Corrado Gnerre
Gilbert Keith Chesterton scrive in Ortodossia: “I materialisti non riescono mai a comprendere bene neppure il mondo: fanno affidamento in tutto e per tutto su poche massime ciniche non vere. Ricordo che una volta stavo passeggiando con un facoltoso editore, il quale fece un’osservazione che avevo già sentito in altre occasioni; si tratta, in effetti, quasi di un motto del mondo moderno. (…). L’editore disse di qualcuno: ‘Quell’uomo farà strada perché crede in se stesso.’ (…). Gli dissi: ‘Vuole che le dica dove si trovano gli uomini che più credono in se stessi? Perché glielo posso dire. (…) Gli uomini che davvero credono in se stessi stanno nei manicomi.”
Chesterton ha ragione: una delle più grandi follie è quella di credersi sicuri di sé. Attenzione: non semplicemente sicuri, ma sicuri di sé. C’è differenza. Sentirsi sicuri è una virtù, e il non averla può generare problemi, problemi –appunto- di “insicurezza”. Sentirsi sicuri di sé è un’altra cosa. Vuol dire essere convinti che la propria persona può risolvere tutto, che la chiave sta in se stessi, che ognuno può salvarsi da sé, che ognuno è del tutto autosufficiente.
Si deve essere sì sicuri, ma sicuri perché c’è qualcun altro che sostiene, perché si è convinti di non esser soli nell’avventura della vita, perché quell’implorazione e quell’invocazione che scaturiscono dal cuore non possono andare perdute, perché c’è Qualcuno che accoglie quell’implorazione e quell’invocazione e che queste non si smarriranno in un infinito senza risposta.
Perché, cari pellegrini, è bene dedicare la sosta di questo mese di dicembre 2014 ad un argomento come questo?
Perché in questi giorni i mezzi d’informazione ci stanno presentando l’ennesimo caso di corruzione politica, anzi: di commistione tra mafia e politica.
Ebbene, sentendo queste notizie, può lievitare una tentazione, quella di pensare che ciò che è stato ancora una volta scoperto sia l’esito di problemi strutturali, di sistema, d’incapacità da parte dei partiti di non saper “filtrare” adeguatamente e quindi di non saper evitare che disonesti possano “infiltrarsi” e fare i loro sporchi interessi. Oppure (un’altra tentazione) pensare che basterebbe l’educazione civica, e anche un eticismo moralista sparso un po’ di qua e un po’ di là, per cercare di sensibilizzare gli uomini (soprattutto le giovani generazioni) al “rispetto della legalità”, come oggi si ama dire.
No. Queste sono sciocchezze! Il problema è antropologico. Cioè è un problema legato all’uomo. Alla sua natura e al suo destino.
Alla sua natura, perché l’uomo è “ferito”. C’è poco da fare, tutti coloro che negano il peccato originale e le sue nefaste conseguenze, sono poi incapaci a spiegare il mistero dell’uomo e sono costretti a tradire quell’intelligenza che serve per capire adeguatamente la realtà. E’ ciò che ci ha detto Chesterton: “I materialisti non riescono mai a comprendere bene neppure il mondo: fanno affidamento in tutto e per tutto su poche massime ciniche non vere.” Ma davvero si può credere che basterebbe costruire una società ben funzionante per far sì che l’uomo scelga l’onestà, l’altruismo, il costante rispetto delle regole? Un conto è parlare di influenza che la società può avere sulle scelte individuali, altro di determinismo automatico. Da una famiglia sana più facilmente cresceranno dei figli moralmente sani, ma non c’è alcun automatismo; così da una famiglia di delinquenti più facilmente verranno fuori figli che sceglieranno la delinquenza, ma anche qui non c’è alcun automatismo di sorta.
Ma, cari pellegrini, dicevamo che il problema non è solo antropologico ma è anche legato al destino dell’uomo. Se non c’è una vera ragione per vivere, facilmente viene meno anche una vera ragione per essere onesti e per fare tutto ciò che è giusto fare.
L’unica ragione è riconoscere che la propria vita non è frutto del caso, che non siamo “gettati” nel mondo, ma esito di un progetto, che c’è un Logos che fonda la nostra vita e che, se liberamente corrispondiamo, è disposto ad accompagnarci.
Solo questa Ragione ci dà un motivo serio per sacrificarci, per essere responsabili, per essere coraggiosi nel saper dominare noi stessi, le nostre brame, la sete e la fame di potere, la ricerca spasmodica di trovare in questo mondo l’unico spazio per imporre noi stessi.
Solo questa Ragione ci fa capire la bellezza di rimanere fedeli, di rimanere fedeli al vero, a quel vero naturale che senza equivoci ci presenta il bene come bene e il male come male.
Ma se questa Ragione non c’è … meglio: se questa Ragione la si è voluta cancellare dalla vita degli uomini, dalla società, dall’azione politica, dalla cultura, da tutto, è da stolti lamentarsi e chiedersi stupidamente il perché di ciò che accade, il perché di questa corsa al danaro, di questa corsa ad alzare sempre più l’asticella dei propri desideri.
Senza la Ragione, c’è solo la follia.
Senza la Ragione, c’è solo il caos.
Senza la Ragione, c’è solo la giungla del “si salvi chi può”.
Senza la Ragione, non c’è più la forza del diritto, ma il diritto della forza.
Senza la Ragione, c’è solo il delirio di pensare che basterebbe fare un po’ di etica politica e sparirebbero corruzione e arrivismo.
Senza la Ragione, c’è solo la stoltezza di credere che con una goccia d’acqua si possa spegnere un vulcano in eruzione.
ilgiudiziocattolico.com 9 dicembre 2014
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