martedì 17 settembre 2019

ASPETTI DELLA POLITICA RELIGIOSA IN CINA. Un'analisi di padre Cervellera





Per un quadro più generale dello strapotere esercitato dalle autorità cinesi sulle religioni e in particolare sulla Chiesa cattolica anche dopo l’accordo di un anno fa è quanto mai istruttiva la relazione tenuta a fine agosto a un convegno in Germania dal direttore di “Asia News”, padre Bernardo Cervellera.
La relazione è riprodotta qui di seguito con il consenso dell’autore. 

Sandro Magister, 16-09-2019


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di Bernardo Cervellera

Chiese chiuse o distrutte; croci divelte dai campanili o dalle mura delle chiese; cupole rase al suolo; antiche statue di santuari sequestrate; segni religiosi in casa o all’esterno cancellati; sacerdoti cacciati via dal loro ministero; altri ricondotti a forza al loro villaggio d’origine; giovani al di sotto dei 18 anni bloccati e fermati davanti alle chiese perché non entrino e non ricevano alcuna istruzione religiosa.

Sono alcune delle situazioni che si presentano nella vita della Chiesa cattolica in Cina. Per alcuni sacerdoti cinesi si tratta di una nuova Rivoluzione culturale, con la sua furia iconoclasta e il suo caos. In realtà, queste situazioni rispondono a un progetto molto preciso, per nulla caotico, anzi perseguito con precisione e capillarità e che data da diversi anni.

I Nuovi Regolamenti

Tutte queste azioni di soffocamento sono divenute sempre più comuni dopo il varo dei Nuovi Regolamenti sulle attività religiose. Promulgati il 1° febbraio 2018, tali regolamenti sono caratterizzati:

1. da una visione negativa delle religioni, quali possibili fonti di terrorismo, divisione etnica e nazionale, minacce alla sicurezza nazionale e alla salute dei cittadini (cfr. in particolare il cap. VIII dei Nuovi Regolamenti);

2. dall’affermazione che solo il controllo dall’alto degli uffici per gli affari religiosi a tutti i livelli: nazionale, provinciale, di contea, di città o villaggio, rende una religione vivibile e accettabile. I rappresentanti degli uffici per gli affari religiosi a tutti i livelli sono invitati di continuo a “lavorare”, “organizzare”, “verificare”, “controllare” l’opera delle comunità dei fedeli (cfr. art. 6, 26, 27);

3. da nuove disposizioni non solo per costruire luoghi di culto – per i quali occorre attendere i permessi a diversi livelli: locale, provinciale, nazionale – ma anche per mettere croci, statue, definendo dimensioni, colori e posizioni. Per esse occorrono permessi e verifiche dell’ufficio affari religiosi (art. 29-30). In ogni caso “è proibita la costruzione di grandi statue religiose al di fuori di templi e chiese”.

4. da nuovi ambiti di controllo, riguardanti i testi postati su internet, che devono avere il permesso delle autorità governative e “non devono contenere contenuti proibiti” (art. 47-48), con la proibizione di trasmettere in streaming qualunque cerimonia religiosa;

5. dalla perenne necessità di registrare il personale religioso (sacerdoti e vescovi), esigendo da loro l’impegno a sostenere indipendenza, autogoverno, auto-finanziamento;

6. da un dato nuovo: multe molto alte (fino a 200mila-300mila yuan) se vi sono attività religiose in luoghi non registrati e con personale non registrato, fino al sequestro dell’edificio in cui avvengono raduni illegali (cfr. art. 64).

Proprio queste multe e la possibilità di esproprio degli edifici dove avvengono raduni religiosi non registrati (illegali) ha spinto quasi da subito molti sacerdoti non ufficiali a consigliare ai loro fedeli di non radunarsi più, essendo coinvolto un grave rischio economico che danneggerebbe profondamente le comunità.

In effetti, i Nuovi Regolamenti (NR) sembrano mirare anzitutto a eliminare l’esperienza delle comunità non ufficiali. Subito dopo il varo dei NR, per diversi mesi polizia e rappresentanti dell’Ufficio affari religiosi hanno incontrato in modo capillare vescovi, sacerdoti e fedeli laici delle comunità sotterranee per “bere una tazza di tè” e “consigliare” loro di registrarsi nelle comunità ufficiali. Questo spiega le diverse “vacanze costrette” a cui è stato sottoposto il vescovo di Wenzhou, mons. Pietro Shao Zhumin, o le lezioni di indottrinamento di sacerdoti in Hebei, Henan, Mongolia interna…

Tolleranza zero per le comunità sotterranee

Sembra ormai che vi sia “tolleranza zero” per le comunità non ufficiali. Fra le zone più colpite vi sono Hebei, Henan, Zhejiang, Fujian. Un esempio fra tutti è il destino di una decina di chiese nella diocesi di Qiqihar, tutte chiuse, e con alcuni sacerdoti cacciati via e riportati con la forza ai loro villaggi d’origine.

Dalla fine di settembre 2018, almeno sette chiese e le relative comunità sono state soppresse in quella diocesi, il cui vescovo, mons. Giuseppe Wei Jingvi, è riconosciuto dalla Santa Sede, ma non dal governo. Membri del Fronte unito, polizia, rappresentanti dell’Ufficio affari religiosi sono entrati nelle chiese mentre si celebrava la messa, hanno interrotto i servizi liturgici, cacciato via i fedeli, li hanno minacciati e decretato la chiusura delle comunità. Le comunità penalizzate sono quelle di Shuang Fa, Zhangzhou, Feng Le, Wu Yuan, Wu Da Lian Chi, Tong Bei, Jia Ge Da Qi.

Ad alcuni sacerdoti è stato richiesto di lasciare il territorio, se non volevano essere espulsi con la forza. Le comunità soppresse sono tutte “sotterranee”, ossia non registrate. Esse però vivevano in buone relazioni con le autorità del luogo da anni, che facilmente chiudevano un occhio sui loro raduni.

Un altro esempio-chiave è quanto succede nell’Henan, dove quasi tutte le diocesi – meno Anyang –non sono riconosciute dal governo e dove la campagna per distruggere le comunità sotterranee e far registrare i sacerdoti è molto forte.

Nell’aprile 2018 una chiesa è stata distrutta a Hutuo (Xicun, Gongyi), nella diocesi di Luoyang. Nella stessa diocesi, alcuni giorni dopo, la tomba e la lapide del vescovo sotterraneo mons. Li Hongye (1920-2011) sono state dissacrate. I fedeli pensano che la violenza contro la tomba sia dovuta al fatto che sulla lapide vi erano i segni della sua carica episcopale, non riconosciuta dal regime.

Il 28 aprile scorso, le autorità locali di Weihui, nella diocesi di Anyang, hanno distrutto le grandi croci di ferro che svettavano sui due campanili. Due video dell’operazione, giunti ad “Asia News”, mostrano personale tecnico che su alte gru trasporta una delle croci. Sul sagrato della chiesa vi sono decine di poliziotti che prevengono possibili critiche e resistenze. Molti fedeli, impotenti contro il sopruso, sono inginocchiati sui gradini del sagrato a pregare e cantare. I fedeli sono rimasti in preghiera per tutta la giornata.

Controllo per le comunità ufficiali

Anche la Chiesa ufficiale risente dei controlli più serrati e intolleranti. Qualche esempio: nella notte fra il 6 e il 7 maggio 2019 è iniziata la demolizione della chiesa cattolica del villaggio di Shen Liu nella diocesi di Handan (Hebei). La distruzione è avvenuta per ora togliendo una grande croce dal campanile, ma presto si comincerà a intaccare le mura. Le autorità locali hanno motivato la loro decisione per il fatto che la chiesa e la croce sono “troppo visibili” dalla vicina autostrada e le auto che passano possono essere distratte dal simbolo cristiano e dall’edificio. Esse dicono anche che la chiesa non ha tutti i permessi di costruzione. I fedeli affermano invece che la chiesa – della comunità ufficiale – è stata edificata col permesso dell’Ufficio affari religiosi. Secondo alcuni sacerdoti della diocesi, il governo locale ha già programmato la distruzione di altre 23 chiese, tutte della comunità ufficiale.

Nel mese di luglio e agosto 2018, due chiese (ufficiali) sono state distrutte in nome dell’urbanistica a Qinwang e Liangwang (Shandong); i loro terreni vengono sequestrati per lo sviluppo edilizio senza alcun compenso.

Nell’ottobre 2018 due santuari dedicati alla Madonna sono stati smantellati e privati delle statue. Si tratta del santuario di Nostra Signora dei Sette Dolori a Dongergou (Shanxi), e del santuario di Nostra Signora della Beatitudine, conosciuta anche come “Nostra Signora della Montagna” ad Anlong (Guizhou).

Alcuni fedeli hanno detto ad “Asia News” che le statue del santuario di Dongergou sono state sequestrate in nome della “sinicizzazione”: le autorità hanno dichiarato che vi erano “troppe croci” e “troppe decorazioni oltre ogni limite” e per questo andavano rimosse e distrutte.

Il santuario di Nostra Signora della Montagna ad Anlong è stato distrutto perché le autorità hanno dichiarato che esso mancava dei permessi necessari alla costruzione.

Sacerdoti e vescovi sono vittima di questo giro di vite: p. Liu Jiangdong, di Zhengzhou (Henan), dall’ottobre 2018 è stato cacciato dalla sua parrocchia col divieto di vivere come sacerdote, per aver osato organizzare incontri coi giovani anche al di sotto dei 18 anni, contravvenendo al divieto di dare educazione religiosa ai minori.

E qui vale anche la pena ricordare – anche se il suo caso è più antico dei NR – mons. Taddeo Ma Daqin, vescovo di Shanghai, dal 2012 in isolamento e agli arresti domiciliari per aver osato distaccarsi dall’Associazione patriottica. Anche il suo ripensamento non è servito a nulla perché l’AP “non si fida di lui”.

Sinicizzazione

Il controllo sulla vita della Chiesa avviene anche attraverso la “sinicizzazione”, che pur mettendo in luce la necessità di inculturare la fede, esalta un patriottismo nazionalista irrispettoso della fede e delle sue espressioni. In nome della sinicizzazione, la Chiesa non solo deve assimilare la cultura cinese ed esprimere il suo credo con categorie cinesi, ma deve elaborare teologie, storia, opere d’arte secondo la cultura cinese. Chi verifica tale lavoro è sempre l’Associazione Patriottica.

La spinta all’inculturazione è diventata anche iconoclastia e distruzione di opere d’arte del passato (“troppo occidentali”), di decorazioni esterne e interne delle chiese, di eliminazione delle croci dai campanili, di distruzioni di cupole e facciate “non in stile cinese”. Perfino i distici augurali per il Capodanno cinese non devono avere segni religiosi, né frasi religiose, ma essere in stile cinese (ateo?) ed è proibito per le chiese vendere distici con espressioni religiose; ai fedeli è proibito esporli davanti alle loro case.

Il tema sinicizzazione è stato lanciato da Xi Jinping già nel 2015. Dopo un’analisi della situazione, in cui il Partito comunista cinese teme di fare la fine dell’URSS, il 20 maggio 2015, in un incontro con il Fronte unito, Xi ha decretato che le religioni debbono "sinicizzarsi” se vogliono continuare a vivere in Cina. La stessa cosa è stata ribadita a un incontro nazionale sugli affari religiosi nell’aprile 2016, per poi sfociare nelle sue annotazioni sulle religioni al 19mo Congresso del PCC, nell’ottobre 2017.

Per Xi Jinping, sinicizzazione significa:

1. assimilazione delle religioni alla cultura cinese “eliminando influenze esterne” dal punto di vista culturale;

2. indipendenza da ogni influenza straniera;

3. sottomissione al Partito comunista cinese e alla sua leadership.

In tal modo si comprende come mai – in nome del patriottismo e del sostegno al Partito - si obbligano le comunità a issare la bandiera della Cina su ogni edificio religioso, a cantare inni patriottici prima delle funzioni, a esporre il ritratto di XI Jinping perfino sugli altari.

Si comprende anche un altro elemento: le distruzioni che avvengono in Cina non sono solo il frutto dello zelo di qualche autorità locale, ma rispecchiano e hanno la copertura dei leader a livello nazionale e del leader sommo, esaltato come “il cuore della leadership”.

La sinicizzazione è un modo per far svanire la presenza pubblica della Chiesa. Come reso evidente dalle note di un incontro interno all’AP (ricevuto nei giorni scorsi), per il futuro si terrà presente che le chiese “non siano monumentali”, che non siano visibili da incroci o grandi strade, che “non abbiano caratteristiche occidentali (romaniche, gotiche, arabe…)”, che non ospitino alcuna funzione sociale (aiuto a pensionati, asilo per bambini, ecc.). Insomma: salvaguardando una minima libertà di culto, si rende sempre più invisibile il luogo di culto e la sua carità.

L’accordo Cina-Vaticano

L’accordo provvisorio fra Cina e Santa Sede, firmato il 22 settembre 2018, non ha cambiato questa situazione di controllo e soffocamento. È vero che l’accordo è in qualche modo una conquista, dato che per la prima volta nella storia della Cina moderna il papa è riconosciuto capo della Chiesa cattolica anche in Cina. Perlomeno, questo è quanto ha detto il Vaticano, ma non sappiamo cosa sia scritto sul testo dell’accordo, perché esso non è stato finora pubblicato.

Ad ogni modo, lo scorso dicembre, Wang Zuoan, vice-direttore del Fronte unito e già direttore dell’Amministrazione statale per gli affari religiosi, ha sottolineato ancora una volta che i principi di indipendenza e di autogestione non saranno eliminati “in nessun momento e in nessuna circostanza”.

Secondo quanto il papa avrebbe detto a un vescovo sotterraneo (mons. Guo Xijin), se non si firmava l’accordo la Cina minacciava di ordinare 45 vescovi illeciti e “indipendenti” dalla Santa Sede, creando le basi di un vero e proprio scisma. L’accordo è stato quindi un vero e proprio ricatto.

Va notato che subito dopo la firma dell’accordo, in molte regioni della Cina il Fronte unito e l’associazione patriottica hanno svolto raduni per sacerdoti e vescovi in cui si spiegava loro che “nonostante l’accordo” essi dovevano lavorare per l’attuazione di un a Chiesa “indipendente”. Le distruzioni di croci, chiese, le sessioni di indottrinamento, gli arresti sono continuati come prima dell’accordo.

Dopo l’accordo

Dopo l’accordo, si può notare la forza con cui avviene la registrazione civile del clero, facendo dei sacerdoti e dei vescovi dei veri e propri funzionari dello Stato, difensori della politica religiosa dello Stato. L’esempio viene da un documento giuntoci dal Fujian, dal titolo “Lettera di impegno per i responsabili dei luoghi di culto e per le persone consacrate”. Se si firma questo documento, il sacerdote potrà essere parroco ed esercitare il suo ministero, nei limiti previsti, altrimenti rimarrà disoccupato e potrà essere rispedito a casa sua. Lo stesso per le suore, le “persone consacrate” (in Cina il governo non permette la vita religiosa maschile).

Fra le cose che fanno più impressione vi sono:

1. L’aderire al fatto che si deve “proibire l’ingresso nella Chiesa ai minorenni”, o “non organizzare corsi di formazioni per i minorenni”. Va detto che questo divieto, oltre che contrario al Vangelo (cfr. Matteo 19,14), è contrario anche alla costituzione cinese che garantisce la libertà religiosa senza porre alcun limite di età.

2. In nome dell’indipendenza, occorre “boicottare consapevolmente gli interventi degli stranieri; non contattare potenze straniere, non accogliere gli stranieri, non accettare interviste, formazioni o invito di convegni all’estero”. In pratica: rimanere isolati e non condividere la fede con altri cattolici sparsi nel mondo. Anche questo contravviene alle Convenzioni ONU in materia di libertà religiosa e diritti civili, che pure Pechino ha firmato il 5 ottobre 1998, ma non ha mai ratificato.

3. Si pone una serie di limiti all’evangelizzazione: non si può cantare senza permesso; non si possono esporre – a casa propria! – “manifesti e insegne” a “fini evangelici”; non si possono postare on line argomenti religiosi; non si può parlare di religione nelle visite ai malati in ospedale…

Il problema è che in passato questa era la politica del governo verso le religioni, con la quale esso cercava di soffocare un corpo troppo vivo, che si sottometteva con difficoltà alle regole statali. Ora il governo esige che siano i sacerdoti e i vescovi non solo ad ubbidire, ma ad essere propugnatori della politica governativa, parte attiva nella persecuzione e nel soffocamento della vita della Chiesa.

Gli Orientamenti vaticani per la registrazione civile del clero

Subito dopo l’accordo, papa Francesco ha inviato un Messaggio ai fedeli cinesi e alla Chiesa universale in cui augurava che tutti i fedeli lavorino per la riconciliazione fra loro, nella comunione universale, con il governo e la società cinese.

A un anno dalla firma dell’accordo, sembrano apparire maggiori segni di divisione e opposizione.

Già prima dell’accordo le comunità sotterranee dichiaravano di essere “dimenticate” dalla Santa Sede perché non si teneva conto della loro esperienza di rifiuto di aderire all’AP e di non sostegno dell’indipendenza della Chiesa. Con i nuovi formulari per la registrazione del clero, che esigono di sottoscrivere l’indipendenza, essi si trovano ancor più impacciati di prima.

Il maggior impaccio è dovuto:

1. al fatto che il governo, forte della firma dell’accordo, blandisce i sotterranei dicendo che “anche il Vaticano è d’accordo con noi”;

2. nei documenti vaticani, nei commenti all’accordo, nell’accoglienza totale dei 7 vescovi scomunicati, i sotterranei vedono un “superamento storico” della loro posizione.

Anche fra molti sacerdoti ufficiali serpeggia l’insoddisfazione per un accordo che non dà maggiore libertà religiosa, ma anzi rende sacerdoti e vescovi “funzionari dello Stato”. In più, sacerdoti e vescovi, invece di porre gesti di riconciliazione con i sotterranei, si rinchiudono nel ruolo di funzionari disinteressandosi alla loro sorte, e arrivano fino ad accusare i non ufficiali di “non seguire il papa”.

Nella Chiesa universale, in nome dell’accordo e della “pazienza” che occorre dimostrare verso Pechino, molto spesso si tacciono le persecuzioni, si dice che “va tutto bene” e si accusa chi denuncia le persecuzioni di farlo “per secondi fini”.

Negli ultimi mesi, da parte vaticana sembrano emergere ripensamenti sull’accordo e sul modo in cui viene attuato.

In un’intervista a Vatican News del 3 febbraio 2019, il card. Fernando Filoni, per primo nel mondo vaticano, ha ammesso che vi sono “perplessità” sull’accordo e che il governo “obbliga” all’adesione all’AP, invece di lasciare “facoltativa” tale adesione, come avrebbe dovuto essere nell’accordo.

Egli critica anche un “patriottismo” fatto di nazionalismo egoista e chiuso, pur sostenendone uno fatto di vero amor patrio e servizio al Paese.

Il 28 giugno 2019 “la Santa Sede” ha pubblicato gli “Orientamenti pastorali per la registrazione civile del clero in Cina”. In essi si ammette che vi siano “difficoltà” nell’attuazione dell’accordo. In maniera un po’ indiretta, si fa notare che verso sacerdoti e vescovi avvengono violenze e costrizioni che sono contrarie alla dottrina cattolica, “nonostante l’impegno assunto dalle Autorità cinesi di rispettare anche la dottrina cattolica”.

In più, il documento precisa quale “indipendenza” occorre sottoscrivere (quella politica, non quella verso il papa) e dà indicazioni di come salvaguardare la coscienza cattolica nel momento della firma della registrazione.

Il documento esorta poi alla pazienza e alla riconciliazione fra le comunità ufficiale e sotterranea, rispettando le scelte rispettive, sperando che in futuro si possa chiarire tutto con le autorità cinesi.

Per diversi sacerdoti ufficiali e sotterranei, il documento è “ambiguo” perché lascia che ognuno decida per conto suo senza indicare alcuna “regula fidei”.

Inoltre, come ha sottolineato un mio confratelli del PIME, il testo degli Orientamenti “non prende in considerazione i dati di fatto delle restrizioni vigenti sulle strutture della Chiesa e soprattutto sulla vita dei cattolici (in particolare per la gioventù sotto i 18 anni) e di misure indebite nel nome della ‘sinicizzazione’. Non sembra capire, soprattutto, l’intento chiaro delle autorità cinesi di ridurre la Chiesa ad una istituzione statale e il clero a funzionari di Stato”.

Da parte dello Stato cinese, è evidente che con l’accordo esso sta realizzando quanto stabilito già nel 1982 con il famoso “Documento 19”: con esso il Partito smette di prendere iniziative per eliminare le religioni, perché ogni iniziativa di questo tipo è ritenuta contro-producente. Ma il Partito si arroga il diritto di prendere un totale controllo delle religioni.

Da questo punto di vista, quanto avviene con la registrazione del personale religioso è in linea con questo progetto e il fatto di aver riconosciuto il papa come “capo della Chiesa cattolica” o meglio del “Vaticano”, non cambia nulla della loro visione: la Chiesa cinese appartiene allo Stato e nessun “potere straniero” può dire nulla su questo, senza essere accusato di “intromissione negli affari interni della Cina”.

D’altra parte, il silenzio da parte vaticana e della Chiesa mondiale sulle persecuzioni, le distruzioni, i divieti, conferma Pechino nella sua visione: la Chiesa cinese è una Chiesa nazionale che appartiene soltanto allo Stato.















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