domenica 1 dicembre 2013

PROUST E IL SEGRETO DELLE CATTEDRALI (CHE QUESTA EUROPA NON CONOSCE PIU’)




di Antonio Socci

Inabissato nei sondaggi al 15 per cento di (im)popolarità, il minimo storico, François Hollande è contestato per i suoi fallimenti politici (sciopero nelle scuole) ed economici (il Pil è in calo e la ripresina è abortita).
Perfino con la legge Taubira (adozioni a coppie gay) si è trovato contro una sorprendente maggioranza popolare.
Così cerca diversivi. E’ il vecchio trucco dei governanti che si inventavano una guerra per distrarre dai loro disastri. Hollande a settembre voleva a tutti i costi la guerra alla Siria, ma è saltata perché si sono messi di traverso il Papa e la Russia.

MORTE DELLE CATTEDRALI

Ora ha tirato fuori un’idea surreale: la “festa della laicità” da istituire il 9 dicembre. Perché il calendario delle festività è “troppo cristiano”.
Una trovata che, anche nella scelta della data, si rifà all’offensiva anticlericale del 1905 e ricorda l’abolizione di tutte le festività cristiane (e perfino del suono delle campane) decretato dai rivoluzionari dopo il 1789.
Al tempo di Robespierre in nome della “tolleranza” furono massacrati preti e suore, fu macellata la Vandea cattolica e le cattedrali – definite “indecenti e ridicole” – furono profanate e devastate (Cluny e Citeaux che avevano fatto la storia d’Europa furono ridotte a rovine fumanti).
Nel 1905 la legge sulla separazione fra stato e chiesa puntava a sconsacrare le splendide cattedrali medievali di Francia e a confiscare i beni ecclesiastici.
Si arrivò quasi a progettare ferrovie che guarda caso dovevano passare per forza su antiche chiese romaniche in mezzo alla campagna.
Mentre se ne discuteva, nel 1904, sul “Figaro”, fu pubblicato un bellissimo articolo di Marcel Proust, intitolato “La morte delle cattedrali”.

CONCHIGLIE

Nel suo pezzo – riproposto in questi giorni dal sito “piccolenote.it” – lo scrittore (che si diceva ateo/agnostico) si mostrava inorridito davanti all’idea di trasformare le cattedrali francesi in “semplici e gelidi pezzi da museo”.
Egli considerava agghiacciante un futuro in cui la Francia scristianizzata sarebbe stata simile a “una spiaggia dove gigantesche conchiglie cesellate sarebbero apparse arenate, vuote ormai della vita che in esse aveva abitato e incapaci di recare all’orecchio che si chinasse su di esse il vago rumore di un tempo”.
Sottolineo questa metafora delle cattedrali come conchiglie perché ha un valore decisivo, come vedremo, per la sua “Recherche”.
Proust dunque rifiutava la trasformazione delle chiese in musei, con gelidi riti laici che avrebbero fatto rimpiangere i riti cattolici e “quanto dovevano essere belle queste feste ai tempi in cui erano i sacerdoti che celebravano le messe… perché avevano, nella virtù di questi riti, la stessa fede degli artisti che scolpirono le cattedrali”.
Del resto “lo splendore della liturgia cattolica forma un tutto unico con l’architettura e la scultura delle nostre cattedrali”.
Proust aggiungeva che “mai uno spettacolo paragonabile a questo, uno specchio gigantesco della scienza, dell’anima e della storia fu offerto agli sguardi e all’intelligenza dell’uomo… si può dire che una rappresentazione di Wagner a Bayreuth è poca cosa accanto alla celebrazione della messa grande nella Cattedrale di Chartres”.
Proprio l’articolo sulle antiche cattedrali ci mette sulle tracce del “segreto” della “Recherche” il cui primo volume fu pubblicato nove anni dopo, il 14 novembre 1913, esattamente cento anni fa.
Non a caso l’opera proustiana è piena di evocazioni delle tante cattedrali francesi, da Chartres, ad Amiens, da Bourges a Troyes e tante altre.

ROMANZO-PELLEGRINAGGIO

Il segreto della “Recherche” ha cominciato a essere scoperto – a mio avviso – da un studioso italiano di Proust, Alberto Beretta Anguissola.
Il quale anni fa ha pubblicato un volumetto, “Proust e la Bibbia”, dove faceva emergere il “criptotesto” della “Recheche”, quel “corso d’acqua sotterraneo che affiora solo qua e là”, ma – se compreso – diventa una formidabile chiave di lettura.
Si tratta appunto di “riferimenti ‘giganteschi’ – allusioni esplicite o implicite alla Bibbia, ai simboli cristiani e alla liturgia cattolica. La ‘ricerca del tempo perduto’ è un pellegrinaggio proprio come quelli che, facendo tappa a Illiers-Combray, milioni di uomini compirono nel corso dei secoli per raggiungere Santiago di Compostela. Lungo gli itinerari prestabiliti dalla fede” osserva Beretta Anguissola “si poteva allora incontrare di tutto. C’erano ladri e assassini; c’erano turisti curiosi di cose belle e cose strane; c’erano avventurieri bizzarri; c’erano uomini devastati dal senso di colpa che avrebbero fatto di tutto per sentirsi perdonati da Dio e dagli uomini (quindi da se stessi); c’erano uomini e donne che avevano smarrito il senso dell’esistenza, ne avevano perso il gusto e si sentivano radicalmente falliti, incapaci – come Nicodemo – di rinascere e di incontrare la salvezza; c’erano inoltre uomini e donne pieni di fede, speranza e carità che avevano deciso di santificarsi pellegrinando. La ‘ricerca del tempo perduto’ è tutte queste cose messe insieme”.
Per questo “i riferimenti religiosi e biblici” hanno “nel romanzo-pellegrinaggio di Proust un’importanza speciale”.
In fondo “recherche”, ricerca, non è altro che l’antica “Quest”, la ricerca di Dio. Ma Proust compie questa ricerca della salvezza – nella babele del suo tempo e della vita – su una traccia precisa: i luoghi e i riti cristiani, i segni di una bellezza ineguagliabile e piena di Misericordia.

MADELEINE

Beretta Anguissola inizia così il suo studio:
“Chi come Proust ha creduto di portare in sé una duplice maledizione (omosessuale, ebreo) e ha vissuto tale condizione senza illusioni estetizzanti, lucidamente, cosa avrà provato quando, per compiere un vasto lavoro di traduzione e commento di un libro di Ruskin, ‘La Bibbia d’Amiens’, si è messo a leggere e rileggere intensamente Vecchio e Nuovo Testamento? Cosa avrà pensato leggendo il Salmo 21 (‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’) o il ‘Miserere’ o il quarto canto del Servo di Jahvè in Isaia? Non possiamo saperlo. Non sappiamo se si commosse vedendo che le maledizioni possono essere, per chi ci crede, segno e prova della predilezione divina. Ma di tutte queste cose restano profonde tracce nel romanzo ‘Alla ricerca del tempo perduto’. Chi lo ha letto tutto” spiega Beretta Anguissola “ricorderà che, nell’ultimo volume, il Tempo viene ‘ritrovato’ (e insieme a esso sono recuperati in extremis il senso della vita come vocazione e il valore della scrittura) in un modo assai singolare”.
In pratica il Narratore si trova a un ricevimento e, indietreggiando per fare spazio a un’auto, “inciampa in una pietra difettosa, mal squadrata, del selciato. A questo punto è invaso da una misteriosa felicità”.
Rammenta di aver vissuto una circostanza simile e una voce dentro di lui grida: “Afferrami al volo, se ne hai la forza, e cerca di risolvere l’enigma di felicità ch’io ti propongo”.
La salvezza che arriva da una “pietra di scarto”. Immediato il riferimento alla profezia cristologica di Isaia: il Crocifisso, la Vittima, la pietra scartata dai costruttori che diventa pietra angolare, fondamento della bella costruzione. E’ l’incontro fortuito che spalanca la salvezza.

Ecco in effetti la “lettura” che ce ne offre Proust:
“Proprio, a volte, nel momento in cui tutto sembra perduto giunge l’avvertimento che può salvarci; abbiamo bussato a tutte le porte che non danno su niente, e la sola attraverso la quale si può entrare, e che avremmo cercato invano per cento anni, l’urtiamo senza saperlo, e si apre”.
E ricordate la famosa “madeleine” di Proust? E’ ben più di un biscotto che evoca il passato del protagonista. A forma di “coquille Saint-Jacques” è segno del cammino di Santiago e di quelle “conchiglie” che nell’articolo del 1904 erano le cattedrali francesi. Infatti subito dopo ricorda la chiesa del suo villaggio natale, Saint-Jacques di Illiers.
In quelle “conchiglie” c’è la perla perduta, la salvezza. Con buona pace di Hollande e di questa Europa laicista.



Da “Libero”, 1 dicembre 2013
antoniosocci.com


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