Uso improprio del Catechismo della Chiesa Cattolica nella Relatio Synodi della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi (5-19 ottobre 2014)
di Don Alfredo Morselli
Non si accetta un proverbio dalla bocca dello stolto, perché non lo dice mai a proposito. (Prov 20,20)
Se la Scrittura considera inaccettabili le parole sagge proferite non a proposito da parte degli stolti, quanto più la cosa sarà aberrante se vengono male usate e travisate le parole stesse della Bibbia o dei documenti più preziosi del Magistero? Il demonio ha tentato Gesù con la S. Scrittura, e gli eretici ne ritagliano e ne incollano assieme i versetti per attaccare i santi Dogmi.
Un'operazione analoga è stata compiuta al recente sinodo dei vescovi, per giustificare l'ammissione ai Sacramenti dei carissimi fratelli cosiddetti divorziati risposati. In questa occasione, nella redazione della Relatio synodi, è stato usato maldestramente il Catechismo della Chiesa Cattolica. Ecco quanto ha letto il Cardinale Péter Erdó:
"52 Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi «fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)."
Questo paragrafo presenta molte difficoltà (non per niente ci sono stati 74 non placet): in questo articolo mi limito ad esaminare le ultime righe del testo appena riportato, dove si rimanda al § 1735 del Catechismo della Chiesa Cattolica per suffragare "la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti", in vista di un'eventuale ammissione ai sacramenti dei "divorziati risposati". Che cosa dice in realtà il § 1735 del Catechismo? Leggiamolo per intero:
“L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali.”
E adesso cerchiamo di spiegare questo testo: ipotizziamo il caso di una povera ragazza in India o in Cina che viene sterilizzata subendo pressioni, o una ragazza di oggi in Italia che viene indotta ad abortire dai parenti suoi e del fidanzato... In questi casi sicuramente l’ imputabilità è sminuita o annullata, ma non direttamente (simpliciter) per le tristi circostanze, ma per l'imperfezione dell'atto: un atto moralmente giudicabile - un atto umano, in termini più precisi - deve essere libero e consapevole.
Oggi, anche in Italia, con la cattiva educazione che si riceve fin dalla scuola materna, una ragazza può benissimo non rendersi conto che l'aborto è un omicidio: inoltre potrebbe essere psicologicamente fragile e non avere costitutivamente la grinta per andare contro tutti e tutto. È chiaro che la responsabilità morale di questa ragazza è attenuata.
Altro è il caso di un divorziato, risposato civilmente, che ha ritrovato la fede a giochi fatti: ipotizziamo sia stato abbandonato dalla moglie, che si sia risposato con l'errata idea di rifarsi una famiglia, e che non possa più ritornare con la prima vera unica moglie (magari questa si è riaccompagnata con un altro uomo e ha avuto di figli da lui); questo fratello, pur pregando e partecipando attivamente alla vita della parrocchia, benvoluto dal parroco e da tutti i fedeli, consapevole del suo stato di peccato e neppure ostinato a volerlo giustificare, vive more uxorio con la moglie meramente civile, non riuscendo a vivere con lei come fratello e sorella. In questo caso, la scelta di accostarsi alla nuova moglie è un atto perfettamente libero e consapevole, e quanto detto dal § 1735 del Catechismo della Chiesa Cattolica non si può applicare nel modo più assoluto.
Lo stesso Catechismo insegna infatti, al § 1754:
"Le circostanze, in sé, non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono rendere né buona né giusta un’azione intrinsecamente cattiva."
E San Giovanni Paolo II, nell'enciclica Veritatis splendor, al § 115, affermava:
"È la prima volta, infatti, che il Magistero della Chiesa espone con una certa ampiezza gli elementi fondamentali di tale dottrina, e presenta le ragioni del discernimento pastorale necessario in situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta critiche.
Alla luce della Rivelazione e dell'insegnamento costante della Chiesa e specialmente del Concilio Vaticano II, ho brevemente richiamato i tratti essenziali della libertà, i valori fondamentali connessi con la dignità della persona e con la verità dei suoi atti, così da poter riconoscere, nell'obbedienza alla legge morale, una grazia e un segno della nostra adozione nel Figlio unico (cf Ef 1,4-6). In particolare, con questa Enciclica, vengono proposte valutazioni su alcune tendenze attuali nella teologia morale. Le comunico ora, in obbedienza alla parola del Signore che a Pietro ha affidato l'incarico di confermare i suoi fratelli (cf Lc 22,32), per illuminare e aiutare il nostro comune discernimento.
Ciascuno di noi conosce l'importanza della dottrina che rappresenta il nucleo dell'insegnamento di questa Enciclica e che oggi viene richiamata con l'autorità del successore di Pietro. Ciascuno di noi può avvertire la gravità di quanto è in causa, non solo per le singole persone ma anche per l'intera società, con la riaffermazione dell'universalità e della immutabilità dei comandamenti morali, e in particolare di quelli che proibiscono sempre e senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi".
Le parole di San Giovanni Paolo II sono inequivocabili: con l'autorità del successore di Pietro vengono riaffermate l'universalità e l' immutabilità dei comandamenti morali, e in particolare di quelli che proibiscono sempre e senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi. Inoltre viene confutata la artificiosa e falsa separazione di chi pretende di lasciare inalterata la dottrina immutabile, ma poi di conciliare l'inconciliabile, ovvero di comportarsi pastoralmente in modo non consequenziale con la dottrina stessa.
Infatti lo stesso santo Pontefice non ha scritto l'enciclica come un'esercitazione speculativa fuori dal mondo, ma ha voluto offrire le ragioni del discernimento pastorale necessario in situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta critiche.Non si sarebbe potuto immaginare, il Santo Papa, che i suoi insegnamenti sarebbero stati dimenticati così in fretta, da parte di numerosi Vescovi, a pochi metri dalla sua tomba.
Certamente un divorziato risposato, come quello descritto nell'esempio precedente (caso assolutamente non raro), va amato, seguito, accompagnato verso la conversione completa e solo allora potrà ricevere SS. Eucaristia. Questa conversione va annunciata come realmente possibile con l'aiuto della grazia, con la pazienza e la misericordia di Dio, senza contravvenire a una verità indiscutibile della nostra fede, per cui non si può fare la S.Comunione in stato di peccato mortale.
Nell'ospedale da campo (per usare un'espressione cara a Papa Francesco), ammettere alla S. Comunione chi non è in stato di grazia costituirebbe la somministrazione di un farmaco controindicato e nocivo al malato stesso. Nell'armadietto dei medicinali della Madre Chiesa ci sono tante altri farmaci salutari che possono essere prescritti in questi casi: i grandi desideri, la preghiera, la devozione alla Madonna, la confidenza in Dio, la Comunione spirituale (rettamente intesa) etc. Tutto questo, passo dopo passo, può portare il divorziato risposato a vivere in grazia di Dio, senza schiodarsi dalla croce... facienti quod in se est (gratia actuali), Deus non denegat gratiam (habitualem). A chi fa quello che può (e, aggiungo io, anche molto meno di quello che potrebbe) con la Grazia attuale, Dio non negherà un giorno la Grazia santificante.
Si tratta dunque di favorire la preparazione alla giustificazione, non di ammettere chi vive ancora in stato di peccato a un Sacramento che è essenzialmente proprio e significativo di un uomo già giustificato in atto.
Fonte: Blog Messa in latino, 18.12.2014
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