Mercoledì 13 aprile 2016
In un articolo pubblicato l’11 aprile su Catholic World Report, Eduardo Echeverria, professore di Filosofia e Teologia sistematica presso il Seminario Maggiore Sacro Cuore di Detroit (USA), ha espresso opinioni critiche a proposito di alcune parti del capitolo 8 dell’esortazione apostolica Amoris laetitia. Si tratta di una serie di valutazioni fatte in confronto con l’enciclica Veritatis splendor di papa Giovanni Paolo II.
Con riferimento ai paragrafi dal 303 al 305 di Amoris laetitia, il professore si chiede: “Come può Dio chiedere di fare una certa cosa X, quando X è contrario alla sua volontà?” L’unico modo, scrive Echeverria, “è pensare che X in quella specifica circostanza non è contrario alla volontà di Dio, ma solo contrario alla volontà ideale di Dio”, per cui la persona può non essere ritenuta colpevole per non riuscire a compiere un certo atto.
Il riferimento è ovviamente alla spinosa questione dell’accesso ai sacramenti dei divorziati-risposati, infatti, vi sono passi in Amoris laetitia che lasciano chiaramente intendere come nell’ottica del discernimento vi possano essere situazioni in cui, pur essendovi uno stato oggettivo di peccato, potrebbe darsi una non-imputabilità soggettiva. E quindi si aprirebbe anche la via verso i sacramenti.
Secondo Echeverria tale situazione di ambiguità può condurre verso quella “gradualità della legge” che trova base in un’etica della situazione. In effetti, è vero che Amoris laetitia non ammette la “gradualità della legge”, mentre contempla una “legge della gradualità”, tuttavia resta il fatto che alcuni passi si prestano ad una certa ambiguità in merito.
«Sarebbe un errore gravissimo concludere,” si legge in Veritatis splendor n°103, “che la norma insegnata dalla Chiesa è in se stessa solo un “ideale” che deve poi essere adattato, proporzionato, graduato alle, si dice, concrete possibilità dell’uomo: secondo un “bilanciamento dei vari beni in questione”.
“Ma quali sono le “concrete possibilità dell’uomo”? E di quale uomo si parla? Dell’uomo dominato dalla concupiscenza o dell’uomo redento da Cristo? Poiché è di questo che si tratta: della realtà della redenzione di Cristo. Cristo ci ha redenti! Ciò significa: Egli ci ha donato la possibilità di realizzare l’intera verità del nostro essere; Egli ha liberato la nostra libertà dal dominio della concupiscenza. E se l’uomo redento ancora pecca, ciò non è dovuto all’imperfezione dell’atto redentore di Cristo, ma alla volontà dell’uomo di sottrarsi alla grazia che sgorga da quell’atto. Il comandamento di Dio è certamente proporzionato alle capacità dell’uomo: ma alle capacità dell’uomo a cui è donato lo Spirito Santo; dell’uomo che, se caduto nel peccato, può sempre ottenere il perdono e godere della presenza dello Spirito».
È in questo contesto che, prosegue Veritatis splendor al n°104, “si apre il giusto spazio alla misericordia di Dio per il peccato dell’uomo che si converte e alla comprensione per l’umana debolezza. Questa comprensione non significa mai compromettere e falsificare la misura del bene e del male per adattarla alle circostanze. Mentre è umano che l’uomo, avendo peccato, riconosca la sua debolezza e chieda misericordia per la propria colpa, è invece inaccettabile l’atteggiamento di chi fa della propria debolezza il criterio della verità sul bene, in modo da potersi sentire giustificato da solo, anche senza bisogno di ricorrere a Dio e alla sua misericordia. Un simile atteggiamento corrompe la moralità dell’intera società, perché insegna a dubitare dell’oggettività della legge morale in generale e a rifiutare l’assolutezza dei divieti morali circa determinati atti umani, e finisce con il confondere tutti i giudizi di valore.”
Infine il prof. Echevarria cita il Catechismo della Chiesa Cattolica (n°89) per dire che “tra i dogmi e la nostra vita spirituale c’è un legame organico. I dogmi sono luci sul cammino della nostra fede, lo rischiarano e lo rendono sicuro. Inversamente, se la nostra vita è retta, la nostra intelligenza e il nostro cuore saranno aperti ad accogliere la luce dei dogmi della fede.” Papa Francesco, conclude il professore, “condivide senza dubbio questa convinzione, ma, nel capitolo 8 di Amoris laetitia, si ritrova coinvolto in un labirinto che avrebbe potuto essere evitato se si fosse seguito il percorso già tracciato dal suo illustre predecessore nella Veritatis Splendor.”
FONTE: sinodo2015.lanuovabq.it
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