte le virtù, anche la carità cresce ogni volta che si compie un atto di amore per Dio o di amore santo di se stessi, oppure di amore ordinato del prossimo. Anche solo dire col cuore a Dio: “ti amo”, anche quando non si sentissero riverberi emotivi e sensibili per questa frase, determina un aumento del nostro amore per Lui.
L’apostola dell’atto d’amore, la serva di Dio suor Consolata Betrone, ebbe a suo tempo dal cielo il compito di far comprendere quanto è importante esercitare questa virtù anzitutto in riferimento all’amore di Dio. La vita di molti cristiani, anche cattolici, è purtroppo a volte molto fredda o, quanto meno, tiepida. La carità, se ben coltivata, porta al fervore e allo zelo, ad avere un cuore infiammato per Dio, incamminandosi verso l’adempimento del primo e più importante comandamento, oggi troppo spesso frettolosamente accantonato per far spazio al pur importante ma pur sempre secondo precetto della carità. San Filippo Neri ebbe addirittura uno spostamento delle costole (all’altezza del cuore) a causa dell’ardore della sua carità verso Dio che diede luogo allo straordinario fenomeno mistico della bruciatura (vera, reale, fisica) delle vesti che il santo portava, con buchi e aloni neri tuttora visibili sulle sue camicie all’altezza del petto! Il suo cuore prendeva realmente fuoco! Tanto grande (e in verità sempre poco…) dovrebbe essere l’amore dei cristiani verso il loro Dio!
San Tommaso insegna che la perfezione della carità si manifesta quando l’anima pone tutto il suo impegno nell’attendere a Dio e alle sue cose, posponendo a ciò ogni altro interesse e relativizzando tutto ciò che comunque deve fare per vivere in questo mondo. Il grado comune e ordinario della carità, invece, consiste nel tenere il proprio cuore abitualmente in Dio, in modo da non pensare, volere, né fare nulla che sia contrario all’amore di Lui. I peccati veniali comportano una sensibile diminuzione della carità (questa virtù, anzi, ne risente più delle altre) ed inevitabilmente alla mediocrità, tiepidezza e, nel peggiore dei casi, al colpevole raffreddamento di essa.
Quando la carità abita in un cuore lo si vede da tre spie inconfondibili: la gioia, la pace e la (vera) misericordia. La loro assenza in noi è un chiarissimo, anzi inequivocabile segno di scarsa vitalità della virtù teologale della carità. La gioia è quella disposizione di allegrezza abituale (non per nulla il già citato san Filippo Neri è uno dei grandi santi della gioia) che è provocata e alimentata dall’amore di Dio e del prossimo. Il grande san Giovanni Bosco, al riguardo, amava dire che la santità consiste nello stare molto allegri, così come che il demonio ha molta paura della gente allegra. Questo aspetto andrebbe molto meditato e approfondito, perché anche tra le anime buone e devote si vede sovente la presenza di una grande tristezza, che non può coesistere con una vera e autentica carità. La pace viene dalla piena concordia dei desideri e aspirazioni dell’uomo con i divini voleri e opera in modo tale da evitare sempre, quando è possibile, ogni minima forma di discordia, contesa, polemica e discussione con il prossimo. La misericordia consiste nella compassione per i peccati e i mali degli altri ed è direttamente e formalmente contraria all’invidia che anziché compatire si rallegra dei mali altrui. Essa porta a farsi carico con amore delle miserie e delle infermità del prossimo, a considerare il peccatore con compassione, a perdonare di cuore le sue offese e giunge a fare del bene a chi fa del male, a benedire i maldicenti, ad essere longanimi con gli ingrati. Per i figli di Dio non esistono altre disposizioni che queste. E quando non le dovessimo riscontrare in noi, niente facili autogiustificazioni, minimizzazioni o improbabili difese: è necessario esercitare più e meglio questa aurea virtù, verificare che non si stia conducendo una vita troppo rilassata nella lotta al peccato veniale e alimentarla alla fonte suprema di essa che è, come avremo modo di vedere meglio, la santa Messa e la comunione sacramentale con Gesù eucaristia.
San Tommaso insegna che la perfezione della carità si manifesta quando l’anima pone tutto il suo impegno nell’attendere a Dio e alle sue cose, posponendo a ciò ogni altro interesse e relativizzando tutto ciò che comunque deve fare per vivere in questo mondo. Il grado comune e ordinario della carità, invece, consiste nel tenere il proprio cuore abitualmente in Dio, in modo da non pensare, volere, né fare nulla che sia contrario all’amore di Lui. I peccati veniali comportano una sensibile diminuzione della carità (questa virtù, anzi, ne risente più delle altre) ed inevitabilmente alla mediocrità, tiepidezza e, nel peggiore dei casi, al colpevole raffreddamento di essa.
Quando la carità abita in un cuore lo si vede da tre spie inconfondibili: la gioia, la pace e la (vera) misericordia. La loro assenza in noi è un chiarissimo, anzi inequivocabile segno di scarsa vitalità della virtù teologale della carità. La gioia è quella disposizione di allegrezza abituale (non per nulla il già citato san Filippo Neri è uno dei grandi santi della gioia) che è provocata e alimentata dall’amore di Dio e del prossimo. Il grande san Giovanni Bosco, al riguardo, amava dire che la santità consiste nello stare molto allegri, così come che il demonio ha molta paura della gente allegra. Questo aspetto andrebbe molto meditato e approfondito, perché anche tra le anime buone e devote si vede sovente la presenza di una grande tristezza, che non può coesistere con una vera e autentica carità. La pace viene dalla piena concordia dei desideri e aspirazioni dell’uomo con i divini voleri e opera in modo tale da evitare sempre, quando è possibile, ogni minima forma di discordia, contesa, polemica e discussione con il prossimo. La misericordia consiste nella compassione per i peccati e i mali degli altri ed è direttamente e formalmente contraria all’invidia che anziché compatire si rallegra dei mali altrui. Essa porta a farsi carico con amore delle miserie e delle infermità del prossimo, a considerare il peccatore con compassione, a perdonare di cuore le sue offese e giunge a fare del bene a chi fa del male, a benedire i maldicenti, ad essere longanimi con gli ingrati. Per i figli di Dio non esistono altre disposizioni che queste. E quando non le dovessimo riscontrare in noi, niente facili autogiustificazioni, minimizzazioni o improbabili difese: è necessario esercitare più e meglio questa aurea virtù, verificare che non si stia conducendo una vita troppo rilassata nella lotta al peccato veniale e alimentarla alla fonte suprema di essa che è, come avremo modo di vedere meglio, la santa Messa e la comunione sacramentale con Gesù eucaristia.
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