Esce oggi il libro-intervista di Monica Mondo al cardinale George Cottier, già Prefetto della Casa Pontificia, dal titolo Selfie. Dialogo sulla Chiesa con il teologo di tre Papi (Cantagalli, Siena, pp. 140).
Le domande che l’intervistatrice rivolge al cardinale sono molte, spaziano in molti campi, e certamente le risposte che il cardinale dà non piaceranno sempre a tutti, tanto “a destra” quanto “a sinistra”. Ma le parole dette e scritte restano; ovviamente tutte, nessuna esclusa, al di là dei gusti e delle sensibilità. Tra quelle dette e scritte dal cardinale vi sono anche quelle riguardanti il Concilio Ecumenico Vaticano II, che, per gentile concessione dell’editore Cantagalli, proponiamo qui in anteprima.
Nel libro il card. Cottier ne pronuncia anche altre di parole sul Concilio, anche quelle finirà che non piaceranno a tutti, ma quelle che scegliamo di proporre qui sono certamente di grande aiuto per tutti.
Monica Mondo: Non solo i lefebvriani, sono in tanti a dolersi che per avvicinare la gente a Dio si sia perduto il senso del sacro, il gusto della Bellezza, la ricchezza della tradizione.
Card. George Cottier: Di fatto la maniera un po’ anarchica con cui si sono applicate le direttive del Concilio non è stata sempre felice, soprattutto in alcuni Paesi. Ad esempio la riforma liturgica in tanti casi non e stata fatta bene e molta gente ne è rimasta turbata. Alcune iniziative di sacerdoti erano nello spirito del ’68 più che in quello del Concilio. Troppe volte è mancato il rispetto del popolo di Dio che doveva essere preparato e accompagnato.
Spesso le idee del Concilio hanno avuto una pessima realizzazione. Questo vale per la musica, l’architettura. Si è pensato che fosse un lusso avere delle belle chiese, e cavalcando un pauperismo alla moda si sono al loro posto fatti dei centri polivalenti che somigliavano a dei garage più che a dei luoghi di preghiera. Invece del gregoriano, dei polifonici, dei canti della tradizione popolare sono arrivate le schitarrate che copiavano i cantautori impegnati. Al fondo c’era e c’è ancora un’idea sbagliata della propagandata partecipazione dei laici. Soffriamo tanto della debole presenza di laici cattolici in ambienti decisivi per la vita delle nostre società, come la medicina, il diritto, la politica, l’economia… Il posto proprio dei laici non è la paraliturgia. L’aiuto dei laici è legittimo, e si spiega in parte con la crisi del sacerdozio. Clericalizzare la gente non e il miglior modo per liberare la Chiesa dal clericalismo.
Il Concilio si conclude con una solenne Professio Fidei di Paolo VI, che fu pronunciata il 30 giugno 1968, a nome di tutti i pastori e di tutti i fedeli: il testo era tracciato su uno scritto di Maritain, su sollecitazione proprio del suo maestro, il cardinal Journet. Me ne vuole parlare?
Fu il cardinal Journet a ricordare che alla fine di ogni Concilio secondo la tradizione si era sempre fatta una professione di fede, e Paolo VI gli chiese di preparare una bozza. Appena tornato a Friburgo il cardinale scrisse al suo amico Maritain, per avere delle idee. E con sua sorpresa il filosofo gli mandò un vero e proprio testo compiuto, che Journet trovò magnifico e inviò senza cambiare una virgola al papa. Quando fu reso pubblico Maritain ritrovò il suo scritto, con pochissime modifiche, presentato dal papa come un elaborato personale, e ne fu commosso.
Perché un documento così importante ha avuto scarsa eco, con tutte le celebrazioni per l’anniversario del Concilio?
Ha ricordato la data: eravamo in piena crisi del ’68 e ci fu un rifiuto anche tra i cattolici, tra gli stessi docenti di teologia, perché era troppo legato, secondo loro, alla tradizione della Chiesa. Riaffermava i punti più contestati, come la dottrina mariana nella sua interezza, la verginità perpetua, il dogma dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione, la cooperazione di Maria alla salvezza. C’era in voga l’idea irrazionale di buttare via tutto per ricominciare daccapo, quel testo sembrava troppo conservatore…
Rileggerlo oggi con attenzione attenuerebbe di molto le interpretazioni in senso “progressista” del Concilio che hanno avuto maggior fortuna e hanno creato divisioni. È vero che «Il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale», ebbe a dire Benedetto XVI.
Esatto. La gente come ha conosciuto il Concilio? C’erano le relazioni dei vescovi, il lavoro delle commissioni che preparavano i testi di tutte le riunioni, più o meno interessanti, cui i giornalisti non assistevano.
Ogni giorno si emetteva un comunicato stampa, ma non bastava, e così si cercavano informazioni ufficiose, a partire proprio dai vescovi: erano tenuti al segreto, ma non del tutto, su alcune questioni c’erano punti di tensione, e l’uno o l’altro metteva in luce le sue supposte criticità. Ma l’immagine che ne derivava non era affatto oggettiva. Si è cominciato a parlare da allora di “spirito del Concilio”, mentre molti vi hanno inserito desideri personali e sollecitazioni dal popolo di Dio, alcune giuste, altre meno, perché la gente seguiva la secolarizzazione come scotto da pagare per essere al pari con la presunta modernità. E i vescovi non sempre hanno saputo guidare, hanno lasciato fare, e come sempre, quando si apre alle libere iniziative, sono scaturite cose lodevoli e bizzarrie, che hanno turbato non poco le coscienze.
http://www.iltimone.org/32537,News.html
Monica Mondo: Non solo i lefebvriani, sono in tanti a dolersi che per avvicinare la gente a Dio si sia perduto il senso del sacro, il gusto della Bellezza, la ricchezza della tradizione.
Card. George Cottier: Di fatto la maniera un po’ anarchica con cui si sono applicate le direttive del Concilio non è stata sempre felice, soprattutto in alcuni Paesi. Ad esempio la riforma liturgica in tanti casi non e stata fatta bene e molta gente ne è rimasta turbata. Alcune iniziative di sacerdoti erano nello spirito del ’68 più che in quello del Concilio. Troppe volte è mancato il rispetto del popolo di Dio che doveva essere preparato e accompagnato.
Spesso le idee del Concilio hanno avuto una pessima realizzazione. Questo vale per la musica, l’architettura. Si è pensato che fosse un lusso avere delle belle chiese, e cavalcando un pauperismo alla moda si sono al loro posto fatti dei centri polivalenti che somigliavano a dei garage più che a dei luoghi di preghiera. Invece del gregoriano, dei polifonici, dei canti della tradizione popolare sono arrivate le schitarrate che copiavano i cantautori impegnati. Al fondo c’era e c’è ancora un’idea sbagliata della propagandata partecipazione dei laici. Soffriamo tanto della debole presenza di laici cattolici in ambienti decisivi per la vita delle nostre società, come la medicina, il diritto, la politica, l’economia… Il posto proprio dei laici non è la paraliturgia. L’aiuto dei laici è legittimo, e si spiega in parte con la crisi del sacerdozio. Clericalizzare la gente non e il miglior modo per liberare la Chiesa dal clericalismo.
Il Concilio si conclude con una solenne Professio Fidei di Paolo VI, che fu pronunciata il 30 giugno 1968, a nome di tutti i pastori e di tutti i fedeli: il testo era tracciato su uno scritto di Maritain, su sollecitazione proprio del suo maestro, il cardinal Journet. Me ne vuole parlare?
Fu il cardinal Journet a ricordare che alla fine di ogni Concilio secondo la tradizione si era sempre fatta una professione di fede, e Paolo VI gli chiese di preparare una bozza. Appena tornato a Friburgo il cardinale scrisse al suo amico Maritain, per avere delle idee. E con sua sorpresa il filosofo gli mandò un vero e proprio testo compiuto, che Journet trovò magnifico e inviò senza cambiare una virgola al papa. Quando fu reso pubblico Maritain ritrovò il suo scritto, con pochissime modifiche, presentato dal papa come un elaborato personale, e ne fu commosso.
Perché un documento così importante ha avuto scarsa eco, con tutte le celebrazioni per l’anniversario del Concilio?
Ha ricordato la data: eravamo in piena crisi del ’68 e ci fu un rifiuto anche tra i cattolici, tra gli stessi docenti di teologia, perché era troppo legato, secondo loro, alla tradizione della Chiesa. Riaffermava i punti più contestati, come la dottrina mariana nella sua interezza, la verginità perpetua, il dogma dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione, la cooperazione di Maria alla salvezza. C’era in voga l’idea irrazionale di buttare via tutto per ricominciare daccapo, quel testo sembrava troppo conservatore…
Rileggerlo oggi con attenzione attenuerebbe di molto le interpretazioni in senso “progressista” del Concilio che hanno avuto maggior fortuna e hanno creato divisioni. È vero che «Il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale», ebbe a dire Benedetto XVI.
Esatto. La gente come ha conosciuto il Concilio? C’erano le relazioni dei vescovi, il lavoro delle commissioni che preparavano i testi di tutte le riunioni, più o meno interessanti, cui i giornalisti non assistevano.
Ogni giorno si emetteva un comunicato stampa, ma non bastava, e così si cercavano informazioni ufficiose, a partire proprio dai vescovi: erano tenuti al segreto, ma non del tutto, su alcune questioni c’erano punti di tensione, e l’uno o l’altro metteva in luce le sue supposte criticità. Ma l’immagine che ne derivava non era affatto oggettiva. Si è cominciato a parlare da allora di “spirito del Concilio”, mentre molti vi hanno inserito desideri personali e sollecitazioni dal popolo di Dio, alcune giuste, altre meno, perché la gente seguiva la secolarizzazione come scotto da pagare per essere al pari con la presunta modernità. E i vescovi non sempre hanno saputo guidare, hanno lasciato fare, e come sempre, quando si apre alle libere iniziative, sono scaturite cose lodevoli e bizzarrie, che hanno turbato non poco le coscienze.
http://www.iltimone.org/32537,News.html
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