Il suo nome è Alberto Methol Ferré. È a lui che Bergoglio si ispira nel giudicare il mondo e nel contrastare la nuova cultura dominante: "l'ateismo libertino". La faccia severa del papa con Obama
di Sandro Magister
ROMA, 31 marzo 2014 – Nell'incontro che ha avuto pochi giorni fa con Barack Obama, papa Francesco non ha taciuto su ciò che divide l'amministrazione americana dalla Chiesa di quel paese, su questioni pesanti quali "i diritti alla libertà religiosa, alla vita e all'obiezione di coscienza". E l'ha fatto rimarcare nel comunicato emesso al termine del colloquio.
Jorge Mario Bergoglio non ama lo scontro diretto, pubblico, con i potenti del mondo. Lascia agire gli episcopati locali. Ma non fa velo al proprio dissenso e tiene a segnare il proprio distacco. Nelle foto degli incontri ufficiali si mette in posa con la faccia severa, a dispetto degli esagerati sorrisi del partner di turno, in questo caso il capo della massima potenza mondiale.
Né potrebbe fare diversamente, posto il giudizio radicalmente critico che papa Francesco nutre dentro di sé, riguardo agli odierni poteri mondani.
È un giudizio che egli non ha mai esplicitato in forma compiuta. L'ha fatto però balenare più volte. Ad esempio col suo frequente riferimento al diavolo come grande avversario della presenza cristiana nel mondo, che vede all'opera dietro lo schermo dei poteri politici ed economici. Oppure quando si scaglia – come nell'omelia del 18 novembre 2013 – contro il "pensiero unico" che vuole asservire a sé l'umanità intera, anche al prezzo di "sacrifici umani", con tanto di "leggi che li proteggono".
Bergoglio non è un pensatore originale. Un suo parametro letterario di riferimento, al quale non poche volte rimanda, è il romanzo apocalittico "Il padrone del mondo" di Robert Hugh Benson, un convertito d'inizio Novecento, figlio di un arcivescovo anglicano di Canterbury.
Ma all'origine del giudizio di Bergoglio sul mondo d'oggi c'è soprattutto un filosofo.
Il suo nome è Alberto Methol Ferré. Uruguaiano di Montevideo, attraversava spesso il Rio de la Plata per andare a trovare a Buenos Aires l'amico arcivescovo. È morto ottantenne nel 2009. Ma è stato ristampato in Argentina e ora anche in Italia un suo libro-intervista del 2007 che è d'importanza capitale per comprendere non solo la sua visione del mondo, ma anche quella del suo amico poi diventato papa:
> Alberto Methol Ferré, Alver Metalli, "Il papa e il filosofo", Edizioni Cantagalli, Siena, 2014, pp. 232, euro 15,00
> Alberto Methol Ferré, Alver Metalli, "El Papa y el filósofo", Editorial Biblos, Buenos Aires, 2013
Nel presentare la prima edizione di questo libro a Buenos Aires, Bergoglio lo elogiò come un testo di "profondità metafisica". E nel 2011, nella prefazione a un altro libro di un grande amico di entrambi – Guzmán Carriquiry Lecour, uruguaiano, segretario della pontificia commissione per l'America latina, il laico di più alto grado in Vaticano – ancora Bergoglio tributò la sua riconoscenza al "geniale pensatore del Rio de la Plata" per aver messo a nudo la nuova ideologia dominante, dopo la caduta degli ateismi messianici d'ispirazione marxista.
È l'ideologia che Methol Ferrè chiamava "ateismo libertino". E che Bergoglio così descriveva:
"L'ateismo edonista e i suoi supplementi d'anima neo gnostici sono diventati cultura dominante, con proiezione e diffusione globali. Costituiscono l'atmosfera del tempo in cui viviamo, il nuovo oppio del popolo. Il 'pensiero unico', oltre a essere socialmente e politicamente totalitario, ha strutture gnostiche: non è umano, ripropone le diverse forme di razionalismo assolutista con le quali si esprime l'edonismo nichilista descritto da Methol Ferré. Domina il 'teismo nebulizzato', un teismo diffuso, senza incarnazione storica; nel migliore dei casi, creatore dell'ecumenismo massonico".
Nel libro-intervista che oggi è stato ristampato, Methol Ferré sostiene che il nuovo ateismo "ha cambiato radicalmente di figura. Non è messianico, ma libertino. Non è rivoluzionario in senso sociale, ma complice dello status quo. Non ha interesse per la giustizia, ma per tutto ciò che permette di coltivare un edonismo radicale. Non è aristocratico ma si è trasformato in un fenomeno di massa".
Ma forse l'elemento più interessante dell'analisi di Methol Ferré è nella risposta che egli dà alla sfida posta dal nuovo pensiero egemone:
"È stato così con la riforma protestante, è stato così con l'illuminismo secolare, e poi con il marxismo messianico. Un nemico lo si vince assumendo il meglio delle sue stesse intuizioni e spingendosi oltre".
E qual è a suo giudizio la verità dell'ateismo libertino?
"La verità dell'ateismo libertino è la percezione che l'esistere ha una destinazione intima di godimento, che la vita stessa è fatta per una soddisfazione. Detto in altre parole: il nucleo profondo dell'ateismo libertino è una necessità recondita di bellezza".
Certo, l'ateismo libertino "perverte" la bellezza, perché "la separa dalla verità e dal bene, e quindi dalla giustizia". Ma – ammonisce Methol Ferré – "non si può riscattare il nucleo di verità dell'ateismo libertino con un procedimento argomentativo, o dialettico; meno ancora ponendo proibizioni, lanciando allarmi, dettando regole astratte. L'ateismo libertino non è una ideologia, è una pratica. Ad una pratica occorre opporre un'altra pratica; una pratica autocosciente, beninteso, quindi intellettualmente dotata. Storicamente la Chiesa è l'unico soggetto presente sulla scena del mondo contemporaneo che può affrontare l'ateismo libertino. Per me solo la Chiesa è veramente post-moderna".
È impressionante la sintonia tra questa visione di Methol Ferré e il programma di pontificato del suo discepolo Bergoglio, col suo rifiuto "della trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza" e col suo insistere su una Chiesa capace di "far ardere il cuore", di curare ogni tipo di malattia e di ferita, di ridare felicità.
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