lunedì 29 dicembre 2014

La partecipazione alla Sacra Liturgia








di don Marino Neri

È possibile affermare che, senza alcun dubbio, la ragion d’essere dei segni propri della Liturgia derivano dalla natura umana, considerata nella sua realtà ad un tempo corporea e spirituale; essa deriva anche dal mistero dell’Incarnazione, grazie al quale l’accesso al Dio invisibile diventa possibile attraverso l’umanità reale di Gesú Cristo. Infatti, come l’umanità di Cristo è lo strumento dell’azione salvifica del Verbo, i segni liturgici contengono e trasmettono la potenza salvifica di Dio; per mezzo di essi la grazia di Dio è comunicata o intensificata in tutti coloro che hanno già ricevuto la giustificazione, l’adozione divina e l’incorporazione nella Chiesa. È certo che la comprensione dei segni liturgici è inclusa nella partecipazione cosciente e fruttuosa alla Liturgia; tuttavia, anche se questi segni esercitano comunque, con la loro semplice presenza, un ruolo pedagogico nei confronti di coloro che li percepiscono con una coscienza limitata dal punto di vista del loro contenuto, essi esigono la presenza di una mistagogia permanente e di una formazione, basate sulla catechesi liturgica, tali da permettere sia ai fedeli sia ai ministri di progredire nella conoscenza del mistero che viene celebrato. Questa precisazione è particolarmente importante quando si è alla presenza di un rito che non è celebrato abitualmente, come per esempio del rito delle ordinazioni o della dedicazione di una nuova chiesa. Niente è piú nocivo alla partecipazione spirituale dei fedeli ad una celebrazione liturgica, dell’atteggiamento troppo frettoloso o distratto del celebrante, o del compimento meccanico dei suoi gesti liturgici.

Vi sono tre termini, derivati da una preghiera tradizionale, che riassumono bene l’atteggiamento che dovrebbe essere proprio di ogni celebrante: “degno”, “attento”, “devoto”, tant’è vero che lo stesso celebrante è un segno. In quanto persona consacrata e strumento dell’azione di Cristo glorioso, che è l’autore principale delle azioni sacramentali, il ministro ordinato, al pari del fedele laico deputato in base alle norme del diritto, deve lasciare trasparire il mistero che viene celebrato, in modo tale che la comunità possa essere in grado di percepire che il ministro non è un attore di teatro, né un funzionario, ma un credente attento alla presenza ineffabile di Colui che non può essere visto con gli occhi della carne, ma che è piú reale di tutto ciò che appartiene all’universo dell’esperienza sensibile.

“Degna” Una celebrazione liturgica “degna” dev’essere innanzi tutto impregnata della bellezza del luogo in cui si svolge, e degli oggetti del culto che vi sono impiegati, anche se si tratti di una bellezza semplice ed essenziale. Essa comporta anche l’accuratezza dei paramenti liturgici e la qualità dei vasi sacri. Di contro, se una tale celebrazione riveste un aspetto teatrale, essa non può essere considerata come veramente “degna”; infatti, lungi dall’essere uno spettacolo, una celebrazione liturgica ha una dimensione innanzi tutto religiosa e spirituale. Infine, questa nozione della dignità include la necessità che le celebrazioni siano accompagnate con dei movimenti appropriati alla Liturgia, dei movimenti cioè che siano compiuti senza fretta, con una certa posatezza ed eleganza, ma senza affettazione.

“Attenta” Una celebrazione liturgica dev’essere poi “attenta”, il che esige uno sforzo particolare da parte del celebrante, affinché, nella misura del possibile, eviti le distrazioni, soprattutto quelle volontarie. Quest’aggettivo “attenta” permette di insistere sulla volontà del celebrante di concentrare il suo spirito, il che esige una disciplina dei sensi atta ad evitare di lasciarsi distrarre dai tanti oggetti che cadono sotto il suo sguardo e distolgono la sua attenzione. La musica, evidentemente, non costituisce in sé un ostacolo per questa attenzione, poiché essa fa parte integrante della partecipazione del coro e dei fedeli; l’attenzione esige anche il silenzio, e cioè innanzi tutto il “silenzio interiore”, o, se si vuole, un cuore placato e calmo, il che a sua volta implica evidentemente il silenzio esteriore, del clero, dei chierichetti e dei fedeli.

“Devota” Infine, la celebrazione dev’essere “devota”, il che significa che è necessaria un’attitudine intrisa di rispetto, di amore di Dio, di senso religioso e di attenzione nei confronti di ciò che è “l’unica cosa necessaria” (Lc 10, 42). In francese l’aggettivo “devoto” può essere reso col termine “pio”. È possibile definire questo termine nel modo seguente: “una persona devota è quella che è cosciente che la sua vita non ha alcun senso se non è collegata intimamente a Dio”; in altri termini, si tratta dell’attitudine di colui che vuol vivere in maniera totalmente coerente con la sua consacrazione battesimale, seguendo il programma che San Paolo riassume in poche parole: “Se viviamo, viviamo per il Signore; se moriamo, moriamo per il Signore. Vivi o morti, noi apparteniamo al Signore” (Rom 14, 8). Questo significa che una persona devota è “totalmente votata al Signore”. Colui che partecipa ad una azione liturgica non dovrebbe giungere alla celebrazione senza una adeguata pausa, passando cioè immediatamente dalle preoccupazioni profane, anche se buone e rispettabili, alla preghiera comunitaria. È necessario rispettare un certo lasso di tempo, anche breve, caratterizzato dal silenzio, dal raccoglimento e dalla preghiera. Un esempio eclatante, a riguardo, è quello dei monaci che prima di entrare nella chiesa del monastero per celebrarvi l’Ufficio Divino anche chiamato Liturgia delle Ore restano in piedi e in silenzio nel chiostro, allo scopo di raccogliere il loro spirito prima di iniziare la salmodia. La stessa finalità hanno in vista le preghiere che il celebrante recita nel rivestire i paramenti liturgici, appena prima della celebrazione.

In conclusione, si può affermare che le riflessioni appena esposte derivano dalla prima tra le disposizioni richieste per una partecipazione autentica alla celebrazione liturgica: la fede, che sola svela i diversi significati, molto ricchi, dei segni liturgici; la fede, che sola permette al ministro ordinato di calarsi nel ruolo sacro di strumento di Cristo e di servitore del suo Corpo, la Santa Chiesa; la fede, che sola, consente alle persone di non trascurare i segni liturgici come superflui, ma di lasciarsi umilmente ammaestrare da essi.






fonte: santantoniolinarolo.blogspot.it




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