La sentenza della Corte costituzionale sull’assistenza al suicidio è inaccettabile secondo molti esponenti del mondo cattolico a partire dalla stessa CEI. Ma sono reazioni che nascondono valutazioni molto diverse sul da farsi e ricostruzioni molto distanti su cosa si doveva fare. E poi c'è anche chi applaude alla decisione della Corte. Come il giurista D'Agostino e Lucetta Scaraffia, i quali svelano una inquietante deriva eutanasica per via cattolica.
La sentenza della Corte costituzionale sull’assistenza al suicidio è inaccettabile. Così si sono espressi ieri molti esponenti del mondo cattolico e la stessa Presidenza della CEI. Mauro Ronco, presidente del Centro Studi Livatino, l’ha qualificata “aberrante”. Il Comitato Verità e Vita ha parlato di “prospettiva etica e giuridica che contraddice la ragion d’essere stessa del diritto e della medicina” e Massimo Gandolfini, giudicando “irricevibile” la sentenza, ha usato un’espressione funerea: “deriva mortifera”. Il bioeticista Adriano Pessina ha parlato di “scelta grave eticamente e giuridicamente” e di “implicita istigazione al suicidio” e le sue parole sono state addirittura rilanciate da Famiglia Cristiana. Alfredo Mantovano lamenta che la Corte non sancisce l’illegittimità rispetto alla Costituzione dell’articolo 580 che punisce l’aiuto al suicidio, “ma per molti aspetti fa peggio”. Il consigliere del CSM Paola Braggion parla di “qualcosa che si è sciolto, sgretolato”. Anche Avvenire titola “condizioni di morte”. La Conferenza episcopale italiana ha manifestato “sconcerto e distanza” nei confronti della sentenza della Consulta.
Dietro queste affermazioni però, si nascondono valutazioni anche molto diverse sul da farsi e ricostruzioni molto distanti tra loro su cosa si doveva fare, tuttavia possiamo dire che dal mondo cattolico, ampiamente inteso, siano giunti giudizi di stroncatura dell’operato della Corte Costituzionale.
Con una eccezione, però, anzi con due.
La prima è quella dell’insospettabile Francesco D’Agostino, non nuovo a questi smarcamenti e, bisogna dire, coerente con se stesso dopo la virata rispetto ad anni fa. Del resto si era dichiarato favorevolissimo anche alla legge 219 sul fine vita che tutti dicevano essere eutanasica, suscitando moti di convulsione e rigetto dentro l’Unione Giuristi Cattolici da lui presieduta. Sul Sole 24 Ore di ieri 26 settembre egli ha negato che la sentenza della Corte contenesse una apertura all’eutanasia. A parte il fatto che tra suicidio assistito ed eutanasia non c’è alcuna differenza, come opportunamente precisato dal Cardinale Bassetti nell’incontro dell’11 settembre scorso sul tema, il professore – un tempo ascoltatissimo dai vertici ecclesiastici e probabilmente tuttora – ha affermato che “la risposta dei giudici delle leggi … è stata la migliore possibile. Viene rispettata l’autodeterminazione ma non l’arbitrio del paziente”.
Qual è la differenza tra autodeterminazione e arbitrio? Forse sarebbe la seguente: l’arbitrio indica che si può fare tutto, l’autodeterminazione indica invece che si può fare solo quanto la legge permette di fare. Nel primo non ci sono paletti alla volontà soggettiva, nella seconda ci sono invece dei paletti: si ha diritto ad essere aiutati a suicidarsi e si ha diritto ad aiutare a suicidarsi mediante sospensione dei sostentamenti vitali solo alle seguenti condizioni: 1, 2, 3.
Ma tutti vedono che tale distinzione è solo quantitativa in quanto il principio è lo stesso: l’arbitrio soggettivo pretende la possibile l’uccisione di un innocente, la legge gli dice di sì ma a certe condizioni. L’atto rimane sempre arbitrario in quanto contrario a principi elementari di legge naturale, solo viene circoscritto da un’altra arbitrarietà, quella dello Stato tramite la legge. Siccome né il soggetto che intende agire arbitrariamente, né la legge che vuole limitare questa sua facoltà, fanno riferimento a dei criteri oggettivi di diritto naturale, si tratta del compromesso tra due arbitri. La legge è intesa come la limitazione arbitraria dell’arbitrio e questo viene chiamato da D’Agostino autodeterminazione, ma è arbitrio.
Per D’Agostino la cornice posta dalla sentenza della Corte sarebbe “molto rigorosa”. Ma D’Agostino non ha visto quanto è successo a proposito dei “casi particolari” in cui si prevedeva la possibilità dell’aborto e come si sono talmente dilatati fino a svanire? È la sorte di tutti i paletti quella di essere spiantati e spesso a spiantarli è proprio la Consulta. Le condizioni poste dalla Corte sono molto generiche e diversamente interpretabili. Cosa vuol dire “sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili”. Per valutarle vengono chiamati in causa i medici i quali, secondo il Professore, hanno “il dovere fondamentale di verificare l’esistenza delle condizioni poste dalla Corte”. Ma se la sentenza si appoggia sulla legge 219 sul fine vita, la quale considera terapie gli interventi salvavita come idratazione e alimentazione, la valutazione dei medici è già orientata. Nulla dice D’Agostino sulla mancanza di ogni accenno all’obiezione di coscienza nel comunicato della Corte.
D’Agostino però non è solo. Anche Lucetta Scaraffia si smarca dal coro di condanna e sull’Huffington Post sempre di ieri 26 settembre dice che “non c’è né da festeggiare né da strapparsi i capelli”. La sentenza non parlerebbe di aiuto al suicidio né di eutanasia ma direbbe solo che non è punibile chi aiuta a suicidarsi: … (ma non è la stessa cosa?) Tranquilli, nessuna novità - continua la Scaraffia - già la 219 sul fine vita ammetteva la sospensione delle cure di sostegno vitale. Sì, e per questo – si dimentica di dire – era eutanasica. Per la Scaraffia “non c’è niente di male nella nuova sentenza, perché vi è soltanto stata ribadita la possibilità di rinunciare alle cure vitali già previste dalla legge”.
Rassicuranti il D’Agostino e la Scaraffia. Segno che la situazione è veramente allarmante.
Dietro queste affermazioni però, si nascondono valutazioni anche molto diverse sul da farsi e ricostruzioni molto distanti tra loro su cosa si doveva fare, tuttavia possiamo dire che dal mondo cattolico, ampiamente inteso, siano giunti giudizi di stroncatura dell’operato della Corte Costituzionale.
Con una eccezione, però, anzi con due.
La prima è quella dell’insospettabile Francesco D’Agostino, non nuovo a questi smarcamenti e, bisogna dire, coerente con se stesso dopo la virata rispetto ad anni fa. Del resto si era dichiarato favorevolissimo anche alla legge 219 sul fine vita che tutti dicevano essere eutanasica, suscitando moti di convulsione e rigetto dentro l’Unione Giuristi Cattolici da lui presieduta. Sul Sole 24 Ore di ieri 26 settembre egli ha negato che la sentenza della Corte contenesse una apertura all’eutanasia. A parte il fatto che tra suicidio assistito ed eutanasia non c’è alcuna differenza, come opportunamente precisato dal Cardinale Bassetti nell’incontro dell’11 settembre scorso sul tema, il professore – un tempo ascoltatissimo dai vertici ecclesiastici e probabilmente tuttora – ha affermato che “la risposta dei giudici delle leggi … è stata la migliore possibile. Viene rispettata l’autodeterminazione ma non l’arbitrio del paziente”.
Qual è la differenza tra autodeterminazione e arbitrio? Forse sarebbe la seguente: l’arbitrio indica che si può fare tutto, l’autodeterminazione indica invece che si può fare solo quanto la legge permette di fare. Nel primo non ci sono paletti alla volontà soggettiva, nella seconda ci sono invece dei paletti: si ha diritto ad essere aiutati a suicidarsi e si ha diritto ad aiutare a suicidarsi mediante sospensione dei sostentamenti vitali solo alle seguenti condizioni: 1, 2, 3.
Ma tutti vedono che tale distinzione è solo quantitativa in quanto il principio è lo stesso: l’arbitrio soggettivo pretende la possibile l’uccisione di un innocente, la legge gli dice di sì ma a certe condizioni. L’atto rimane sempre arbitrario in quanto contrario a principi elementari di legge naturale, solo viene circoscritto da un’altra arbitrarietà, quella dello Stato tramite la legge. Siccome né il soggetto che intende agire arbitrariamente, né la legge che vuole limitare questa sua facoltà, fanno riferimento a dei criteri oggettivi di diritto naturale, si tratta del compromesso tra due arbitri. La legge è intesa come la limitazione arbitraria dell’arbitrio e questo viene chiamato da D’Agostino autodeterminazione, ma è arbitrio.
Per D’Agostino la cornice posta dalla sentenza della Corte sarebbe “molto rigorosa”. Ma D’Agostino non ha visto quanto è successo a proposito dei “casi particolari” in cui si prevedeva la possibilità dell’aborto e come si sono talmente dilatati fino a svanire? È la sorte di tutti i paletti quella di essere spiantati e spesso a spiantarli è proprio la Consulta. Le condizioni poste dalla Corte sono molto generiche e diversamente interpretabili. Cosa vuol dire “sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili”. Per valutarle vengono chiamati in causa i medici i quali, secondo il Professore, hanno “il dovere fondamentale di verificare l’esistenza delle condizioni poste dalla Corte”. Ma se la sentenza si appoggia sulla legge 219 sul fine vita, la quale considera terapie gli interventi salvavita come idratazione e alimentazione, la valutazione dei medici è già orientata. Nulla dice D’Agostino sulla mancanza di ogni accenno all’obiezione di coscienza nel comunicato della Corte.
D’Agostino però non è solo. Anche Lucetta Scaraffia si smarca dal coro di condanna e sull’Huffington Post sempre di ieri 26 settembre dice che “non c’è né da festeggiare né da strapparsi i capelli”. La sentenza non parlerebbe di aiuto al suicidio né di eutanasia ma direbbe solo che non è punibile chi aiuta a suicidarsi: … (ma non è la stessa cosa?) Tranquilli, nessuna novità - continua la Scaraffia - già la 219 sul fine vita ammetteva la sospensione delle cure di sostegno vitale. Sì, e per questo – si dimentica di dire – era eutanasica. Per la Scaraffia “non c’è niente di male nella nuova sentenza, perché vi è soltanto stata ribadita la possibilità di rinunciare alle cure vitali già previste dalla legge”.
Rassicuranti il D’Agostino e la Scaraffia. Segno che la situazione è veramente allarmante.
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