Incoronazione della seconda moglie dell'imperatore Ferdinando II,
davanti al jubé della cattedrale di Ratisbona (incisione su cuoio del 1630)
D.- Tuttavia, non vi era già nel Medioevo un altare destinato al popolo, oltre all’altare maggiore, come al giorno d’oggi?
R.- È esatto nella misura in cui, nelle chiese cattedrali e nei monasteri, vi era come regola generale – dopo la fine dell’epoca romanica – un altare destinato al popolo, posto davanti al pontile-tramezzo (jubé). Quest’ultimo era una specie di chiusura del coro, ma un po’ più alta di quella delle chiese primitive, con due entrate che davano sul coro dei canonici o dei monaci, i quali, in tal modo, si trovavano separati dal resto della chiesa. In virtù della croce posta al di sopra di questo altare, o più esattamente sul jubé, tale altare veniva chiamato “altare della croce”.
È su tale altare che, in queste chiese, si celebrava la messa per il “popolo” [1], come ogni altra messa destinata ad avere numerosi partecipanti, come la messa solenne per i funerali oppure, in una chiesa cattedrale, quella per l’incoronazione di un sovrano (cfr. la figura d’apertura). Per di più si predicava dall’alto del jubé. Solo le messe conventuali (solenni) venivano celebrate all’altare maggiore, nel coro.
Dunque, in primo luogo la funzione del jubé non era di elevare una barriera fra il clero e il popolo – e per questo non può essere paragonato all’iconostasi bizantina –, ma era ben diversamente destinato a creare, per i canonici o i monaci, uno spazio apposito in cui si potessero svolgere le funzioni liturgiche in coro – liturgia delle ore e messa conventuale – senza essere disturbati.
Per ragioni sia liturgiche sia architettoniche è stato del tutto irragionevole fare sparire il jubé e l’altare della croce, com’è accaduto quasi ovunque in Germania all’epoca dei Lumi, su ordine delle autorità secolari [2].
Come allora si procedette a importanti modifiche architettoniche all’interno delle chiese – onde consentire che i fedeli potessero guardare direttamente l’altare maggiore –, così oggi, in seguito al Concilio, quasi tutte le chiese antiche sono state ritoccate con dei lavori di “rinnovamento”.
Chi percorra oggi il mondo e visiti le chiese, scopre, per la sistemazione del santuario, le soluzioni più singolari. È così che, soprattutto in Italia, quando è stato possibile, gli altari barocchi sono stati privati della loro tavola d’altare, rimpiazzata dai seggi del celebrante e dei suoi assistenti. Si può pensare che sia la meno felice delle soluzioni, visto che la pala perde così la sua antica funzione di riferimento al sacrificio eucaristico per vedersi “degradata”, al punto da servire quale schienale dei preti.
Ma nella maggior parte dei casi, l’antico altare maggiore, con il suo tabernacolo, non serve più che a conservare la santa comunione. Occorre allora rassegnarsi al fatto che il sacerdote, il quale sta all’altare rivolto verso il popolo, giri costantemente la schiena al tabernacolo, al quale sin qui erano fissati gli occhi dei fedeli in preghiera. All’occasione, è la corale parrocchiale che s’installa sui gradini dell’altare maggiore, con i cantori che volgono anch’essi le spalle al tabernacolo e si servono della tavola d’altare per poggiarvi i loro diversi accessori.
Ecco perché, quando le considerazioni artistiche lo hanno permesso, l’altare maggiore è stato totalmente soppresso, per conservare l’eucaristia in un tabernacolo murale laterale. Si è dunque immediatamente posto il problema di come occupare lo spazio così liberato dell’abside. Sono state applicate varie soluzioni. Spesso vi si è installato l’organo, con la sua cassa decorativa, oppure, per la maggior parte del tempo, la corale parrocchiale. Oppure si è semplicemente appesa l’antica pala d’altare o un pendone di valore al muro dell’abside, come fossero degli ornamenti.
In definitiva, nessuna di queste soluzioni è soddisfacente, poiché, installando un nuovo altare, per di più dall’apparenza molto modesta, si è fatto sparire il centro di gravità spaziale costituito dall’altare maggiore, così come era stato concepito dall’architetto che aveva costruito la chiesa. Senza alcun dubbio, Alfred Lorenzer ha ragione allorché scrive: “Il significato dell’altare, a questo punto, fa parte integrante della chiesa (…), che lo spostamento di questo ‘centro di gravità spaziale’ dovrebbe indurre a elaborare un piano interamente nuovo” [3].
Ciò diventa di un’evidenza impressionante nelle grandi chiese, come per esempio nella cattedrale di Spira, dove lo sguardo di coloro che entrano si posa subito sull’antico altare maggiore sormontato dal suo baldacchino. Oggi, erra nel vuoto. La tavola d’altare installata nel coro, malgrado le sue dimensioni, si nota appena in questo spazio tutto volto in altezza, e l’altare verso il popolo, alcuni gradini più in basso, non costituisce affatto un “centro di gravità spaziale”.
D.- Nell’Handbuch der Liturgie für Kanzel, Schule und Haus (Manuale di liturgia per la cattedra, la scuola e la casa) di P. Alfons Neugart (1926), si legge: “Nella basilica della Chiesa primitiva, l’altare era posto in mezzo all’abside del coro e il prete celebrante si metteva dietro di esso, rivolto verso il popolo. Sull’altare non vi erano né croce né candele. I seggi del vescovo e degli ecclesiastici erano disposti tutt’intorno, lungo il muro. È solo più tardi che l’altare venne posto contro il muro, come oggi”. È esatto?
R.- Ciò che è esatto è che nei primi secoli, i seggi dei vescovi e dei sacerdoti erano posti lungo il muro dell’abside e non ai lati dell’altare; nei territori greci essi erano spesso nettamente rialzati su diversi scalini, di modo che il vescovo, assiso sul suo trono, potesse essere visto da tutti e meglio ascoltato al momento del suo sermone, che un tempo pronunciava dal suo seggio. Il seggio centrale era sempre riservato al vescovo, come accade ancora oggi in Oriente.
È anche esatto che a quel tempo sull’altare non vi fosse né croce, né candele, né leggio per il messale, ma solo il calice e la patena con le offerte. Lo si può constatare nelle raffigurazioni medievali della messa. Se fino a un’epoca recente si usava decorare con dei fiori il pavimento della chiesa, l’altare non veniva mai decorato.
Ecco perché in genere gli altari erano piccoli, con una tavola che raramente raggiungeva un metro quadrato. Nel chiostro della cattedrale di Ratisbona vi è, per esempio, un piccolo altare massiccio in pietra, che risale a un’epoca molto antica; tuttavia, si trova anche – nell’“antica cattedrale” – un grandissimo altare (due metri e dieci per un metro e quaranta), che risale probabilmente al secolo V e rappresenta una “confessione”, vale a dire che faceva parte della tomba di un martire. Ecco spiegata la sua enorme dimensione [4]! La limitata superficie della maggior parte degli altari lasciava posto solo per le offerte del pane e del vino: questa particolarità sottolineava significativamente il carattere sacrificale della messa, come accadeva per i sacrifici dei giudei e dei pagani, nei quali solo le offerte propriamente dette trovavano posto sull’altare.
Gli altari a forma di tavola di grandi dimensioni erano rari nei tempi antichi. Eppure, al pari degli altri che abbiamo menzionato, anch’essi erano riccamente ornati di stoffe preziose che cadevano dai quattro lati fino a terra, di modo che le tavole che ricoprivano non si presentavano come tali. Più tardi, in molti luoghi, si dispose sul lato anteriore degli altari un pendone di stoffa, di legno o di metallo riccamente ornato. Così che non si può affermare che il carattere di pasto della messa sia stato sottolineato dagli altari a forma di tavola.
Parleremo in seguito più a fondo della posizione del sacerdote all’altare ai tempi della Chiesa primitiva. Ora ricordiamo solo quanto scriveva sulla rivista Der Seelsorger, nel 1967, quindi poco dopo il Concilio, il P. Josef A. Jungmann, autore della celebre opera Missarum sollemnia: “L’affermazione spesso ripetuta che l’altare della Chiesa primitiva supponesse sempre che il prete fosse rivolto verso il popolo, si rivela essere una leggenda”.
Inoltre, Jungmann mette in guardia contro il pericolo che, auspicando l’adozione dell’altare verso il popolo, “se ne faccia un’esigenza assoluta e, infine, una moda alla quale ci si sottometta senza riflettere”. Secondo lui, la ragione principale di questa raccomandazione di celebrare rivolti verso il popolo è la seguente: “Vi è qui, anzitutto, l’accento esclusivo che al giorno d’oggi si ama tanto mettere sul carattere di pasto dell’eucaristia”.
Da parte sua, il cardinale Joseph Ratzinger ha sempre più messo in guardia, in questi ultimi anni, contro il rischio di considerare la liturgia sotto il solo aspetto di “pasto fraterno” [5].
[1] Ma “spalle al popolo”.
[2] Sul punto, cfr. l’articolo di K. Gamber, in Das Münster, 1985.
[3] Das Konzil der Buchhalter (Il concilio dei contabili), p. 200.
[4] Cfr. K. Gamber, Ecclesia Reginensis, pp. 49-66.
[5] Cfr. Entretiens sur la foi, Fayard, 1975, p. 158.
[Klaus Gamber, “L’autel face au peuple. Questions et réponses”, in Tournés vers le Seigneur!, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux 1993, pp. 19-55 (pp. 27-32) / 4 - continua]
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