vaticano



Dal blog SETTIMO CIELO di Sandro Magister. 12 dicembre 2014
L’autore è professore emerito di sociologia della religione all’università di Firenze e alla facoltà teologica dell’Italia centrale.

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di Pietro De Marco

Mi raccontano questo caso recente, sintomatico del clima cattolico che sta affiorando: da una storica associazione fiorentina di volontariato, mesi fa sono stati espulsi dei membri perché accusati di criticare papa Bergoglio.

Sembra che le prove siano state ottenute penetrando nel social network ove essi dicevano, magari gridavano, il proprio dissenso. Un’espulsione senza processo né confronto, invocando articoli statutari inaccessibili agli accusati.

Anche da altri ambienti toscani arrivano segnali di una disponibilità ad atti sanzionatorii contro atteggiamenti “tradizionali”, atti mai rivolti, in passato, contro idee e comportamenti realmente antistituzionali quando non eversivi del rito e del dogma. Chi ha vissuto nella Chiesa ricorda anzi la scoperta ostilità, per decenni, di precisi ambienti e persone contro papa Wojtyla o papa Ratzinger, nella tolleranza dell’autorità cattolica (che si trattasse di vescovi o di dirigenti dell’associazionismo laicale) formalmente allineata con Roma. Singolare che tale allineamento, allora inerme, si eserciti ora in una pugnace difesa del papa regnante solo per colpire ambienti e individualità ortodosse.

Naturalmente, come in ogni repressione che si rispetti, nessuno viene “espulso”. Gli imputati, si dice, si sono già posti fuori da soli, non importa (se non come aggravante) che nella loro polemica si oppongano alla religiosità liquida che pervade predicazione, pastorale, etica cattoliche. Analogamente a come si viene infamati nella vita pubblica con l’epiteto di “nemici della Costituzione”, si è affermato nella Chiesa un uso di formule letali come “nemici del Concilio” o “ostili a Francesco”.

Basti la vicenda modello, tutt’ora sanguinante, del commissariamento dei Francescani dell’Immacolata, ove il diritto della Chiesa viene usato come un bastone, cioè in maniera antigiuridica, da “commissari” che reagiscono alle critiche con linguaggi intimidatori da processo politico d’altri tempi. Questa grave cosa, non meno delle piccole epurazioni di cui parlavo, vengono legittimate ricorrendo ai detti e ai fatti di papa Francesco. È il noto fenomeno dell’abuso delle parole del capo per compiere vendette.

Ma, va detto, vi è qualcosa di più della volontà di compiacere un papa e il suo entourage, che è già terreno fertile per questo inedito fronte filo-papale. Con la fine del pontificato di Benedetto XVI laici e clero sembrano non avere più anticorpi (già pochi ne avevano in precedenza) nei confronti di quella paccottiglia cristiana postmoderna che consiste in resipiscenze e contrizioni, in autocritica del passato cattolico “alla luce del Vangelo”, in abbracci di ogni genere purché nell’agenda dei media.

La cultura cattolica diffusa è finita succube di un’aggiornata sindrome anticlericale – dalle crociate all’inquisizione, alla pedofilia – indotta anche da una valanga di best seller e di costose falsificazioni cinematografiche. Di più: per i “cattolici critici” la Chiesa così infangata coinciderebbe con l’autoritaria “Chiesa dei no”, da cui liberarsi. E il pontefice regnante non costituisce certo un argine rispetto a questo autolesionismo.

Così non mi sono sorpreso, per restare nella Chiesa e in Toscana, che clero, religiosi, laici abbiano di recente applaudito un prodotto cinematografico (1) finanziato con soldi pubblici, dove il regista, puntualmente “cattolico”, ripercorre la vita dei seminari degli anni Cinquanta, montando contro la formazione cattolica della grande chiesa di Pio XII così tante insulsaggini che avrebbero dovuto indurre dei cattolici con un po’ di rigore e buon senso a reagire.

Il qualunquistico “Chi sono io per giudicare?” ottiene dunque seguito, salvo quando si tratta del passato della Chiesa. Per il resto, esonera dall’impegno di valutare, discernere, opporsi al “mondo”; esonera insomma dalla peculiare testimonianza cattolica. Una “liberazione” che, senza più un freno da Roma, impone anche ai moderati di dire sí, sí, compulsivamente, a condotte, idee, leggi presentate come finalmente “umane”, e ad unirsi al coro delle deprecazioni pubbliche di rito contro la povertà, la guerra, la mafia, che al cittadino e al cattolico medio non costano niente, tantomeno riflessione.

Così – dimenticando che è solo il nichilismo ad avere sempre un “volto umano” benevolente, che non giudica, sollecito della pubblica felicità, come l’Anticristo di un celebre scrittore russo – tanti cattolici qualificati, clero e laici, mancano al loro compito essenziale: ricordare all’Occidente, e al mondo, l’antropologia cristiana che è a suo fondamento, si tratti di anima e di corpo, di vita o di morte, di generazione o di identità di genere. Quasi nessuna voce cattolica dotata di autorità d’ufficio si alza ancora contro la infondata (filosoficamente e scientificamente) e nevrotica manipolazione livellatrice del maschile e del femminile cui si cerca di piegare la cultura diffusa, agendo sul parlamento e a scuola.

Assieme alla mistura di paura e attrazione verso il papa, a frastornare laicato e clero vi sono, dunque, il sonno della ragione cattolica, una coscienza di sé ai minimi termini, una sudditanza all’etica pubblica altrui che – si pensa – sotto papa Bergoglio non hanno più bisogno di essere dissimulate. In più, mimeticamente dipendenti da un’opinione pubblica che simula di operare per valori, e pensandosi legittimati da un papa mediato da quei medesimi “opinion maker”, alcuni laici ed ecclesiastici con responsabilità su uomini e organizzazioni si trasformano (secondo una costante della sociologia politica) in “tiranni democratici” verso i dissenzienti.

Niente di nuovo, si dirà. Ma nel passato le sanzioni erano motivate dalla protezione dell’integrità della fede e dell’istituzione ad essa necessaria. Oggi invece si agita il bastone sotto l’effetto di formule imposte da una falsificazione secolare del cristianesimo, come “amore” e “misericordia” contro responsabilità e retto giudizio, come “vita” contro ragione, come “natura” e “felicità” contro peccato e salvezza, come “Concilio” contro tradizione cristiana. È questo l’orizzonte di troppe omelie, in cui sembra di riascoltare, annacquato e fuori tempo, il peggio delle stagioni postconciliari.
Dal Grande Inquisitore all’Anticristo, dunque? No, né l’uno né l’altro sono cifra adeguata alla realtà della Chiesa. Ma la domanda resta buona per pensare.


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(1) Il film, del 2014, è “Il seminarista“, ideato e diretto da Gabriele Cecconi, premiato al Gallio Film festival 2014 con il gran premio della giuria “Emidio Greco” e presentato, in settembre, anche all’ambasciata d’Italia negli Stati Uniti e all’Università di Washington.