martedì 2 agosto 2016

Cosa chiese Maria contro l’invasione degli islamici

                     

di Angelo Busetto
02-08-2016

Giovedì 4 agosto il cardinale Pietro Parolin sarà nell’isola di Pellestrina (Venezia) per i 300 anni dall’Apparizione della Madonna. Ci saranno anche il Patriarca di Venezia e il vescovo della nostra diocesi di Chioggia. Trecento anni fa, Maria toccò il braccio di un ragazzo di nome Natalino dicendogli di dire al parroco di far celebrare delle Messe per le anime del Purgatorio “se volemo avere vittoria”. Senza la vittoria della Repubblica veneta nei giorni seguenti il 4 agosto 1716, le nostre donne porterebbero il velo e noi tutti reciteremmo a memoria i versetti del Corano. Invece oggi abbiamo la grazia di portare in trionfo la Madre del Signore Gesù. Venerata nel santuario di marmo bianco che si specchia sulla laguna di Pellestrina, sùbito innalzato dalla Repubblica Veneta in segno di gratitudine, la bella immagine della Madonna nera dipinta da ignota mano, dal 18 luglio in  poi, esce di casa e inizia il suo percorso di benedizione in tutte le chiese dell'isola. In laguna, centinaia di barche - dalle più piccole ai grandi barconi da pesca - fanno risuonare clakson e trombe. Questa la sua storia. 
 
 
 
 
A Natalino Scarpa, il 4 agosto di trecento anni fa, la Madonna, prendendolo per un braccio, disse: «Vien qua fio, vai dal Piovan, e dighe che a fassa celebrare delle Messe per le aneme del Purgatorio, se volemo avere vittoria» («Vieni qui, ragazzo, vai dal parroco e digli che faccia celebrare delle Messe per le anime del Purgatorio se vogliamo avere vittoria»).
 
Di quale vittoria si trattava? Quella della Repubblica Veneta contro i turchi che invadevano il Mediterraneo e attaccavano le coste dell’Italia, depredando, uccidendo e nel caso migliore costringendo quanti catturavano – uomini e donne – a diventare musulmani. La vittoria pronosticata da Maria, patrocinata dalle Messe che la gente dell’isola di Pellestrina fece subito celebrare, è arrivata qualche giorno dopo, quando Venezia respinse i turchi a Corfù e a Pretervaradino. Non sarebbero bastate le armi a difendere le popolazioni e a garantire la fede cristiana, come non erano bastati gli eserciti a difendere Vienna assediata dai musulmani, quando il Beato Marco d’Aviano celebrò l’eucaristia e proclamò la penitenza e l’assoluzione dei soldati. Non erano bastate le flotte delle navi a Lepanto, quando Pio V proclamò la Madonna Regina del Rosario.
 
Come si difende la fede? Come si garantisce un popolo? Spezzoni di eserciti europei vanno a inseguire l’Isis nei Paesi che generano il terrorismo, mentre nelle nostre città aumentano i controlli e per le strade si disseminano drappelli sempre più numerosi di forze dell’ordine. La condizione richiesta dalla Madonna dell’Apparizione a un ragazzino di un’isola della laguna veneta, significativamente posta a barriera della città di Venezia sul frontale del mare Adriatico, è quella di celebrare delle Messe, interagendo così attraverso la più grande preghiera cristiana. Non bastano dunque le armi difensive a proteggerci; non bastano le barriere né le più raffinate tecniche investigative. Occorre la preghiera.
 
Perché? Prima di tutto perché la preghiera ci mette in braccio a Dio. Nella preghiera diventiamo collaboratori di Dio, che non ha scelto di agire da solo. Il Dio dell’alleanza nell’antico testamento e il Dio dell’amicizia nel nuovo testamento ci chiama ad essere suoi partner e collaboratori, e domanda di estendere nel mondo il Regno di pace e di fraternità attraverso la vita e la presenza dei suoi figli-alleati. La preghiera estende la forza e l’efficacia dell’azione di Dio.
 
In secondo luogo la preghiera raddrizza il nostro cuore e dice a noi stessi e agli altri chi siamo: figli di Dio e fratelli. La preghiera chiarisce e approfondisce la nostra identità, dice la nostra origine e la nostra appartenenza, rende saldo il nostro intendimento e lo scopo della vita, dona libertà e coraggio. Rende veri e saldi. Libera dall’odio, dalla violenza, dalla vendetta e dalla rappresaglia.
 
La preghiera dunque è la nostra vera vittoria. Potremo vivere o morire, con la preghiera nulla va perduto di quello che siamo, come nel caso dei martiri sorpresi a pregare e di padre Jacques Hamel ucciso mentre celebrava l’Eucaristia. L’invito della Madonna dell’Apparizione al giovane Natalino nello specchio della laguna veneta e sulla scena della storia si ripresenta oggi come l’iniziativa più urgente e più mobilitante per tutto il popolo cristiano, «se volemo avere vittoria».




 

 

Quando la Madonna salvò Venezia

      

Anno 1716. La minaccia dei Turchi incombe sulla Serenissima. Il 4 agosto a Pellestrina, isola di pescatori davanti alla laguna, la Madonna appare ad un ragazzino e gli chiede di dire al parroco di celebrare delle messe per le anime del purgatorio, se volevano aver vittoria...



di Stefania Falasca


Natalino Scarpa di Zuanne detto il Muto quel mattino se ne andava per i fatti suoi. Lì, lungo la strada di casette colorate che costeggiano il mare, tra le reti e le barche. Il passo svelto del ragazzino svicolava distratto in mezzo a quel pugno di viuzze e di certo non avrebbe fatto caso a quella vecchia donna accanto alla chiesetta dei Santi Vito e Modesto se questa non lo avesse chiamato, facendogli cenno con la mano di avvicinarsi.
Quel giorno era un martedì. Un martedì come tanti in questa striscia di terra che s’affaccia sulla laguna veneziana. Un martedì feriale da sbrigarsi come sempre tra le reti e la pesca. Non fosse stato per quella guerra che ora incombeva sulla Repubblica di Venezia, tutto procedeva come al solito fra i pescatori dell’isola lagunare.
Quel giorno, quella donna anziana chiamò Natalino e tirandolo a sé per un braccio gli disse: «Vien qua fio. Va dal pievàn e dighe ch’el faza celebrar delle messe per l’aneme del purgatorio, se volemo aver vittoria. Portame la resposta, e tel digo a ti perché ti xe degno». Il ragazzino annuì con la testa e fece proprio come la donna gli aveva detto. Andò dal pievàn, il parroco, e riferì il tutto.
Pellestrina, 4 agosto 1716. Così andarono i fatti di una delle più singolari apparizioni mariane dell’epoca moderna. A questa apparizione è legata la fine della secolare minaccia turca in Europa e l’inizio di una lunga stagione di pace per la Repubblica veneziana. Il 5 agosto 1716, infatti, l’esercito dell’Impero ottomano venne sopraffatto nella battaglia di Petervardino sul Danubio, in Serbia, Belgrado fu riconquistata e conseguentemente fu recuperata all’area di influenza occidentale questa parte impoýtante dei Balcani. Tredici giorni più tardi, il 18 agosto, la flotta turca, forte di trentamila uomini, che aveva sferrato l’attacco decisivo alla potenza marittima di Venezia per la conquista dell’Adriatico, venne sconfitta a Corfù. Un improvviso temporale disperse le navi del Gran Visir ottomano e l’esiguo numero di uomini della Serenissima, sfiancati dal lungo conflitto, poterono inaspettatamente avere la meglio sulle superiori forze turche. La secolare belligeranza, che nel corso del Seicento era costata, soprattutto al Dogado veneto, gravi perdite e vessazioni alla popolazione, si era così definitivamente conclusa e le autorità civili della Repubblica non tardarono a mettere in relazione la duplice vittoria sui due fronti di terra e di mare, e quindi la risoluzione della guerra, con i fatti di Pellestrina.
Quanto all’autenticità dell’apparizione e ai prodigi miracolosi che l’accompagnarono, non sembra ci sia molto da discutere, dal momento che esistono precise testimonianze, un regolare processo canonico e una chiara sentenza di approvazione e di solenne conferma dell’origine soprannaturale di quei fatti da parte dell’autorità ecclesiastica. Proprio di recente sono stati ritrovati, nell’archivio diocesano di Chioggia, i documenti originali relativi al caso. È l’attuale parroco del Lido di Pellestrina, don Paolo Vianello, a mostrarci il prezioso volume.

«Poi mi sono stancato
e sono andato a scuola»


Tra i documenti fondamentali c’è il verbale del processo canonico.
Il verbale si apre proprio con la relazione di don Paolo Zennaro, il pievano della chiesa parrocchiale di Ognissanti, a cui il ragazzino aveva subito riferito l’accaduto. Lo Zennaro, nella relazione, presentato il fatto, riporta le parole dettegli da Natalino affermando che aveva poi rivolto delle domande al ragazzo per appurare la veridicità del racconto e che si era preoccupato di informarsi se altri a Pellestrina avessero visto una donna così come il ragazzo l’aveva descritta. Per quanto riguarda Natalino, precisa: «Non è un ragazzo stravagante, anzi, è putto piuttosto semplice, figlio di poveri pescatori, va a scuola per imparare a leggere e a scrivere e non è ancora stato ammesso alla prima comunione»; quindi conclude: «Ritengo che quanto il ragazzo mi ha riferito possa esser vero e successo, considerando la semplicità dello stesso, e che certo non poteva esser indotto né da propria malizia né da persona alcuna, come putto che non bada a tali cose». Il sacerdote riferisce inoltre che, dopo l’incontro di Natalino con quella donna, si erano verificati alcuni episodi straordinari. Quello stesso giorno, infatti, in seguito al diffondersi della notizia dell’accaduto e alla spontanea raccolta di offerte per le messe da destinare alle anime del purgatorio – per le quali, precisa il parroco, erano state raccolte diciassette lire e mezza – molta gente si era radunata alla chiesetta, accanto alla quale era stata vista da Natalino la donna, e tanti avevano asserito di aver visto l’immagine raffigurante la Madonna del Carmine, che lì è custodita, muovere ripetutamente gli occhi. Non solo: alcuni malati erano stati improvvisamente guariti.
In seguito a tali avvenimenti, per i quali si rendeva necessario un sollecito chiarimento, il parroco ritenne opportuno informare immediatamente la curia di Chioggia. Così, subito, il giorno seguente, 5 agosto, il vescovo di Chioggia manda a chiamare Natalino Scarpa e il 6 agosto il ragazzino viene interrogato.
Ecco come il ragazzo risponde al tribunale ecclesiastico. Domanda: «Puoi immaginarti la causa del fatto che sei stato chiamato dalla giustizia?». Natalino: «Penso che la giustizia mi abbia chiamato per dire la verità su quello che ho visto». Gli viene allora chiesto di descrivere l’aspetto di quella donna, e lui risponde: «Era vecchia, ma non saprei dire quanti anni, aveva le guance bianche e un po’ cadenti, aveva in testa un copricapo bianco, un fazzoletto che scendeva sotto le braccia e aveva un vestito fatto a stelle». Non sa dire però di che colore fosse il vestito, «non l’ho notato», afferma, «perché dopo aver dato un’occhiata a quelle stelle, che erano rosse rosse, l’ho subito guardata in faccia». Quella donna per Natalino non aveva ornamenti particolari, né emanava dalla sua figura un qualche splendore. «Era schietta», dice. «A chi poteva assomigliare?», chiede l’interrogante, e Natalino: «Somigliava alla madre del mio maestro». «E se fosse stata veramente la madre del tuo maestro?». «Signor no», risponde deciso, «perché la madre del mio maestro è più bassa, e poi non si veste come era vestita questa». Anche di fronte alle domande più capziose e diffidenti, dimostra la stessa fermezza: «Se lei crede che io sia battezzato, così è vero quello che ho detto». Di fronte agli ammonimenti riguardo al peccato di presunzione, in riferimento all’espressione da lui riportata («lo dico a te perché tu sei degno»), con altrettanta semplicità risponde: «Signore, io considero poco queste cose perché so che sono un niente».
Natalino risponde effettivamente solo su quello che ha visto e udito e lo dice con una sicurezza disarmante e assoluta. Tanto che, quando più avanti l’interrogante gli chiede informazioni riguardo al movimento degli occhi dell’immagine mariana custodita nella chiesetta, risponde che lui questa cosa non l’ha vista, e taglia corto: «Poi mi sono preoccupato a fare i fatti miei». Natalino non si attribuisce un ruolo importante nella storia e nelle miracolose vicende di cui la storia è successivamente intessuta. «A casa l’ho detto alla mia signora madre, questa l’ha detto ad altre donne e queste hanno voluto che raccontassi il fatto, ma poi mi sono stancato e sono andato a scuola». Dopo aver svolto prontamente un compito richiesto vuole tornare alle sue incombenze consuete. E questo suo atteggiamento ha deposto subito a favore della sua attendibilità.

La Madonna chiese
solo di dire delle messe


Per Natalino, colei che quel giorno aveva visto, era solo una donna, e così la chiamava, «quella donna». Di certo non poteva sapere che la figura da lui vista era identica all’immagine di Maria custodita nel santuario mariano della Madonna della Navicella di Chioggia, né avrebbe saputo collegare le parole da lei riferitegli a particolari del luogo preciso in cui era apparsa. La chiesetta accanto alla quale l’aveva incontrata era dedicata ai santi Vito e Modesto, protettori dai pericoli del mare, posti dalla pietà pubblica veneziana a presidio dei veneti e alla salvezza della città; e la Madonna del Carmine (che in quella chiesetta era raffigurata proprio tra i santi Vito e Modesto) rappresenta una protezione dalle guerre, ed è invocata soprattutto per il suffragio delle anime dei morti.
A Natalino la Madonna si era manifestata come una semplice donna del popolo incontrata per la strada, una donna anziana. Fatto, questo, alquanto inusuale nella storia delle apparizioni mariane. Come inusuale in questa vicenda è l’atteggiamento mostrato dalle autorità civili che, in questo caso, mostrano da subito un’attenzione sollecita allo svolgersi degli eventi, come documenta lo stretto giro di corrispondenza tra il podestà di Chioggia e le massime autorità della Serenissima. Il 6 agosto, infatti, il giorno stesso dell’interrogatorio di Natalino, il podestà di Chioggia invia al Senato della Repubblica un’informativa sui fatti e la risposta del doge non si fa attendere. L’8 agosto, il doge delibera prudentemente di sospendere il proprio giudizio, ma chiede che il podestà si faccia interprete presso la curia perché sia avviato un regolare processo canonico, teso ad appurare la verità dei fatti. Afferma inoltre che l’autorità civile si sarebbe scrupolosamente attenuta al giudizio definitivo dell’autorità ecclesiastica. Il messaggio dell’apparizione costituiva per le autorità della Serenissima, in quel particolare frangente, un motivo sufficiente per giustificarne l’attenzione e l’interesse, considerato soprattutto il timore fondato di una disfatta imminente, che avrebbe messo in pericolo la sopravvivenza stessa della Repubblica. Tanto più che, proprio a causa di questo timore, il Senato aveva già provveduto a far esporre in San Marco, alle suppliche del popolo, la venerata immagine della Madonna Nicopoeja.
E fu proprio il Senato, un anno dopo, a conclusione del processo canonico, il 14 luglio 1717, a stabilire che nella chiesetta dei Santi Vito e Modesto in Pellestrina fossero istituite delle mansionerie per la celebrazione di due messe quotidiane, e fosse posta una lampada d’argento affinché ardesse perennemente davanti all’immagine miracolosa. Nell’anniversario dell’apparizione annunciò poi la decisione di far costruire in quello stesso luogo un santuario «per venerarsi», è scritto nel decreto, «quella sacra immagine di Maria Vergine, quale ivi dichiaratasi particolare protettrice della Repubblica nostra che da gravi decorsi anfratti guidò nel seno della pace».
Fuori della chiesa ora c’investe un vento autunnale. Ci incamminiamo, in compagnia del parroco, lungo quelle viuzze in riva al mare che portano al santuario, le stesse che tre secoli fa condussero Natalino Scarpa a quell’incontro. «Certo oggi si potrebbe pensare che questa apparizione non sia politicamente corretta» dice sorridendo don Paolo. «Ma la richiesta di Maria è stata semplicissima: chiese solamente delle messe in cambio della pace. Così poco, in un certo senso immediato, per così tanto. Una semplicissima serie di messe, di cui non specifica neanche il numero e per solo diciassette lire e mezza».

(Ha collaborato
Eugenio Andreatta)

 
 
 
 

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