di Tommaso Scandroglio
11-04-2016
Questo articolo è ripreso dal dossier sulla morale cattolica pubblicato dal mensile Il Timone nel numero 151, Marzo 2016:
Il cardinale Christoph Schönborn viene intervistato lo scorso 26 settembre da Padre Antonio Spadaro per La Civiltà Cattolica. Il discorso finisce sulle convivenze e il porporato invita a «guardare e discernere in una coppia, in un’unione di fatto, in dei conviventi, gli elementi di vero eroismo, di vera carità, di vero dono reciproco. (…) Chi siamo noi per giudicare e dire che non esistono in loro elementi di verità e di santificazione?». Secondo l’alto prelato a volte ci sarebbe del bene nel male e quindi occorrerebbe valorizzarlo. La posizione di Schönborn esprime un’idea abbastanza diffusa in casa cattolica e più volte emersa nei lavori sinodali sulla famiglia. E così ci sono elementi di verità nella convivenza come l’affetto dei conviventi, etero o omosessuali che siano, o nella fecondazione omologa, come il fatto che il bambino crescerà con i suoi genitori biologici e via dicendo.
Ma la morale naturale, e quindi quella cattolica, non la pensano così. Per comprenderlo ci dobbiamo rifare alle fonti della moralità: oggetto, fine e circostanze. Fine buono e circostanze non hanno il potere di cambiare un oggetto malvagio. Rubare è malvagio. Il fine buono di farlo per i poveri – elemento buono dell’atto rubare – non cambia la natura dell’atto. La condizione positiva di aver rapinato una banca trattando con fare gentile i clienti e i cassieri non muta l’oggetto malvagio dell’atto. La condizione di aver instaurato una convivenza ricca di affetto non muta la malvagità della convivenza. La condizione di far crescere un bambino, concepito in provetta, con i propri genitori o il fine buono di avere un bambino con le tecniche di fecondazione in vitro non muta la malvagità di queste pratiche.
Quindi un fine buono e una modalità buona (condizione) di compiere un atto malvagio non mutano l’oggetto malvagio dell’atto, ma possono solo mutare la responsabilità soggettiva dell’agente: minor responsabilità per il rapinatore per aver rapinato con gentilezza rispetto ad aver usato modi bruti; minor responsabilità per il ladro per aver rubato al fine di dare tutto ai poveri; minor responsabilità dei genitori per aver fatto ricorso alla Fivet per avere un figlio e non per venderlo a terzi. La responsabilità dunque può aggravarsi o pesare di meno a seconda del fine perseguito e della circostanza. Così alcuni elementi buoni in astratto possono per paradosso ridondare negativamente sulla responsabilità individuale: rubare con destrezza accresce la responsabilità del ladro; fare il male con astuzia e raggiri è peggio per l’agente perché lo porta a fare il male con più efficacia.
È il caso di Satana: anche in lui ci sono elementi buoni, come ad esempio l’eccezionale intelligenza, però è usata per fini malvagi: meglio sarebbe per lui che facesse il male stupidamente. È peggio per la persona omosessuale “volere bene” al compagno, perché vive più profondamente l’omosessualità, tendenza intrinsecamente malvagia e la consolida in sé e nell’altra persona. È peggio per i conviventi “volersi bene”, perché fortificano un vincolo che è intrinsecamente disordinato: il vero affetto significherebbe volere l’oggettivo bene dell’altro e la convivenza non è il bene dell’altro. Quindi il valorizzare intelligenza, affetto etc. vale in ambito speculativo. In ambito pratico – cioè della morale – un talento se usato male diventa condanna per l’agente, si perverte e diventa un aggravio di colpa.
Quindi bisogna distinguere il piano teoretico/speculativo da quello morale/pratico. Nel primo caso il talento dell’intelligenza, della destrezza, l’affetto, etc. sono elementi di per sè buoni. Nel secondo caso occorre verificare come questi talenti o passioni vengono usati o come si incardinano in un dato atto. Anche Gesù lodò l’amministratore disonesto (Lc 16, 8), ma era una lode speculativa, riguardante la sua sola abilità nell’alterare i registri. Ma sul piano pratico sarebbe stato meglio per l’amministratore rubare senza destrezza perché avrebbe provocato meno danni (di cui risponderà) e non avrebbe usato di un suo talento per fini diversi da quelli voluti dalla natura e da Dio. In altre parole se la natura dell’atto o della condizione è malvagia avvelena anche tutti i frutti buoni.
E dunque potremmo concludere in sintesi che gli elementi di verità sono tali sul piano teoretico, invece sul piano pratico – dato che si sostanziano in “fine” e “circostanze” - non possono incidere su un atto che per sua natura è malvagio o su una condizione che di suo è già disordinata, ma possono solo mutare, in peggio o in meglio, la responsabilità dell’agente. Infatti a livello speculativo si parla di “verità-menzogna”, su quello morale di “bene-male”.
Questo tema che riguarda l’esistenza di presunti semina boni in malo va spesso a braccetto con quello che riguarda la dinamica della perfezione. Si argomenta così ad esempio: le convivenze non sono ancora pienezza di amore coniugale ma si instradano verso quella direzione. L’omosessualità potrebbe essere il primo passo di conversione verso una sana relazione eterosessuale. Il discorso non regge perché la perfezione è sì un cammino sempre tendente alla crescita e quindi moto verso la pienezza, ma nel senso che ad un bene si aggiunge un altro bene. Ad esempio ad una virtù se ne aggiunge un’altra oppure si vive più profondamente la stessa virtù.
Quindi la perfezione è un moto che da un bene procede verso altro bene, è un completamento di un bene. Il male non può essere incipit di pienezza, ma contraddice la pienezza. Solo la decisione di abbandonare il male è incipit di pienezza. Il male non è il primo passo verso il bene, bensì è il primo passo verso un male maggiore. Ed infatti come il bene chiama a sé altro bene (virtù), il male chiama a sé altro male (vizio). Suggerendo ai conviventi di continuare la convivenza o alle persone omosessuali di continuare ad assumere condotte omosessuali si instradano queste persone non verso la perfezione morale, bensì verso la sua degradazione. In caso contrario dovremmo suggerire ad un alcolista, come rimedio per diventare sobrio, quello di continuare a bere.
http://www.lanuovabq.it
Il cardinale Christoph Schönborn viene intervistato lo scorso 26 settembre da Padre Antonio Spadaro per La Civiltà Cattolica. Il discorso finisce sulle convivenze e il porporato invita a «guardare e discernere in una coppia, in un’unione di fatto, in dei conviventi, gli elementi di vero eroismo, di vera carità, di vero dono reciproco. (…) Chi siamo noi per giudicare e dire che non esistono in loro elementi di verità e di santificazione?». Secondo l’alto prelato a volte ci sarebbe del bene nel male e quindi occorrerebbe valorizzarlo. La posizione di Schönborn esprime un’idea abbastanza diffusa in casa cattolica e più volte emersa nei lavori sinodali sulla famiglia. E così ci sono elementi di verità nella convivenza come l’affetto dei conviventi, etero o omosessuali che siano, o nella fecondazione omologa, come il fatto che il bambino crescerà con i suoi genitori biologici e via dicendo.
Ma la morale naturale, e quindi quella cattolica, non la pensano così. Per comprenderlo ci dobbiamo rifare alle fonti della moralità: oggetto, fine e circostanze. Fine buono e circostanze non hanno il potere di cambiare un oggetto malvagio. Rubare è malvagio. Il fine buono di farlo per i poveri – elemento buono dell’atto rubare – non cambia la natura dell’atto. La condizione positiva di aver rapinato una banca trattando con fare gentile i clienti e i cassieri non muta l’oggetto malvagio dell’atto. La condizione di aver instaurato una convivenza ricca di affetto non muta la malvagità della convivenza. La condizione di far crescere un bambino, concepito in provetta, con i propri genitori o il fine buono di avere un bambino con le tecniche di fecondazione in vitro non muta la malvagità di queste pratiche.
Quindi un fine buono e una modalità buona (condizione) di compiere un atto malvagio non mutano l’oggetto malvagio dell’atto, ma possono solo mutare la responsabilità soggettiva dell’agente: minor responsabilità per il rapinatore per aver rapinato con gentilezza rispetto ad aver usato modi bruti; minor responsabilità per il ladro per aver rubato al fine di dare tutto ai poveri; minor responsabilità dei genitori per aver fatto ricorso alla Fivet per avere un figlio e non per venderlo a terzi. La responsabilità dunque può aggravarsi o pesare di meno a seconda del fine perseguito e della circostanza. Così alcuni elementi buoni in astratto possono per paradosso ridondare negativamente sulla responsabilità individuale: rubare con destrezza accresce la responsabilità del ladro; fare il male con astuzia e raggiri è peggio per l’agente perché lo porta a fare il male con più efficacia.
È il caso di Satana: anche in lui ci sono elementi buoni, come ad esempio l’eccezionale intelligenza, però è usata per fini malvagi: meglio sarebbe per lui che facesse il male stupidamente. È peggio per la persona omosessuale “volere bene” al compagno, perché vive più profondamente l’omosessualità, tendenza intrinsecamente malvagia e la consolida in sé e nell’altra persona. È peggio per i conviventi “volersi bene”, perché fortificano un vincolo che è intrinsecamente disordinato: il vero affetto significherebbe volere l’oggettivo bene dell’altro e la convivenza non è il bene dell’altro. Quindi il valorizzare intelligenza, affetto etc. vale in ambito speculativo. In ambito pratico – cioè della morale – un talento se usato male diventa condanna per l’agente, si perverte e diventa un aggravio di colpa.
Quindi bisogna distinguere il piano teoretico/speculativo da quello morale/pratico. Nel primo caso il talento dell’intelligenza, della destrezza, l’affetto, etc. sono elementi di per sè buoni. Nel secondo caso occorre verificare come questi talenti o passioni vengono usati o come si incardinano in un dato atto. Anche Gesù lodò l’amministratore disonesto (Lc 16, 8), ma era una lode speculativa, riguardante la sua sola abilità nell’alterare i registri. Ma sul piano pratico sarebbe stato meglio per l’amministratore rubare senza destrezza perché avrebbe provocato meno danni (di cui risponderà) e non avrebbe usato di un suo talento per fini diversi da quelli voluti dalla natura e da Dio. In altre parole se la natura dell’atto o della condizione è malvagia avvelena anche tutti i frutti buoni.
E dunque potremmo concludere in sintesi che gli elementi di verità sono tali sul piano teoretico, invece sul piano pratico – dato che si sostanziano in “fine” e “circostanze” - non possono incidere su un atto che per sua natura è malvagio o su una condizione che di suo è già disordinata, ma possono solo mutare, in peggio o in meglio, la responsabilità dell’agente. Infatti a livello speculativo si parla di “verità-menzogna”, su quello morale di “bene-male”.
Questo tema che riguarda l’esistenza di presunti semina boni in malo va spesso a braccetto con quello che riguarda la dinamica della perfezione. Si argomenta così ad esempio: le convivenze non sono ancora pienezza di amore coniugale ma si instradano verso quella direzione. L’omosessualità potrebbe essere il primo passo di conversione verso una sana relazione eterosessuale. Il discorso non regge perché la perfezione è sì un cammino sempre tendente alla crescita e quindi moto verso la pienezza, ma nel senso che ad un bene si aggiunge un altro bene. Ad esempio ad una virtù se ne aggiunge un’altra oppure si vive più profondamente la stessa virtù.
Quindi la perfezione è un moto che da un bene procede verso altro bene, è un completamento di un bene. Il male non può essere incipit di pienezza, ma contraddice la pienezza. Solo la decisione di abbandonare il male è incipit di pienezza. Il male non è il primo passo verso il bene, bensì è il primo passo verso un male maggiore. Ed infatti come il bene chiama a sé altro bene (virtù), il male chiama a sé altro male (vizio). Suggerendo ai conviventi di continuare la convivenza o alle persone omosessuali di continuare ad assumere condotte omosessuali si instradano queste persone non verso la perfezione morale, bensì verso la sua degradazione. In caso contrario dovremmo suggerire ad un alcolista, come rimedio per diventare sobrio, quello di continuare a bere.
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