di Matteo Natuzzi
Milano. Altro che allegra, questa chiesa è umiliata, impoverita, scoraggiata. Ha scelto di lasciar perdere il nobile aplomb che lo distingue, la pacatezza del pastore erudito che da quasi vent’anni guida la diocesi che fu capitale dell’Austria felix. Ieri mattina, nel Duomo di Milano, il cardinale Christoph von Schönborn, elegante tabarro nero vescovile, ha tratteggiato i contorni di una chiesa sofferente, il cui futuro oggi è più che mai incerto. Aveva scelto proprio lui, il cardinale Angelo Scola, per parlare della sfida dell’evangelizzazione nei contesti metropolitani attraversati da grandi cambiamenti. A febbraio, toccherà al cardinale Tagle, arcivescovo di Manila. Schönborn ha scelto di non seguire il testo preparato, preferendo rivolgersi al clero ambrosiano stando in piedi, dall’ambone.
Un’ora di intervento, scandito da qualche pausa in cui il porporato meditava sulle parole da usare, tenendo le mani giunte, come in preghiera. Prima c’era stata la presentazione affidata al padrone di casa, il cardinale Scola, che ha elencato il ricco curriculum del teologo domenicano d’origine boema. Un elogio che Schönborn, scherzando, ha definito “discorso da funerale che mi intimidisce”. Quindi, nel silenzio del Duomo affollato di sacerdoti, ha parlato di Vienna, della sua diocesi. Eppure, la situazione descritta poteva applicarsi a ogni altra grande diocesi europea, Milano inclusa. “La crisi dei cattolici a Vienna è drammatica. Proprio l’altro giorno mi hanno comunicato che il loro numero è sceso sotto il quaranta per cento e siamo ormai avviati verso il trenta per cento”.
Un’ora di intervento, scandito da qualche pausa in cui il porporato meditava sulle parole da usare, tenendo le mani giunte, come in preghiera. Prima c’era stata la presentazione affidata al padrone di casa, il cardinale Scola, che ha elencato il ricco curriculum del teologo domenicano d’origine boema. Un elogio che Schönborn, scherzando, ha definito “discorso da funerale che mi intimidisce”. Quindi, nel silenzio del Duomo affollato di sacerdoti, ha parlato di Vienna, della sua diocesi. Eppure, la situazione descritta poteva applicarsi a ogni altra grande diocesi europea, Milano inclusa. “La crisi dei cattolici a Vienna è drammatica. Proprio l’altro giorno mi hanno comunicato che il loro numero è sceso sotto il quaranta per cento e siamo ormai avviati verso il trenta per cento”.
Sono tre, a suo avviso, le ragioni della crisi: “Innanzitutto il problema demografico, che coinvolge quasi tutti. In secondo luogo, ogni anno più dell’uno per cento dei viennesi esce dalla chiesa. Basta andare da un magistrato ed è fatta. Non è apostasia, credo. Chi defeziona, spesso, lo fa perché già da tempo non si riconosce in essa. Sembra poco, l’uno per cento annuo. Ma se guardiamo un po’ più un là, ci accorgiamo che con questo trend arriveremo a più del dieci per cento in dieci anni”. La terza ragione della crisi è data dagli scandali che hanno minato la chiesa austriaca, “un tempo chiesa di stato, imperiale”. Schönborn, a tal proposito, ha ricordato che lui è arcivescovo di Vienna perché il predecessore, Hans Hermann Groër, fu costretto alle dimissioni in quanto accusato di pedofilia.
Una situazione drammatica, apocalittica, ma che può anche avere i suoi risvolti positivi. Per guardare al domani con fiducia e speranza, ha detto il porporato austriaco, si potrebbe tenere a mente la ricetta del cardinale Newman, “loss and gain”, perdita e guadagno. Si perde molto, ma forse si guadagna qualcosa. Intanto, si potrebbe riscoprire il valore della lectio divina, da cui “verrà il rinnovamento della chiesa”, diceva il “Professor Ratzinger”, più volte citato da Schönborn. E’ necessario rendersi conto “che siamo diventati poveri, non ancora economicamente, bensì umanamente. Siamo umiliati, siamo diventati pochi”.
Sarà un caso che in occasione dell’ultima assemblea diocesana di Vienna, a lungo si sia riflettuto sul Naufragio di san Paolo a Malta, passo degli Atti degli Apostoli in cui si narra del salvataggio di Paolo da parte dei pagani. “Qualcuno mi ha dato del pazzo per il tema scelto, ma preciso che non è che la chiesa stava naufragando”. Però il pericolo c’è, lo dicono i numeri, le chiese sempre più vuote (“oggi siamo costretti a cedere chiese ad altre comunità cristiane”). Ecco perché c’è bisogno di evangelizzazione, tenendo ben presente, però, il reale significato che ha questa parola, spesso confusa con “missione”.
A tal proposito, Schönborn racconta la sua delusione per come si è svolto l’ultimo Sinodo, quello del 2012. Il tema era proprio l’evangelizzazione: “Io continuavo a dire di parlare delle nostre esperienze, non quelle di curia, ma quelle di missione. I vescovi, infatti, dovrebbero essere i primi evangelizzatori. Invece ogni vescovo nel suo bel discorso preparato poneva l’etichetta ‘evangelizzazione’ su ogni cosa che faceva nella sua diocesi”.
Ma l’evangelizzazione, ha aggiunto, “si fa solo con il faccia a faccia. Certo, c’è Twitter, c’è Facebook, ci sono i social network. Ma sono altra cosa”. Vista l’esperienza del 2012, ha detto, “sono molto curioso di vedere cosa accadrà con il prossimo indetto da Papa Francesco” e in programma per ottobre a Roma. “Siamo una minoranza ma non una setta”, ha detto il cardinale viennese. Una minoranza che “non ha più il potere di imporre alla politica la propria visione”. Si pensi “all’aborto, all’eutanasia, a queste cose tremende. Si pensi alla famiglia cristiana, che oggi non è più la norma, ma l’eccezione. Dobbiamo essere come il sale, che non abbonda mai” ma che è importante per la riuscita di un piatto. “Dobbiamo avere un ruolo nella società”. Solo così potrà concretizzarsi una nuova evangelizzazione efficace, che dia i suoi frutti. Tanto per cominciare, si accetti il tempo in cui viviamo e si dica basta con le nostalgie degli anni Cinquanta, quando le chiese si riempivano fino a tre volte ogni domenica. Quello è il passato, oggi bisogna guardare a questo mondo”.
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