è cambiato tutto, o non è cambiato nulla? Cosa dice Amoris laetitia? Che questa domanda, su cui decine di commentatori si sono confrontati con risposte diverse, sia possibile, è già di per sè un problema. Che poi il quid stia, all'interno di un lungo documento, in una nota a piè di pagina, la quale da sola cambierebbe una dottrina e una prassi millenaria, rende le cose molto "curiose". Che infine, la risposta di chi la nota l'ha firmata, sia sibillina, trasforma il tutto in rebus indecifrabile.
In passato, richiesto sulla posizione della Chiesa riguardo ai matrimoni gay, papa Francesco preferì rimandare al catechismo della Chiesa cattolica, testo molto chiaro, sebbeno poco conosciuto dai giornalisti che lo interrogavano. Nella conferenza stampa sul volo di ritorno dall'isola di Lesbo, si è ripetuto qualcosa di simile. Così il giornalista: «Alcuni sostengono che niente sia cambiato rispetto alla disciplina che governa l’accesso ai Sacramenti per i divorziati e i risposati, e che la legge e la prassi pastorale e ovviamente la dottrina rimangono così; altri sostengono invece che molto sia cambiato e che ci sono tante nuove aperture e possibilità. La domanda è per una persona, un cattolico che vuole sapere: ci sono nuove possibilità concrete, che non esistevano prima della pubblicazione dell’Esortazione o no?».
Questa la risposta del Papa: «Io potrei dire “si”, e punto. Ma sarebbe una risposta troppo piccola. Raccomando a tutti voi di leggere la presentazione che ha fatto il cardinale Schönborn, che è un grande teologo. Lui è membro della Congregazione per la Dottrina della Fede e conosce bene la dottrina della Chiesa. In quella presentazione la sua domanda avrà la risposta. Grazie!».
Verrebbe da domandare, ingenuamente: ma il prefetto della Congregazione della Fede di alcuni anni orsono, il cardinal Ratzinger, non aveva già dato delle risposte chiare durante il pontificato di Giovanni Paolo II? E perché chiedere al cardinal Schönborn, membro della Congregazione per la Dottrina della Fede, e non invece al cardinal Muller, attuale prefetto di quella stessa Congregazione? Forse perché avremmo due risposte differenti? Ma soprattutto: possibile che dopo un documento così lungo, dopo ben due sinodi, permanga questa confusione dottrinale?
È un anno e mezzo che si discute, nella Chiesa, di ciò che non è mai stato considerato discutibile: l'approdo può essere l'incertezza, la divisione tra cardinali, vescovi e preti che danno interpretazioni diverse?
A forza di fughe in avanti, retromarce, sinodi ordinari e straordinari, interviste aeree e terrestri, distinzioni sottilissime tra dottrina e pastorale... siamo ancora a non aver capito se è possibile o meno rompere la comunione con coniuge e figli, vivere nel contempo una nuova relazione, e ciononostante rimanenere in comunione con Cristo.
Proviamo a ricostruire brevemente alcuni fatti:
1) il Sinodo del 2014 viene anticipato da una relazione del cardinale Walter Kasper, al Concistoro del febbraio 2014, nella quale si introduce, riguardo alla dottrina insegnata dai papi precedenti, una evidente novità: la formulazione di vari casi in cui l'indissolubilità del matrimonio perderebbe, diciamo così, un po' di smalto. Indissolubilità solubile, diciamo. Ma qual'è la posizione del papa? Sembra, da alcune dichiarazioni, che egli sia in accordo con Kasper, per anni avversario di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, elogiato in più occasioni, sin dalla sua elezione, da papa Francesco. Ma da altre dichiarazioni sembrerebbe il contrario, dal momento che il Papa prende le distanze dalla casistica, sostenendo appunto che non si può farne una questione di singoli casi (Gesù «non era un fariseo casistico moralista», predica a santa Marta del 26 giugno 2014; «A me non è piaciuto che tante persone, anche di chiesa, preti, hanno detto 'Ah il sinodo per dare la comunione ai divorziati', e sono andati proprio lì, a quel punto. Io ho sentito come se tutto si riducesse a una casistica... E io non vorrei che si cadesse in questa casistica...», conferenza stampa in volo dalla Terra Santa a Roma, 26 maggio 2014).
2) In effetti, nel Vangelo, quando Cristo parla del matrimonio indissolubile, lo fa con poche, chiarissime ed inequivocabili parole. La fedeltà e l'amore cristiano hano proprio questa caratteristica: non patiscono eccezioni. Che poi ci siano casi singoli, storie individuali, questo è ovvio, ma si è sempre pensato che a leggere nel profondo dei cuori possa essere solo Dio (a cui la Chiesa non potrà mai strappare la parola definitiva, e che certamente rovescerà tanti giudizi umani)
3) Esce una Relatio intermedia, a cura di mons. Bruno Forte, a metà del Sinodo del 2014: in essa vi sono aperture alla comunione ai divorziati che vivono stabilmente una relazione adulterina, aperture sul matrimonio gay... Si viene a sapere, grazie alle domande di alcuni giornalisti e alle dichiarazioni di alcuni cardinali - Napier ed Erdo su tutti - che la Relatio è un falso. L'hanno scritta mons. Bruno Forte e padre Antonio Spadaro, senza per nulla rispecchiare il parere e le idee dei padri sinodali. Non un buon inizio per una consultazione che dovrebbe essere franca, aperta, libera. Ciò che è accaduto rivela un fatto: coloro che hanno avuito il compito di gestire il Sinodo hanno una posizione ben chiara. Portano avanti il loro pensiero, costi quello che costi, non quello dei padri. Senza subire, per questa patente violazione della dignità dei confratelli, alcun richiamo.
4) La relatio intermedia viene fatta a pezzettini dei cosidetti Circoli minori, cioè dai padri sinodali. Il Sinodo si conclude con l'ennesimo scontro: chi lo guida, dopo aver inventato la Relatio intermedia, vuole censurare i testi contenenti il parere vero e particolareggiato dei padri sinodali. Alcuni cardinali, tra cui Pell, che papa Francesco ha nominato "super-ministro dell'Economia in Vaticano", si oppongono e ottengono trasparenza. Inizierà contro di lui il tiro al piccione dei grandi giornali italiani.
5) Il secondo tempo è il sinodo straordinario del 2015. Tra un sinodo e l'altro alcune testate "specializzate" vedi Avvenire e Vatican Insider - arano il terreno con interviste ed articoli quasi in una sola direzione: ne sono sempre protagonisti i novatori come Kasper, Marx, Cupich (che rappresentano una minoranza all'interno del Sinodo, ma la maggioranza tra i padri di nomina papale). Si ha inoltre, poco prima del Sinodo, una riforma dei processi canonici di nullità.
6) Anche il Sinodo del 2015 è una guerra intestina. Polarizzata su un solo fatto: concedere o meno la comunione ai divorziati che vivono una relazione adulterina? Archiviare o meno Humanae vitae, Veritatis splendor, Familiaris consortio? È evidente che i padri sinodali sono molto divisi; che il pressing mediatico internazionale non è stato sufficiente a spostare molti di loro dalla parte di Kasper. Si arriva così ad un documento aperto, che lascia le conclusioni al Papa. Sull'interpretazione di questo documento, le interpretazioni divergono. Si aspetta una parola decisiva.
7) Siamo così ad Amoris Laetitia: sapremo finalmente se sino ad oggi i nostri papi, cardinali, vescovi e preti ci hanno detto qualcosa di giusto, o ci hanno imposto solo il rigido fardello della legge?
La risposta viene da Kasper, che, prima ancora che il documento esca, ne fa la celebrazione e l'esegesi preventiva. Spiega che cambierà, finalmente, tutto. Ma proprio tutto. Viene a qualcuno il sospetto che il cardinale straparli; qualcuno invece può credere che non sia stato chiamato a fare il discorso del 2014 "per caso", e che, se Kasper parla di Amoris Laetitia, la conosce prima degli altri, e la apprezza... Difficile non chiedersi se i due Sinodi non siano stati un po' scenici, folkloristici, essendo la conclusione già scritta nell'introduzione.
Viene reso finalmente pubblico il documento finale e riparte la danza...
Al sottoscritto verrebbe voglia di chiedere il cellulare del cardinal Schönborn: «Datemi il suo cellulare, che voglio capire se per la Chiesa aver rotto il giuramento di fedeltà al proprio coniuge, magari abbandonando i figli, per unirsi ad un'altra persona, sia compatibile con le parole di Gesù». Vorrei chiedere anche se il fatto che il Papa non abbia mai detto, chiaramente, esplicitamente, che «i divorziati che vivono e intendono permanere in una condizione adulterina possono accedere alla comunione», sia dovuto, diciamo così, a prudenza, al fatto che non lo pensa, o al fatto che è lui stesso in dubbio se porsi davvero contro i suoi predecessori. Perché, infatti, se lo ritiene davvero giusto, non lo dice in modo inequivocabile, meno ambiguo, dopo quasi due anni di discussioni, e lascia che lo dicano invece, apertamente, vescovi, cardinali e giornalisti di Repubblica? Ma forse il cellulare del cardinale non serve, c'è il rischio di venire rimandati a qualche documento, chilometrico o di difficile reperibilità.
Viene spontanea una conclusione: per essere cattolici, basta rimanere attaccati al comandamento mosaico («Non commettere adulterio»), al pensiero della Chiesa (ben espresso nel giuramento «Prometto di esserti fedele sempre...») ed al Vangelo («Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non separi»). Poche parole, molto chiare, senza interpetazioni possibili. Vanno benone per noi sempliciotti, che davanti ad una crisi matrimoniale, allo sconforto di un momento difficile, potremmo rischiare di trovare, nella dottrina-pastorale del «caso per caso», una pericolosa via di fuga. Perché, visto che ogni caso è a se stante, perché il mio non dovrebbe essere proprio uno di quelli che giustificano la rottura del vincolo?
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